Nessuna dichiarazione sui risultati dei primi sei GP. Chi comanda la Scuderia non si sente e non batte un colpo, se non per il marketing
L’AD Benedetto Vigna era presente a Miami per presenziare all’evento HP, nel quale è stata svelata la livrea speciale della SF-25 ad un anno di inizio della collaborazione con il Cavallino. Il Presidente, John Elkann, ha parlato per l’ultima volta annunciando lo sbarco (in tutti i sensi) della Ferrari nel mondo della vela. Nel mezzo, sei gare disastrose per la Rossa da corsa, quella a quattro ruote, che inciampa, barcolla, si fa sfilare anche dalla Williams e avrebbe bisogno di uno scossone, una parola, un scappellotto. Niente di tutto questo.
La dirigenza della Ferrari è assente ingiustificata. Presenzia agli eventi di marketing, annuncia l’esplorazione di nuovi mondi mentre il mondo che avrebbe più bisogno di lei boccheggia, annaspa anche per le scelte da lei stessa portate avanti. Da quando Sergio Marchionne è scomparso la dirigenza della Rossa assomiglia più ad un qualcosa di mistico. Paolo Villaggio, parlando in una bellissima intervista del 1975 alla TV Svizzera sul personaggio di Fantozzi, raccontava che il megadirettore, in realtà, non si capiva se fosse reale o una rappresentazione, una figura astratta. Siamo allo stesso livello.
Nel mio immaginario di povero appassionato di Formula 1 da 35 anni penso al Presidente di una squadra corse come una figura presente, attiva, curiosa, interessata a capire, parlare, confrontarsi. Un qualcuno dedito completamente alla causa, appassionato tanto e quanto chi da fuori spinge la squadra con il tifo ma con delle responsabilità più alte, quelle di decidere nel bene o nel male. Forse è un po’ quello che farei io, che faremmo tutti noi appassionati, se domani ci assumessero con un ruolo del genere.
Vorrei capire, essere coinvolto e non solo “fare” il capo banda come se fosse una spilletta da tenere sulla giacca. Vorrei vedere dati, parlare con i tecnici, capire cosa non va e cosa si sta facendo per migliorare sotto ogni aspetto che sia quello tecnico, delle strategie, delle evoluzioni. Vorrei sapere tutto ed imparare quello che non so, comprendere di più, essere sul pezzo. Vorrei chiamare a rapporto i piloti, sentire cosa dicono singolarmente, fare almeno un punto alla settimana col mio Team Principal e con il team tecnico oltre a quelli post gara. Insomma, vorrei sapere tutto ed il contrario di tutto di quello che succede. Ogni. Santo. Giorno. Senza sosta, senza sabati, senza domeniche, senza feste. Ogni. Santo. Giorno.
E ci metterei, soprattutto, la faccia. Farei da parafulmine con i media, promettendo protezione a chi lavora per la squadra e con la squadra, ma chiedendo rispetto quando si sentono cose come quelle di domenica. Perché i team radio di Hamilton, nella mia Ferrari, con tutta l’adrenalina che si vuole non sarebbero comunque tollerati dopo sei anni; figuriamoci dopo sei gare, anche se sei il più vittorioso pilota della storia. Insomma, sarei il primo difensore della causa, ma a patto di avere la fiducia incondizionata da parte di tutti. Rispetto, lavoro e si va avanti compatti.
Quello che manca alla Ferrari oggi è tutto questo. Che la parte dell’immagine sia importante al giorno d’oggi non lo mette in dubbio nessuno, ma l’immagine non può essere tutto perché il boomerang diventa poi difficile da controllare. Cosa ne pensano i main sponsor della Rossa, quelli che parlavano dei mondiali, di queste prime sei gare della stagione? Qual è il sentiment, come dicono quelli bravi, dopo le parole in festa di Piazza Castello? La mossa Hamilton è ancora appoggiata o meno? E com’è possibile che un AD, presente in loco come successo questo fine settimana, non dica nulla su quello che sta succedendo? Com’è possibile che, dopo la doppia squalifica cinese, non si sia letto nulla da parte di chi comanda la Scuderia?
Qualcuno ha il coraggio, anche stavolta, di affermare che Enzo Ferrari non avrebbe detto nulla? Che nessuna testa sarebbe stata tagliata e che nessuno sarebbe stato appeso in sala mensa, per ritornare a Fantozzi? Possibile, insomma, che nessuno qui s’incazzi a dovere di fronte a due figure indicibili nell’arco di sei gare da parte della Scuderia più titolata, più famosa, stimata e rispettata del mondo della Formula 1 e dell’automobilismo?
Là fuori ci sono milioni di tifosi che, ogni anno, si vestono di rosso, comprano, si agghindano, sfogano la loro passione nell’attesa che questa sia corrisposta. Chi ha assistito da giovane al mondiale di Raikkonen oggi ha messo su famiglia, ci sono generazioni di tifosi che non sanno cosa significhi vincerne uno. Ci si è andati vicini diciamo tre volte e mezza ma, da anni, il vuoto è pneumatico e la Gestione Sportiva sembra un grande Hotel dalle porte girevoli. Vanno e vengono tecnici, Team Principal, piloti ma non cambia niente. E ciò che non cambia, più di tutto, è l’apatia che arriva dall’alto, l’indifferenza, il silenzio che fa più rumore di parole sbadate, di giri veloci più importanti di vittorie, di monoposto “dalle prestazioni senza precedenti” come la SF-23.
Spiace doverlo dire e forse si ha paura di farlo, ma la Ferrari ha bisogno di altro. È stata allevata, cresciuta con passione vera per decenni ed oggi sembra che, a mancare, sia proprio questo. E un’assenza del genere pesa, si fa strada, si estende a macchia d’olio. Porta a confusione, incertezze, rivoluzioni cicliche.
Così non si va da nessuna parte. Chissà quanto ci vorrà ancora per capirlo.
Immagine di copertina: Media Ferrari
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