Dopo il Gran Premio del Giappone torna a farsi strada il termine noia legato alle gare di F1
La gara di Suzuka non è stata propriamente divertente dato il basso numero di sorpassi in pista, soprattutto nelle prime posizioni. Questo ha dato il là a tutta una serie di critiche da parte degli appassionati, che si sono alzati presto al mattino per assistere ad una corsa che non ha fornito molti picchi di adrenalina. Ci sono una serie di elementi, anche generazionali, che vanno considerati quando si parla di noia. Cercheremo, in questa analisi, di affrontare tutti i temi e le variabili che portano alle critiche come quelle ricevute dalla gara di Suzuka.
La pista
Il tracciato di Suzuka appare come uno degli elementi più importanti riguardo il poco divertimento di domenica. Pista storica, tra le più apprezzate dai piloti e protagonista di duelli mozzafiato in passato, resta una location old style: stretta, tortuosa e con una sola zona DRS a disposizione. Si potrebbe sostenere che sia diventata ormai una pista anacronistica per la F1 attuale ma, appunto, non è la pista ad essere cambiata o diventata inadatta. È ciò che ci corre sopra ad essere cambiato, ovvero le monoposto; non tanto per la loro larghezza (fino al 1997 la carreggiata era di due metri, esattamente come oggi), ma per la lunghezza, aumentata progressivamente di un metro negli ultimi 15 anni tra serbatoi da gara full e introduzione dell’ibrido. La suggestione del ritorno ai V10 è grandissima: anche perché comporterebbe, oltre al ritorno di un sound epico, anche a dimensioni e pesi davvero ridotti con tutte le conseguenze positive del caso.
Suzuka resta una delle piste migliori del mondo, capace di esaltare le capacità dei piloti (lo abbiamo visto in qualifica con Verstappen e Leclerc) ma sono le monoposto odierne a richiedere delle vere e proprie autostrade, spesso simili in termini di layout, per poter essere sfruttate a dovere. Basti pensare a Baku, Las Vegas, Jeddah. Il fatto che per Monaco sia stato ideato un regolamento ad hoc, con due soste obbligatorie, certifica una situazione surreale nella quale i tracciati più storici e ancora tecnicamente interessanti e difficili sono quelli che si trovano più in difficoltà con queste ultime generazioni di monoposto. Non è però colpa loro, perché non sono loro ad essere cambiati nel corso del tempo.
I sorpassi
Quella dei sorpassi è una questione nota e arcinota, più volte sottolineata su queste pagine. Il DRS ne ha stravolto il concetto sin dalla sua introduzione nel 2011, portando questo termine ad essere usato quasi impropriamente. I sorpassi con il DRS altro non sono che degli scambi di posizione, favoriti da una differenza di velocità importante tra le due monoposto altrimenti non ottenibile.
Il sorpasso vero, studiato, preparato e poi portato a termine dopo giri di attesa, non esiste quasi più. L’arte del sorpasso, quella che determinava le caratteristiche di un pilota, è stata sepolta dall’ala mobile e sostituita da un surrogato, che illude lo spettatore di assistere ad una corsa divertente fatta di un pallottoliere di scambi di posizione, senza però l’adrenalina di un’azione coraggiosa. Paradossalmente, quando qualche pilota si avventura in un sorpasso ardito e questo non va a buon termine, parte la penalità come a tarpare qualsiasi spunto di originalità ed omologare, come unico sistema di sorpasso valido, quello portato a termine con l’ala mobile.
Dopo 15 anni e con il “riciclo” della fanbase della F1 portato da Liberty Media, il sorpasso come inteso una volta appartiere, appunto, ai libri di storia. L’importante è vedere degli scambi di posizione, artificiali o meno che siano poco importa.
Lo spettacolo, alla fine, cos’è?
In una generazione in cui la soglia di attenzione è sempre più bassa è comprensibile che gli ultimi 20 giri del GP del Giappone siano risultati di una noia mortale. Eppure, c’è chi vi potrebbe dire che l’intensità di quei 20 giri, con Verstappen, Norris e Piastri racchiusi in meno di tre secondi, vale tanto e quanto decine di sorpassi con il DRS.
La ricerca spasmodica di Norris di avvicinarsi di quei due decimi necessari ad entrare in zona ala mobile su Verstappen e la tenacia dell’olandese nel contenere il tentativo, giro dopo giro, settore dopo settore, decimo su decimo, restano esercizi di altissima classe e precisione e, per certi versi, di un’intensità superiore rispetto a vedere una monoposto che ne passa un’altra con 20km/h di differenza. Globalmente, il weekend di Max Verstappen e della Red Bull rappresenta la perfezione in termini di recupero giorno dopo giorno sulla McLaren, ma questo aspetto è passato in secondo piano, soppiantato dalla “noia” di non aver visto Norris recuperare sull’olandese (e la McLaren non provare uno swap, va detto).
Spiace che parte del pubblico attuale non riesca a percepire quale costanza ed impegno i piloti mettano in Gran Premi come quello di domenica. La situazione attuale è però figlia di come la F1 è stata sviluppata negli ultimi anni in termini mediatici e di obiettivi; con la promessa di renderla sempre più spettacolare ed entusiasmante (termine che viene usato sistematicamente, quasi abusato, in ogni comunicato stampa), ma in quale senso del termine? A tal proposito, riportiamo una dichiarazione di Mario Isola, Direttore Motorsport di Pirelli, inserita nel comunicato sulle mescole previste per Miami ed Imola.
“Sappiamo bene come squadre e piloti siano diventati molto bravi a gestire le gomme per massimizzarne le prestazioni in funzione del risultato e come i piloti desiderino spingere sempre al massimo per provare le emozioni di guida che solo una monoposto di Formula 1 sa dare. Ne abbiamo avuto un’ennesima conferma domenica scorsa a Suzuka, dove pur in una gara non esattamente esaltante dal punto di vista dell’azione in pista, tutti hanno espresso la loro soddisfazione per aver potuto migliorare continuamente i loro tempi fino alla fine di ogni stint.
Dobbiamo però contemperare questo aspetto con la volontà, che tutti i protagonisti del nostro sport nutrono, di creare le condizioni per gare incerte e spettacolari: le gomme e il loro comportamento sono una parte importante del quadro e noi, come partner della Formula 1, vogliamo essere proattivi”.
Prendiamo in esame quest’ultimo paragrafo. Da un lato abbiamo piloti e team soddisfatti per aver potuto spingere (elemento che dovrebbe essere fondamentale in F1) e, dall’altro, la necessità di creare (appositamente) incertezza per mescolare i valori in pista ed avere quindi spettacolo, a questo punto artificiale, tramite gomme dal degrado controllato che possano mnettere in difficoltà le strategie.
Uno spettacolo artificiale un po’ come succede con il format Sprint, con una sola sessione di prove libere e magari su una pista appena riasfaltata come capitato in Cina. Con il risultato di avere Sprint Qualifying e Sprint che vanno in una direzione e qualifiche e gara vera che vanno in un’altra, disorientando anche il pubblico nella comprensione dei valori in pista, con esaltazioni da vittorie nelle Sprint e delusioni alla domenica sera.
Ci permettiamo di sottolineare che, in tutto questo, il termine “spettacolo” viene forse usato in modo improprio, in riferimento a qualcosa che ha più le volontà di un intrattenimento ricercato e forzato, dissociato dai veri valori delle monoposto e dai fondamenti di uno sport motoristico, che dovrebbe premiare sempre e comunque chi lavora meglio in fabbrica e in pista.
La troppa affidabilità
Un elemento che i vecchi appassionati ricorderanno e che oggi è completamente scomparso dalla F1 è quello dei problemi tecnici che influenzavano i Gran Premi. Non era raro, negli anni ’80 o ’90, assistere a gare in cui arrivavano al traguardo pochissime monoposto, a volte anche meno della metà. I guasti erano un elemento di rilevanza fondametale nella F1 di un tempo: un elemento che contribuiva a tenere gli spettatori incollati al televisore perché non era assolutamente scontato vedere le monoposto arrivare al traguardo e, questo, influiva in modo deciso anche nelle classifiche iridate. È evidente che su questo fronte non ci sia possibilità di tornare indietro, ma la “noia” deriva in parte anche dal vedere, a meno di incidenti, venti macchine partire ed arrivare al traguardo senza alcun problema.
I team si fanno furbi
Regolamento che fai, trucco che trovi. Il ciclo tecnico iniziato nel 2022 doveva favorire i sorpassi e lo stesso si dice di quello che inizierà nel 2026. All’inizio è sempre così (nel 2022 le cose erano andate bene) ma poi, stagione dopo stagione, la situazione cambia e il motivo è chiaro. Per quanto la FIA cerchi soluzioni per limitare il flusso d’aria sporca che investe le monoposto che seguono, tecnici ed ingegneri sono pronti a mettere mano ai loro progetti per cercare soluzioni alternative.
Sporcare l’aria alla monoposto che segue significa renderle difficile lo stare in scia e tentare un sorpasso, quindi perché non farlo? È chiaro che, al quarto anno dello stesso ciclo, la situazione si sia ormai consolidata e, anche questo, contribuisce in alcune situazioni a rendere le gare meno movimentate.
Hype, aspettative e realtà
Come accennato in precedenza, la F1 viene “venduta” come uno sport dall’alto tasso di spettacolarità e dalle gare sempre entusiasmanti, o almeno potenzialmente. Credere che questo possa avvenire sempre è però sbagliato, perché non si può mai dare per certo che una gara regali sempre le punte di adrenalina che ci si aspettano.
In realtà è il concetto stesso di Motorsport a scontrarsi con la ricerca spasmodica dello spettacolo a tutti i costi e, in un certo senso, la gara del Giappone rappresenta molto più la vera anima del Motorsport rispetto ad una corsa con tre pit stop su una pista larga 15 metri metri e con rettilinei da oltre un chilometro e mezzo.
A scontrarsi sono anche diverse generazioni di appassionati: quelli di vecchia data che possono convivere tranquillamente con gare come quella di Suzuka e quelli di più recente estrazione che, per come la F1 si è “presentata”, hanno bisogno di continue emozioni (anche se indotte) pur di continuare a seguire con interesse. Il problema, per chi ricorda anni lontani, è che la direzione presa dall’attuale gestione del Circus va chiaramente nella direzione del nuovo pubblico, tra l’altro “autocostruito” in gran parte.
Pertanto, piste e gare come quella del Giappone saranno materia di studio per cercare di non vedere in futuro le stesse scene. A Montecarlo si è passati alle due soste obbligatorie: per le altre location, staremo a vedere. Almeno fino a quando nuove piste chilometriche ed infinitamente larghe non arriveranno a rimpiazzare quelle che “ostacolano” in qualche modo lo spettacolo, nell’accezione più televisiva (e meno sportiva) del termine.
Immagine di copertina: Media Red Bull
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