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Blog | 30 anni da Adelaide ’94. Michael e quel messaggio per Ayrton: “Vorrei donargli questo titolo”. Quanto mancano, entrambi

di Alessandro Secchi
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Pubblicato il 13 Novembre 2024 - 02:13
Tempo di lettura: 6 minuti
Blog | 30 anni da Adelaide ’94. Michael e quel messaggio per Ayrton: “Vorrei donargli questo titolo”. Quanto mancano, entrambi
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30 anni fa il primo mondiale di Schumi ad Adelaide in un 1994 tremendo. Ma lo voglio ricordare in un modo diverso

“Devo ringraziare tutte le persone in Benetton per questo titolo, ma ho qualcosa di speciale da dire su quello che è successo in questo anno.

La stagione è iniziata bene in Brasile, così come ad Aida e poi siamo arrivati ad Imola. E quello che è successo beh… quando si parla di incubi, tutti noi sappiamo che emozioni abbiamo vissuto per Ayrton, Roland (Ratzenberger) e anche per Karl (Wendlinger) a Montecarlo. Per me è sempre stato chiaro che non avrei vinto il campionato ma sarebbe stato Ayrton a conquistarlo.

Però è successo tutto questo, Ayrton non c’è stato per il resto delle gare e vorrei prendere questo titolo e donarlo a lui, perché è colui che lo avrebbe vinto: aveva la miglior macchina, era il miglior pilota, questo è quello che penso. È stato difficile per me parlare delle mie emozioni in quel momento, perché non sono una persona a cui piace aprirsi all’esterno, ma ora è il momento giusto per dire che quello che ho conquistato, e che avrebbe dovuto conquistare lui, vorrei donarglielo”.

Il 13 novembre 1994 Schumi conquistava il suo primo titolo mondiale in F1 e questo fu il suo messaggio durante la conferenza stampa di fine gara ad Adelaide, affiancato da Martin Brundle (3° con la McLaren), Nigel Mansell (all’ultima vittoria in F1, sulla Williams #2… ) e Gerhard Berger, 2° con la Ferrari.

L’essere il primo tedesco a vincere il titolo piloti dopo 45 stagioni di mondiale non contava nulla al cospetto di un anno disgraziato per la Formula 1 e per il mondo dello sport in generale. Magic e Roland non c’erano più e, nei tira e molla politici e polemici di una stagione terribile, era toccato a Michael assumersi naturalmente l’eredità del più forte in pista. Un’eredità scomoda, minata, contestata: ancora oggi c’è chi sostiene che debba ringraziare il Tamburello per la carriera che ne è poi seguita.

Di mondiali Michael ne avrebbe vinti altri sei, ma se proprio quello del 1994 non bisogna vederglielo cucito addosso preferisco che la motivazione sia quella da lui stesso spiegata quel giorno e non la trita e ritrita grande ingiustizia in pista. Ho molte obiezioni quando si parla di cosa è successo quel giorno (e non ne ho nemmeno mezza su Jerez, per contro).

Ho visto sufficienti gare per credere che nessuno, neanche lo stesso Damon Hill, avrebbe concesso strada ad una frenata ritardata a ruote bloccate per farsi passare stendendo un tappeto rosso. Viene da sorridere perché l’ha sommessamente ammesso anche lui: “Cos’avrei fatto nella stessa situazione? Non lo so…”. Parlare di porcata per Adelaide ed inneggiare a Suzuka ’90 spiega tutto e, mi spiace, non sono uno che accetta due pesi e due misure su questo tipo di episodi.

Adoravo entrambi, il vecchio Ayrton e il nuovo Schumi che avanzava. Erano della stessa pasta ma con nove anni di differenza. Aggressivi, al limite, anche oltre. Oggi verrebbero puniti, osteggiati, indicati come scorretti, sleali. Erano racer veri, in realtà lo erano tutti, ma loro due andavano oltre. Oggi è un altro sport, se così si può ancora chiamare.

Non ho mai capito la necessità per i tifosi di uno e dell’altro di essere ancora contrapposti dopo tutto questo tempo. Forse è meglio dire che lo capisco ma non lo condivido. Il problema è che tanti non hanno inteso che Ayrton era sempre stato un punto di riferimento per Michael, più di quanto si pensi. Ed è da qui che nasce quel messaggio, quella necessità di dire “scusate, questo titolo l’ho vinto ma vorrei darlo a lui” quasi come se fosse un impostore.

Un senso di sopruso che, però, non poteva avere motivazioni se non quelle morali, date dalla grande stima che aveva per Magic. Perché è troppo facile ricordare solo quel botto del giro 36 con Hill e non tutta la stagione, in cui si era trovato a giocarsi il titolo con quattro gare in meno: una per bandiera nera ricevuta per un gioco del testosterone tra muretto Benetton e FIA a Silverstone, due viste in TV come conseguenza della stessa gara in Inghilterra, una per squalifica in Belgio per il pattino (introdotto da pochissimo nel “pacchetto post Imola”) troppo consumato. Aveva vinto la gara.

Dodici gare corse davvero su sedici. Otto vinte, due secondi posti (quello in Spagna col cambio bloccato in quinta resta un mistero), due ritiri. Sportivamente parlando, non ci fu storia se non a Suzuka, dove Hill mise in scena un capolavoro inappuntabile. Spagna e Giappone, appunto: le uniche due gare su otto in cui, con entrambi al traguardo, Damon è arrivato davanti. Troppo poco ed è inutile nasconderlo.

È vero, c’era la B194. Quella del traction control (che aveva usato anche la Ferrari ad Aida), quella del cambio completamente automatico… della McLaren ad Imola, quella del filtro del rifornimento (che non avevano tolto solo in Benetton). Una macchina sezionata e, dicono gli intellettuali oggi, “attenzionata” alla grande. Ma, anche su questa storia della macchina illegale, in trent’anni è stato prodotto parecchio materiale. Basta un po’ di informazione per scoprire che le centraline del 1994 altro non erano che le stesse del 1993 con i controlli elettronici disabilitati; almeno apparentemente. Ma è una lunga storia, che mi sono ripromesso di approfondire. Arriverà il momento, per questo e per quel weekend di maggio.

Resta comunque inevitabile che quel giorno, quel 13 novembre 1994, resti scolpito nella memoria con emozioni differenti. Ho scelto di celebrarlo diversamente partendo dal finale, da quelle parole in conferenza stampa che, forse, possono appianare un po’ le cose.

Sta poi ad ognuno di noi decidere da che parte stare. C’è chi dice che Schumi non è e non sarà mai il degno Campione del 1994. Opinioni: ma quando mi domando se lo sarebbe stato Hill, il compagno di squadra di Ayrton e, considerato questo come un’aggravante, colui che poi (non) avrebbe detto nulla su quel giorno di maggio quando sollecitato, beh. Mi spiace, ma non potrò mai cambiare idea su chi fosse più degno tra i due. L’aggressività in pista è una cosa, la moralità un’altra.

È vero: può essere che, con Ayrton in pista, le cose sarebbero andate diversamente. Sarebbe stato bello conoscere la fine della storia. Sarebbe stato bello, bellissimo, vederlo concludere la sua carriera e avrei preferito, quest’anno, non dover assistere a tutti questi ricordi per la sua scomparsa, perché fa un male tremendo tornare con la mente a quel giorno, a quell’elicottero in pista, a certi attimi che segnano per sempre. Vorrei fosse ancora tra noi e vorrei che fosse così anche per Michael. Vorrei rivederli insieme, da qualche parte, coi loro capelli brizzolati a ridere e scherzare di quegli anni; come due vecchi amici una volta sotterrata l’ascia di guerra. Avrebbero vinto di più, di meno? Chi lo sa.

Ma una cosa, per me almeno, resta certa. Che quel mondiale, quel giorno, lo avrebbero meritato solo due piloti. E uno dei due, purtroppo, non c’era più.


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