Brembo

As it was?

di Francesco Carbonara
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Pubblicato il 25 Aprile 2022 - 21:00
Tempo di lettura: 4 minuti
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Le vittorie possiedono sempre dei fattori in comune, anche quando essi non sono percepibili; predicibili

Riconoscere quanto il Mondiale vinto da Joan Mir nel 2020 sia stato – e tutt’oggi sia – pregno di valore ed importanza deve rifuggire dall’essere un demerito. Alle spalle di tanti sorrisi di cortesia telecomunicativi si annida una maliziosa convinzione che si esplica nel credere che, alla base del suddetto iride, a preponderare su tutto e tutti sia stato solo quell’elemento che, nella canzone “Ciao Ciao” de La Rappresentante di Lista, si interpone fra le gambe e gli occhi. Fortuna che, a riequilibrare la situazione, talvolta intervengano altri pareri che ricollocano quel fattore nella sua naturale dimensione, cioè quella di parte inevitabile di un processo vitale, ed affianchino ad esso altre doti che, cooperando in sinergia, possono dar luce a risultati meravigliosi: concentrazione, talento e costanza.

L’anno successivo è stata la volta di Fabio Quartararo, colui al quale era stato addossato lo scomodo fardello di rimpiazzare, nelle vesti di re, il quiescente Marc Márquez. Dinamiche e tempistiche differenti rispetto al titolo dell’alfiere Suzuki, ma pur sempre con substrato le doti sopracitate, tutte.

Scendendo nel dettaglio, emerge come un importante punto di forza del francese sia stato quello di andare sempre alla ricerca del miglior risultato possibile, spalleggiato – in maniera sensibilmente più presente rispetto alla stagione precedente – dal raziocinio. Ciò ha fatto sì che nei gran premi in cui il binomio Quartararo-M1 funzionava alla perfezione, egli dominasse in grande spolvero o lottasse agilmente per la vittoria; negli appuntamenti in cui emergevano inesorabili i punti di debolezza della sua moto o del suo stile di guida, egli si accontentasse di mettere a referto qualche punto in meno o approfittasse degli harakiri prestazionali dei suoi rivali. Ordinaria amministrazione in un campionato – come tanti altri nella storia dello sport – non necessariamente caratterizzato da una simbiosi totale e perfetta tra pilota e moto.

A sfondo dei duecentosettantotto punti ottenuti si ergeva, però, un elemento che, a dire la verità, tuttora interessa la carriera di Quartararo: il reale potenziale di Yamaha. La netta sensazione per la quale, in numerose occasioni, Fabio apponga una grande pezza alle carenze del bolide giapponese, ha superato indenne il 2021 e si è ripresentata con vigore quest’anno, interessando tutti e cinque i gran premi sinora disputati. Qatar, Argentina e Texas hanno costretto il francese a masticare bocconi amari, nonostante in almeno due casi su tre la conformazione del tracciato – e la serie storica – suggerissero un andamento del fine settimana decisamente più proficuo. L’Indonesia è parsa un’oasi; il Portogallo, domenica scorsa, ha magicamente redento Yamaha, in precedenza subissata di critiche rivolte allo sviluppo ed alla metodologia di lavoro.

La verità, come spesso accade, risiede nel mezzo: la M1, ad oggi, è una moto che funziona – quando ha intenzione di farlo – nelle mani di un solo pilota, con Morbidelli, Dovizioso e Darryn Binder che naufragano nelle posizioni di centro-bassa classifica. Uno scenario tremendamente simile a quello vissuto in HRC quando, salvo sporadiche affermazioni di Pedrosa e Crutchlow, la RC213V vinceva e dominava solo ed esclusivamente nelle mani di Márquez.

È infruttuoso sì, pertanto, persistere nel dipingere Yamaha come l’artefice di tutti i mali, così come lo è, però, volgere d’incanto la propria opinione per poi, magari, opzionare il diritto di cambiarla alla débâcle successiva. È arduo, inoltre, cercare di predire una visione d’insieme sul resto della stagione del francese, al netto delle differenze in termini di piste che intercorrono fra questa e quella passata, e del ricambio gerarchico nel gruppo dei piloti in lotta per il titolo.

Certo è che, in assenza di perfezione, la costanza ripaga lautamente: Quartararo è ora primo in classifica generale, Mir si laureò campione dopo un inizio di campionato catastrofico. Com’era lo scorso anno, lo è ora, in testa. Per il momento. Se lo sarà al termine, questo lo si vedrà.

Immagine: yamahamotogp.com


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