Assen, il teatro per eccellenza delle storie del mondiale 2022

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di Matteo Gaudieri
29 Giugno 2022 - 10:00
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Il Gran Premio d’Olanda non è mai stato un evento banale. Lo storico circuito di Assen ha da sempre narrato le vicende dei più grandi campioni del passato più recente o remoto che sia. Basta visionare l’albo d’oro per scorgere in cima alla lista nomi del calibro di Ángel Nieto, Valentino Rossi, Carlo Ubbiali, Mike Hailwood, Giacomo Agostini, Jim Redman e John Surtees, mentre scorrendo l’elenco si possono trovare altri iridati come Jorge Lorenzo, Marc Márquez, Walter Villa, Anton Mang, Max Biaggi, Kevin Schwantz e tanti altri.

L’edizione del 2022 non è stata da meno alla grande tradizione che l’Olanda coltiva dal 1925, dalle gare su strada da cui prende oggi il nome “TT Assen”. I 26 giri previsti per l’evento sono stati il copione perfetto di uno spettacolo, quello del GP, intriso di trame e sottotrame, tra rivincite personali e scommesse vinte fino ad arrivare a una prima, vera dimostrazione di umanità.

Il podio: i riscatti, la prima volta, la chiusura di un cerchio

A tagliare il traguardo davanti a tutti domenica ci ha pensato Francesco Bagnaia, al suo terzo successo sia stagionale sia ad Assen in generale contando anche Moto2 e Moto3. Con la macchina del tempo si torna a 6 anni fa: era il 2016, un giovane pilota piemontese si apprestava ad affrontare il suo quarto anno nella piccola cilindrata, questa volta in sella alla Mahindra di Aspar. Tre podi conquistati prima del successo in Olanda, quest’ultimo utile ad aprire una scommessa: “Se ne vinci un’altra, a Valencia provi la MotoGP”; lo scherzo del destino, oggi, ci porta a quell’immagine di Bagnaia su una Ducati GP14 nei test, suo primo vero contatto con un prototipo di Borgo Panigale, perché in Malesia arrivò il secondo sigillo in carriera.

Bagnaia in sella alla Ducati GP14 di Aspar nei test post-stagionali di Valencia del 2016 (Foto: Facebook / Francesco Bagnaia)

È stato il successo, quello di domenica, che può essere la base del riscatto, della ricostruzione di una stagione che fino al sabato sembrava scappata via. L’alfiere nostrano ha già dimostrato di essere tra i grandi di questo campionato, ma i numerosi errori hanno avuto peso nel bilancio dei risultati. Nonostante dei tentativi di mascherare le colpe da parte di altri, l’autocritica di “Pecco” è sempre stato il suo punto forte: conosce l’entità dello sbaglio, è il primo a mettere in discussione se stesso davanti alle telecamere senza peli sulla lingua. Un primo passo importante verso la maturazione definitiva è avere consapevolezza e lui, in tutta la griglia, forse è il migliore sotto questo aspetto.

Da un pilota della VR46 Riders Academy all’altro: la sorpresa di giornata è stata Marco Bezzecchi, secondo al traguardo dopo una condotta di gara magistrale, soprattutto considerando l’impeccabile gestione della gomma morbida al posteriore. Non c’è miglior modo per intraprendere il cammino verso il riflettore dei grandi, lui che ha guidato come il suo talento prescrive ormai dai tempi del CIV. In ottica mercato sarà sicuramente uno dei protagonisti, visto e considerato il ballottaggio Bastianini-Martin per affiancare Bagnaia nel 2023 e il contratto dell’uomo di punta Ducati che in scadenza nel 2024; considerazioni che lasciano, per ora, il tempo che trovano, ma che torneranno a pesare a tempo debito.

I ricci castani e quel suo marcato accento romagnolo fanno riaffiorare alla mente il ricordo di un altro centauro delle corse e dei tanti rimpianti per una vita strappata troppo presto al mondo. Quello stesso ragazzo, per giunta omonimo di Bezzecchi, si è posto alla base del progetto di Valentino Rossi: è con lui che la leggenda di Tavullia decise di condividere i propri programmi di allenamento, traendo ispirazione per il progetto che oggi vanta ben quattro piloti in classe regina, di cui due vicecampioni del mondo tra 2020 e 2021.

Ma questo weekend è salito in cattedra Maverick Viñales. Gli ultimi due anni non sono stati i più semplici per lo spagnolo a causa dei pochi risultati e della fiducia che Quartararo suscitava nel box giapponese, della rottura con Yamaha avvenuta nel peggior modo possibile, delle difficoltà di adattamento all’Aprilia e del punto interrogativo che porta con sé. Siamo chiari, il tentativo di danneggiare il motore della sua vecchia M1 è stata una disgrazia sportiva, qualcosa che a Noale non hanno voluto considerare per la voglia di rivalsa che c’è dopo anni di sperimentazioni. Il successo di Massimo Rivola e Romano Albesiano non passa esclusivamente dal #41, ma principalmente dalla rinascita del #12; lunedì era l’anniversario dell’ultimo podio in classe regina di Viñales, proprio ad Assen: il cerchio si è finalmente chiuso.

La rimonta, l’ancora di salvezza, il ritorno all’umanità

Le celebrazioni in casa Aprilia non sono comunque terminate. Nonostante la piazza d’onore sfumata per il contatto con Quartararo, Aleix Espargaró è stato autore di una rimonta magistrale dalla 15^ posizione alla 4^, culminata con una manovra spettacolare ai danni di Jack Miller e Brad Binder all’ultima chicane del giro finale.

L’amaro in bocca per il possibile trionfo sfumato va in contrasto coi sorrisi e gli abbracci con Fabio, a testimoniare un’amicizia che nemmeno l’obiettivo comune del mondiale può scalfire. Dopo anni passati a sgomitare nelle retrovie per un posto al sole, Aleix ha finalmente a disposizione il mezzo perfetto per dimostrare chi è. Non si rimontano 11 posizioni per caso, anche se la sua carriera non rende giustizia ai risultati che sta ottenendo oggi: un solo podio nelle cilindrate inferiori, sei top tre in MotoGP e una vittoria in ormai 19 stagioni di Motomondiale. Ciò insegna che la pazienza non è mai abbastanza e che il rischio, se ponderato, paga: ora Espargaró può tranquillamente affermare di essere la bandiera di un progetto partito tra mille difficoltà e che sta vedendo la luce. Come andrà senza concessioni? Ai posteri l’ardua sentenza.

Mi aggancio a questo quesito per ricalcare la risposta che, invece, KTM ha dato dopo il 2020. A Mattighofen gli investimenti sono stati tanti a fronte di un progetto che non riesce a spiccare definitivamente il volo. 3 vittorie nell’anno dell’esplosione della pandemia, numerosi i podi, poi il vuoto di un 2021 che a un certo punto aveva le capacità per dimostrare un’evoluzione tanto attesa e che adesso è insperata. Nemmeno il crollo verticale di Tech3 promette bene, ma nell’ombra si cela comunque un bagliore, rappresentato da quel Brad Binder che sta rendendo giustizia all’eredità lasciata da Pol Espargaró. Il sudafricano guida sopra le difficoltà, ottiene il massimo possibile ed è ormai centrale all’interno dei tentativi di ricerca del bandolo della matassa.

E poi, ultimo ma non per importanza, Fabio Quartararo. Anche lui è umano come tutti e ha appena appreso il significato della parola “errore”. Un sorpasso forzato, una manovra conscia dell’inferiorità velocistica che Yamaha paga verso i rivali. Un inciampo che è capitato a chiunque, persino a chi ha firmato pagine e pagine di storia del motociclismo ma che, comunque, a posteriori potrebbe risultare in un “Coi se e coi ma la storia non si fa”. Rialzarsi adesso per ruggire nuovamente, per ricordare che, in fondo, errare humanum est: d’altronde, anche Márquez è riuscito a cadere ad Austin.

Rivali ma uguali

In Germania Honda stabiliva un record negativo nella propria storia. Dopo 40 anni, il costruttore di Tokyo non presentava moto a punti e per di più soffre nuovamente l’assenza del pilota più rappresentativo degli ultimi anni. In Olanda i cugini di Iwata non hanno raggiunto i migliori quindici in classifica con Franco Morbidelli e Andrea Dovizioso: prima volta dal 1989, mai accaduto nell’era MotoGP. Senza le rispettive punte, i colossi giapponesi fanno fatica a centrare il risultato. Catalizzare l’attenzione sul fenomeno sotto contratto ha pregi e difetti, ma il calvario tecnico che Honda vive da Jerez 2020 non sembra aver trovato fine e non c’è certezza alcuna attorno all’impossibilità che un’eventuale crisi non possa abbracciare Yamaha.

Aleggia il mistero attorno alle performance di Morbidelli, apparentemente non ancora in grado di coniugare il proprio stile di guida con le richieste della moto. Una situazione analoga vissuta con Daniel Pedrosa nei suoi ultimi anni e con Jorge Lorenzo poi. L’esperienza passata dai rivali potrebbe suonare come campanello di allarme a Iwata, ma gli ultimi 730 giorni giustificano ogni singola azione, costringendo i pensieri negativi a trovare sistemazione in un cassetto.

Immagine di copertina: ANSA

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