Se Atene piange, Sparta non ride

BlogParola di Corsaro
Tempo di lettura: 5 minuti
di Alyoska Costantino @AlyxF1
21 Aprile 2017 - 13:08

Il quadro dopo le prime tre gare del mondiale di Formula 1 sembra delineato quasi al 100% per la massima categoria del motorsport, sia per quanto riguarda i team che i piloti (anche se le variabili possono sempre presentarsi): Ferrari e Mercedes dominano con le loro rispettive prime guide, Red Bull in recupero, bene la Toro Rosso, nonostante la manovra suicida di Sainz su Stroll a Sakhir, McLaren-Honda abominevole, e su quest’ultima non aggiungiamo altro (per ora).

C’è però un team tra tutti che io (e a quanto pare anche i media in massima parte) non sono riuscito a inquadrare benissimo, o che è stato direttamente ignorato, e sto parlando della Renault. Le certezze che abbiamo sulla squadra transalpina non mancano, ma non mi sembrano sufficienti per delineare né la situazione interna del team né quella in rapporto agli avversari più vicini.

Il punto debole della Renault e di tutte le squadre motorizzate dal propulsore francese è sempre il solito dal 2014: la Power Unit. Nonostante i progressi del 2016 (tra l’altro evidenziati anche da Ricciardo col Tag Heuer anche in tracciati come Monaco) il lavoro della casa di cui discutiamo non riesce a essere all’altezza di quello fatto ogni anno da Mercedes e ora anche da Ferrari. Sembrano essere sempre un passo indietro… ma di certo la situazione dei team motorizzati Renault non è scandalosa come quella Honda. E fin qui siamo tutti d’accordo.

Siamo forse meno d’accordo nell’inquadrare a dovere le abilità dei piloti, Hulkenberg e Palmer; una coppia sopravvissuta come degli highlander a un mercato piloti infernale in casa Renault, con almeno quattro/cinque piloti a giocarsi i due sedili dall’estate in poi. Il tedesco viene dagli anni passati in sordina alla Force India (con l’exploit in Sauber nel 2013) ma anche dalla splendida vittoria nel 2015 della 24 Ore di Le Mans con la Porsche. Ma inutile nasconderlo: fatta qualche eccezione, Nico di risultati strabilianti non ne ha mai fatti finora in Formula 1.

Fa impressione notare che un pilota dipinto come il più sottovalutato nel Circus non abbia ottenuto, nelle sette stagioni finora concluse, un podio manco per sbaglio. Su queste basi, unite ai risultati inferiori ottenuti rispetto al suo compagno forse più ostico (“Checo” Perez, uno cacciato a calci dalla McLaren dopo un solo anno), non mi sento un eretico nel dire che da Hulkenberg non mi aspetto tanti miracoli dal cielo. Certo, se vinci la 24 Ore di Le Mans non sei un fermo, ma ironicamente sembra quasi che il tedesco abbia sbagliato categoria di corse… senza offesa per i suoi fan eh.

Jolyon Palmer invece ha tutt’altra considerazione: dopo un 2016 in Formula 1 vissuto su una banana (scaduta di un anno) a quattro ruote e senza mezza soddisfazione, c’era (e c’è ancora) chi lo voleva fuori dal mondo dei motori da subito, manco fosse un criminale incallito. Come si poteva pretendere, però, da un debuttante con una vettura vecchia di un anno e con zero sviluppi (e che non era un missile già da nuova), di poter mostrare le sue qualità? Questo 2017 sarà cruciale per lui.

Passiamo ora ai punti di difficile lettura, ovvero alla qualità del mezzo e alle posizioni che può ricoprire. Come già detto nel paragrafo precedente, il 2016 è stato un anno in cui si è deciso in Francia e in Inghilterra di mandare in pista la Lotus dell’anno precedente, per potersi concentrare al 1000% verso il nuovo anno.

Con questa premessa il risultato che ci si aspettava dai transalpini era, a parer mio, obbligato: un ritorno a giocarsi il podio e i punti pesanti, e con un pilota quotato come Hulkenberg il traguardo mi sembrava alla portata. Finora, queste sono state solo parole e fuffa.

Una squadra che lavora tutto un anno per prepararsi e che come risultati ottiene due punti in tre gare su tre piste molto diverse, non può essere vista di buon occhio, affatto. La R. S. 17, la vettura più bella del lotto per me, sembra anche affidabile (fatta eccezione per i freni birichini di Palmer in Australia), ma è lontanissima rispetto alle tre dominatrici là davanti, e un passo indietro rispetto a Williams e Toro Rosso.

In qualifica sembrerebbe esserci qualche garanzia in più per i due alfieri ma nulla d’incredibile o da far gridare al miracolo. Ed è quasi sconcertante che proprio in questi giorni si parli di Fernando Alonso interessato a tornare in Renault per la terza volta (ironia della sorte, stesso passaggio McLaren-Renault di dieci anni fa)… ma per cosa poi? Per arrivare settimo o ottavo al massimo? Se davvero Nando dovesse firmare con i francesi, ne rimarrei (tristemente) stupito: sarebbe a dir poco una via di fuga disperata da Honda per l’asturiano.

Non so voi, ma io mi aspettavo molto, molto di più. I livelli di scempio che tocca Honda non si raggiungono grazie al cielo, ma non possiamo essere soddisfatti della squadra francese solo perché si guarda ai giapponesi. Siamo ben lontani dai magnifici exploit con un certo Fernando nel biennio 2005-2006, ma anche dal sorprendente 2010 di Kubica (tornato a guidare monoposto proprio ieri, una GP3 del team Trident, per la mia gioia). C’è da lavorare, e non d’aspettare un altro anno ancora: devono agire subito a Enstone. Solo il tempo ci dirà se questo marchio tornerà ai fasti che merita o meno.

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