Continuano i clickbait che giocano sullo stato di salute di Schumi – che continuerò a denunciare – ma il sistema va al di là di Michael
Niente: per quanto uno cerchi di evitare il più possibile lo schifo del web, questo prima o poi ti si presenta in faccia. Lo ignori una, due, anche tre volte, ma alla quarta non si può restare indifferenti, soprattutto se si marcia sullo stato di salute in questo caso di Schumi.

Il clickbait è uno dei mali del web: ne abbiamo parlato a più riprese in senso generale ma, partendo da questo ennesimo caso, è un dovere fornire qualche informazione in più su questa dinamica, sul cosa si nasconde dietro le quinte e sui meccanismi di un modo di fare informazione che, alla fine, è tutto tranne che informazione, ma solo ricerca di incasso facile sfruttando metodi che con l’etica hanno ben poco a che fare.
Il post di cui sopra è un esempio lampante di un sistema vastissimo che sta completamente rovinando l’informazione in questo paese. Foto di Michael con scritta funebre “È FINITA” per far capire al lettore che è morto. E non è un’interpretazione, sia chiaro. Perché la descrizione dell’immagine è ancora più chiara:
Schumacher, il triste annuncio: “Niente da fare, purtroppo è m…Altro…”
Quella scritta “Altro” che vedete è un’altra perla. Come saprete, le descrizioni troppo lunghe su Facebook vengono troncate con un “Altro” che, una volta cliccato, apre il post completo. È di moda, da tempo, scrivere a mano “Altro”, troncando manualmente la parola precedente che, puntualmente, fa pensare a qualcosa di grave o sconvolgente. Non c’è altro testo, ma si fa in modo che il malcapitato cerchi di cliccare da qualche parte.
Una volta c’era un link diretto ma, ultimamente, Facebook sta penalizzando in modo abbastanza consistente i contenuti che portano a siti esterni. E qui arriva un’altra chicca degli ultimi tempi.

Ovvero, pubblicare il link di un articolo nel primo commento sotto il post, per aggirare in qualche modo il “blocco” di Facebook. I social, sempre di più, premiamo i contenuti che restano all’interno del social stesso (e su questo ci sarà bisogno di un altro articolo), pertanto si crea un post con immagine e testo semplice e poi, nel primo commento, si rimanda al contenuto che si vuole veramente pubblicizzare.

Ora veniamo alla parte più succosa del tutto. In questo caso l’articolo riporta ad un sito che si chiama “Fidelity Donna”, il tutto pubblicato da una pagina Facebook dal nome “Cuore di mamma L’originale”. Quasi 180.000 followers.
Ora, perché un sito che si chiama Fidelity Donna debba parlare di Schumacher, in un mondo normale, non si sa. E perché una pagina che si chiama “Cuore di mamma L’originale” debba condividerlo, men che meno. Però, siccome non siamo in un mondo normale, adesso vi spiego cosa succede.
Nel nostro paese esistono una serie di società il cui business è immettere nel web portali come questi, che pubblicano notizie in continuazione (spesso di dubbio gusto) anche oltre i confini del proprio ambito iniziale. Esattamente come un “Fidelity Donna” che parla di Michael. Nel caso di Schumi, l’articolo linkato riporta notizie generiche, trite e ritrite e che tutti conosciamo, con un rapporto contenuto/pubblicità pari a 20/80 circa. Articolo, oltretutto, suddiviso su più pagine in modo da moltiplicare le pagine viste per gli analytics e i banner visualizzati. E non ci sarebbe neanche qualcosa di male se non fosse che l’incentivo per invogliare il lettore ad entrare a leggere va contro qualsiasi etica, spacciando Schumi per morto.
Ora veniamo alla compravendita delle pagine Facebook. Come ampiamente documentato dalla pagina “Baitman – il giustiziere del Clickbait” (che fa un ottimo lavoro nello smascherare clickbait a fake news) esiste un vero e proprio mercato di pagine con decine o centinaia di migliaia di follower, che vengono acquistate per quattro spicci (o forse più) e, da un giorno all’altro, vengono bombardate da clickbait come quello sopra e perdono completamente il senso dato loro all’inizio. Semplicemente, vengono acquistate per avere a disposizione i follower a cui dare in pasto i contenuti più disparati, falsi o disagiati (dipende dal livello). Il tutto per portare gli utenti sul sito, visualizzare i banner e generare introiti. Questi portali contano decine di siti, nella maggior parte dei casi impostati uguali, che pubblicano in continazione contenuti come questi per generare esclusivamente visualizzazioni dei banner.
In tutto questo l’informazione c’entra meno di zero. Si tratta solo di aumentare, comprandolo, del pubblico da bombardare con clickbait per portarlo ad aprire questo o quel link. L’esempio di cui sopra illustra al 100% questo processo. E poco importa che poi l’articolo in sé, almeno in questo caso, riporti notizie non false. Ingannare il lettore facendo capire che Schumi (o chi per esso) è morto dovrebbe essere pratica perseguibile, perché non ha alcuna base etico/giornalistica ma solo il fine di “truffare” in qualche modo il lettore. Tra l’altro, nel caso di Fidelity Donna, in fondo al sito mancano i riferimenti all’eventuale testata registrata, che dovrebbero essere obbligatori se di testata stiamo parlando. Anche qui, ci sarebbe da aprire un altro discorso su testate, non testate e sul senso di questa suddivisione (e anche dell’Ordine dei Giornalisti) nel 2024.
La cosa davvero preoccupante, in tutto questo, è che purtroppo tanta gente crede a questi contenuti. Sotto il post dello screen è pieno di gente che fa le condoglianze alla famiglia Schumacher senza minimante porsi la domanda più semplice: “Ma perché questa pagina pubblica un articolo che niente ha a che fare con la pagina stessa?”. Ed è proprio sull’utente medio, il malcapitato che si pone poche domande, che questi portali lucrano portando a casa interazioni, introiti pubblicitari e quant’altro.
Il sistema, insomma, è enorme. Non si tratta di un sitarello e basta a cui piace fare clickbait e informazione un tanto al chilo. Si tratta di un meccanismo conclamato che non ha minimamente a che fare col giornalismo, l’etica e l’informazione. E quello di Schumi è un caso limitato, perché il sistema è presente ovunque e per qualsiasi argomento. Quindi potete immaginare…
Rimedi a tutto questo? Difficile. Coscienza dovrebbe portare ad evitare certi contenuti, abbandonare le pagine Facebook relative, segnalare al social i contenuti non ideonei. E un social serio (una chimera, lo so) dovrebbe proteggere i propri utenti se volesse mantenere un certo standard di qualità. Tutto molto bello a parole ma difficilissimo da applicare.
Questo articolo serve a sensibilizzare sulla questione, prendendo come spunto una pratica ignobile attinente al motorsport che più volte abbiamo preso in esame, perché con le condizioni di Michael c’è tanta, troppa gente che ci marcia e questo non è tollerabile. Le altre segnalazioni verranno fatte dove necessario, evidentemente.
In tutto questo, sapete qual è la cosa che più fa riflettere? Che, quando si cercano dei fondi, magari per un sito che cerca di fare informazione seriamente e senza prendere in giro i lettori, le aziende chiedono il numero dei follower e delle visite. Fate 1+1…
---
Stai visualizzando da visitatore. Accedi o registrati per navigare su P300.it con alcuni vantaggi
È vietata la riproduzione, anche se parziale, dei contenuti pubblicati su P300.it senza autorizzazione scritta da richiedere a info@p300.it.