Abu Dhabi, Monza, Melbourne e la Direzione Gara. Il peccato originale è decidere per il pubblico

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di Alessandro Secchi @alexsecchi83
4 Aprile 2023 - 17:10
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Melbourne è solo l’ultimo di una serie di eventi che mettono in luce le difficoltà della Direzione Gara

Il disastro di Melbourne non ha messo in luce solo la spietata volontà di chi gestisce il Circus di renderlo il più pro show possibile per alimentare, in modo più o meno artificioso, l’entusiasmo del pubblico. Ha anche sottolineato quanto l’organo che deve decidere sulle sorti delle gare, ovvero la FIA, sia tacitamente d’accordo con la linea intrapresa dai proprietari attuali dello sport.

Quella che è emersa nelle ultime stagioni da parte della Direzione Gara assomiglia quasi ad una paura nei confronti del pubblico in tribuna oppure a casa, un timore a prescindere per un’eventuale contestazione. È evidente, in base alla posta in palio e ai piloti coinvolti, che ogni decisione della DG non possa accontentare tutti. Soprattutto per quanto riguarda gli episodi controversi, ci sarà sempre un pilota più contento di altri e lo stesso vale per il pubblico o per i fan di uno o degli altri.

Partendo da questo presupposto, la Direzione Gara dovrebbe operare in piena autonomia ed indipendenza, senza pensare a quelle che possono essere le reazioni del pubblico e, quindi, senza farsi influenzare da questo genere di opinioni potenziali nel momento di prendere una decisione.

Sappiamo, però, che non sempre funziona così. Il caso di Abu Dhabi 2021 scotta ancora dopo quasi un anno e mezzo. La decisione di Michael Masi di far disputare l’ultimo giro in regime di bandiera verde utilizzando in suo favore l’articolo 15.3 del Regolamento Sportivo, che gli permetteva di agire oltre il normale utilizzo della Safety Car, è semplicemente figlio della sottomissione della stessa FIA al volere dello spettacolo. Più volte è stato sottolineato che, nel meeting della mattina prima della gara, era stato concordato che si sarebbe dovuto fare tutto il possibile per non terminare la corsa e il mondiale con la macchina di sicurezza in pista. Alla fine andò proprio così.

Se facciamo un salto indietro di qualche mese tornando a Baku 2021, la decisione di ripartire per una gara di due giri fu determinante a far perdere punti a Lewis Hamilton. Anche in quel caso sarebbe bastato terminare in regime di bandiera gialla ma si preferì una “Mini Sprint”.

Mentre ai tempi di Abu Dhabi tutti si lamentarono perché la gara non terminò in regime Safety Car, nel 2022, a Monza, il sentimento fu l’esatto opposto. Con Charles Leclerc alle spalle di Max Verstappen, la Direzione decise di non far ripartire la corsa e di terminare con le posizioni congelate, perché i tempi dilatati per la rimozione della McLaren di Daniel Ricciardo non avevano garantito il tempo sufficiente per poter ripartire in sicurezza. La decisione fu contestatissima, in quel caso perché si ritenne negata al monegasco della Ferrari di tentare un attacco all’olandese, che gli sarebbe valso la vittoria davanti al pubblico di casa. A parti invertite, probabilmente nessuno si sarebbe lamentato.

A Melbourne l’input è tornato ad essere quello spettacolo, il cui fulcro è stato sicuramente l’utilizzo dello Standing Start per due volte oltre alla partenza originale. A conti fatti il congelamento delle posizioni dopo l’incidente di Magnussen avrebbe alzato molte meno critiche rispetto a quello che poi si è visto. Una specie di boomerang per la Direzione Gara e non solo, nonostante il Circus si sia impegnato a parlare di una gara sensazionale.

Le pressioni, in questo tipo di ambienti, fanno sempre il loro gioco e questo sicuramente si nota. Il problema è che, fino a quando si ragionerà sulla base di cosa è più importante per il pubblico e non per l’evento in sé (e la sicurezza dei piloti), ci sarà sempre il rischio di trovarsi di fronte ad una gestione come quella a cui abbiamo assistito domenica mattina. Poco chiara dal punto di vista sportivo, molto di più dal punto di vista delle intenzioni.

Immagine: Media Mercedes

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