Alfonso de Portago, una storia d’altri tempi

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di Redazione P300.it @p300it
21 Aprile 2020 - 10:21
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Alfonso Antonio Vicente Eduardo Blàs Francisco de Borja Cabeza de Vaca y Leighton, XVII Marchese de Portago, Marchese di Moratalla, XII Conte della Mejorada, Conte di Pernia, Duca di Alagon, Grande di Spagna e settimo successore in ordine gerarchico al trono del re. Per gli amici soltanto “Fon”. Per gli annali dell’automobilismo Alfonso de Portago, uno dei personaggi più affascinanti fra quelli che si possono incontrare nell’incredibile galleria di coloro che a rischio della propria vita hanno solcato le piste di tutto il mondo nei settant’anni di storia della F.1. Una storia che sembra un romanzo, finita tragicamente in un fosso dalle parti di Brescia.

Già l’infanzia del piccolo Fon è tutto un programma. Sua madre Olga Leighton era irlandese mentre suo padre era stato ministro dell’istruzione, sindaco di Madrid e padrino di battesimo del figlio del re Alfonso XIII di cui era amico personale e in onore del quale scelse il nome Alfonso per proprio unico figlio maschio. Era eroe di guerra, sportivo e occasionalmente attore, Antonio Cabeza de Vaca morì nel 1941 a causa di un malore mentre partecipava ad una partita di polo. Suo figlio Alfonso nacque a Londra nel 1928, ma visse tutta la giovinezza a Biarritz, in Francia: la sua famiglia aveva infatti scelto l’esilio volontario alla destituzione del re nel 1931 durante la Rivoluzione Spagnola.

Alfonso, che ovviamente non aveva alcun problema né di tempo né di soldi, si rivelò ben presto uno strepitoso sportivo “all-around”: a Biarritz possedeva dei cavalli e la famiglia gli permise di allestire una scuderia in proprio. Partecipò ad alcune gare ippiche fra gentiluomini e da lì iniziò una incredibile ascesa: a vent’anni divenne uno dei più forti fantini dell’epoca protagonista in Francia ed Inghilterra. Nel solo 1951 disputò circa cento corse vincendone trenta e conquistando il campionato per gentleman-driver, cosa che si ripeté anche nei due anni successivi.

Partecipò due volte alla più celebre ed ardimentosa corsa ad ostacoli, il Grand National Trophy di Aintree, ma lasciò l’ippica quando si rese conto “che non era abbastanza pericolosa!”. Prese il brevetto di volo negli Stati Uniti a 17 anni, ma gli fu ritirato dalle autorità quando per una scommessa passò col suo velivolo sotto un ponte. Divenne nuotatore di livello internazionale, soprattutto nella specialità del gran fondo. Si cimentò con successo nel polo e nell’atletica leggera.

Nel 1955 prese una “sbandata” per il bob e fondò la Federazione Bobbistica Spagnola: partecipò nel bob a due ai Giochi Olimpici invernali di Cortina d’Ampezzo del 1956 finendo incredibilmente quarto e l’anno successivo prese parte ai Campionati Mondiali di St. Moritz conquistando addirittura la medaglia di bronzo battuto solo dal grande Eugenio Monti e dall’americano Tyler, pochi giorni prima del suo incidente mortale. Detenne per anni il record assoluto di discesa con lo slittino ventrale – lo skeleton – dal mitico toboga naturale “Cresta Run” di St. Moritz. E poi, naturalmente, un giorno si innamorò del rumore di un motore.

Come tutte le passioni di “Fon” anche quella per le auto fu fulminea: il suo amico Ed Nelson, giornalista ed ex-surfista americano che abitava ad Honolulu, lo accompagnò ad una corsa “Midget” in Francia – una sorta di speedway a quattro ruote – e disse all’amico: “Fon, prova un po’ uno di questi affari!”. Fon salì sull’affare, partì e vinse la corsa. Fu un vero colpo di fulmine. Acquistò alcune Ferrari da competizione con l’altro suo strettissimo amico Harry Schell, “l’americano di Parigi”, e di lì a poco il suo talento – certamente più della notorietà del suo nome – lo portò nella scuderia ufficiale Ferrari: era un pilota istintivo, velocissimo, spericolato, amatissimo dal Commendatore, tanto che già nel ’56 era inserito fra le prime guide del Team e raccolse ottimi risultati soprattutto nelle categorie sport.

Ma ‘Fon’ – “chiamatemi Fon” rispondeva a chi lo presentava a qualcuno usando tutto il suo interminabile nome – era uno strepitoso personaggio anche fuori dalle piste: non avendo problemi di soldi si spostava senza bagaglio ma solo con una piccola borsa contenente l’equipaggiamento da corsa. Il resto lo comprava sempre tutto sul posto, quando arrivava. E poi lasciava tutto in albergo.

Era sposato con una ragazza americana, aveva due figli ma anche una lunghissima serie di flirt veri o presunti che gli davano una fama da playboy. Notissima la sua lunga love story con la cantante ed attrice americana Linda Christian, ex-moglie di Tyrone Power e madre di Romina Power nonché con la modella inglese Dorian Leigh che gli diede anche un figlio illegittimo. Ma Fon non era un semplice donnaiolo: era un uomo profondo, intelligente, coltissimo, che parlava correntemente sei lingue e aveva uno spiccato senso della patria. Immorale e dissoluto eppure stranamente religioso. Superstizioso come tutti gli spagnoli: molti amici e conoscenti, dopo la sua morte, testimoniarono come lui presentisse la fine imminente.

Il 1957 doveva essere l’anno della sua definitiva consacrazione: iniziò con due grandi prestazioni a Cuba – dove aveva dominato Fangio prima di un guasto al motore – e in Argentina sulle Ferrari sportcar e già traguardava il GP di Monaco, dove si sentiva fortissimo. Non amava particolarmente la Mille Miglia, che giudicava inutilmente pericolosa, preferendo le competizioni in circuito. Non doveva partecipare alla edizione ’57, ma una malattia di Luigi Musso gli liberò il posto su una potentissima Ferrari 335S da 4 litri che prese il via da Brescia alle 5 e 31 di domenica 12 maggio. Come compagno di corsa non aveva scelto un meccanico o un tecnico come facevano tutti gli altri piloti, ma il suo amico Ed Nelson, l’ex-surfista che lo aveva “iniziato” alle corse in macchina.

Essendo la sua prima partecipazione alla corsa, non aveva velleità di vincere ma solo di accumulare esperienza per tentare la vittoria nelle stagioni successive. A Roma, a metà percorso, Linda Christian lo salutò circondata dai fotografi ed immortalata da una celebre istantanea che fece il giro del mondo, per poi volare a Milano ad aspettarlo per la premiazione.

“Fon” era quarto, completando il trionfo Ferrari dietro ai compagni di squadra Taruffi, Von Trips e Gendebien quando, fra Goito e Guidizzolo, in località Corte Colomba, comune di Cavriana e a circa 40 Km dal traguardo di Brescia, perse il controllo della sua Ferrari a causa dell’esplosione di un pneumatico ed uscì rovinosamente di strada, urtando un paracarro che catapultò la vettura contro un palo del telegrafo e successivamente in un fossato dove erano assiepati gli spettatori in attesa del passaggio dei campioni.

Il corpo di Alfonso fu rinvenuto a 220 metri di distanza dal punto dell’impatto, tranciato a metà dai fili del telegrafo all’altezza del torace. Il riconoscimento fu possibile grazie al ritrovamento di un piccolo portadocumenti di pelle nella tasca interna del giubbotto con inciso il suo nome e con dentro una medaglietta raffigurante la Madonna e un foglietto con scritto: “sono cattolico, in caso di incidente chiamate un prete”. Con lui e il suo co-pilota Nelson restarono uccisi dieci spettatori.

Quell’incidente mise definitivamente fine alla storia agonistica della gloriosa Mille Miglia e mise anche seriamente a repentaglio il futuro stesso di Enzo Ferrari, al centro di violentissime polemiche e di un caso giudiziario che si chiuse solo quattro anni dopo quando una sentenza giudicò come accidentale quanto accaduto a Cavriana, quel dodici maggio del cinquantasette. Si chiuse così a 28 anni l’incredibile esistenza di Alfonso Cabeza de Vaca, Marchese De Portago, settimo pretendente al trono del re e Grande di Spagna.

Immagine: Wikipedia Commons


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