P300.it si è recata nel box BMW Bonovo per intervistare Scott Redding. Ecco come ha risposto alle nostre domande.
da Misano Adriatico
Una persona che ama raccontare e raccontarsi, aperta a tutte le domande e molto sentimentale in ogni risposta. Scott Redding è apparso così in una lunga chiacchierata che noi di P300.it abbiamo potuto svolgere nel retro del box Bonovo.
Ciao Scott, è un piacere essere qui con te. Quando è nata la tua passione per le moto?
“La mia passione è nata quando ero ancora piccolo. Penso di aver cominciato a guidare le moto a tre anni. All’epoca facevo principalmente motocross e dirt bike. Non mi piaceva molto, quindi poco dopo sono passato su pocket bike e minimoto e da lì ho cominciato a divertirmi di più. Mio padre era un pilota di cross, ecco perché ho cominciato sullo sterrato. A me, però, piaceva di più correre in circuito!”
Il tuo talento si è espresso in età precoce, visto che hai battuto numerosi record in 125cc, tra cui quello del vincitore più giovane di un Gran Premio. Il tuo debutto mondiale è stato così positivo come dicono le statistiche?
“Sono sempre stato abbastanza precoce! Ero sempre il più giovane nella mia categoria. Lo ritengo abbastanza importante, visto che questo ti permette di avere un po’ più di tempo per imparare. Inoltre, all’epoca si poteva esordire nel Motomondiale a quindici anni, cosa che per me è stata molto positiva. D’altro canto, è anche una cosa negativa, visto che passi molto tempo girando il mondo mentre i tuoi amici a casa seguono uno stile di vita completamente diverso. Insomma, se hai un obiettivo devi concentrarti e fare tutto il possibile per poterlo perseguire”.
“La gara a Donington [2008, n.d.r.] è stata fantastica perché non mi aspettavo di vincere. È stato il mio primo Gran Premio di casa, tra l’altro su un tracciato in cui, all’epoca, non avevo mai corso. Insomma, il successo non è arrivato per la conoscenza pregressa della pista. Inoltre c’erano tutti i fan inglesi e tantissime famiglie. Il weekend stava procedendo così in fretta da non farmi ricordare nemmeno la posizione di partenza. Quando ho visto i risultati mi sono detto ‘Porca miseria, sono in prima fila, è un bel risultato!’. La gara è andata bene e il giorno dopo il mio nome e la mia faccia erano su tutti i giornali. Ero molto giovane e l’ho trovato strano, ma da lì ho cominciato a capire l’impatto che puoi avere in quanto pilota e le cose a cui potresti andare incontro in futuro”.
Hai debuttato in Moto2 a soli 17 anni. Puoi dirci perché sei salito di categoria così presto e perché la tua crescita è stata lenta?
“La storia è abbastanza strana. A fine 2009 non avevo una sella. La mia carriera sembrava giunta al termine perché avevo una moto che si rompeva ad ogni weekend e, di conseguenza, non portavo a casa dei risultati. Mi è arrivata all’ultimo la possibilità di correre con Marc VDS, che all’epoca era un team nuovo, così sono andato lì. Penso che fossi uno dei piloti più giovani della griglia, se non il più giovane. Ho mostrato di avere un buon potenziale, ma non ero ancora in grado di gestire al meglio la pressione. Alla prima gara in Qatar ero primo o secondo nelle libere, ma nelle qualifiche non ero a posto a livello mentale e in gara ho fatto fatica. Inoltre ho corso contro gente del calibro di Toni Elias, che proveniva dalla MotoGP e aveva tanti anni di esperienza. I miei avversari erano più vecchi di me e io ero ancora molto giovane”.
“Nel corso dell’anno ho acquisito velocità e confidenza e, per questo motivo, ho pensato che passare in Superbike non fosse la scelta migliore per noi. Ho spinto molto per cercare di avere la Kalex nel 2011, ma non è stato possibile. Quell’anno ho sofferto molto e, secondo me, la colpa è della moto. Sai, a volte bastano uno o due persone per far andare forte il mezzo che guidi. Poi siamo passati a Kalex e i risultati sono cambiati. Nel 2012 ho ottenuto 5 o 6 podi ma, soprattutto, sono cresciuto come pilota e ho acquisito confidenza per l’anno successivo. Nel 2013 ho lottato per il titolo, ma alla fine mi sono rotto il polso e non sono riuscito a vincere il campionato”.
Nel 2014 sei passato in MotoGP con Gresini. Quando e perché il team ha deciso di affidarti una moto nella classe regina?
“Ho ricevuto un paio di offerte per passare in MotoGP, ma tutte per il 2015. In pratica sarei dovuto rimanere in Moto2 un altro anno e poi salire di classe. Ero preoccupato per la possibilità di avere una brutta stagione nel campionato di mezzo, perché usiamo tutti lo stesso motore, e, per me che sono pesante, è una situazione svantaggiosa. Ero un po’ stufo ad essere sincero! Allora, visto che è spuntata la possibilità di andare a correre sulla Honda Open di Gresini, di cui tutti parlavano un gran bene, ho deciso di accettare. La prima volta che ho guidato quella moto ho pensato che fosse già finita la stagione. Era un secondo più lenta delle altre solo di motore. Penso sia stato un peccato, perché il mio debutto in MotoGP sarebbe potuto essere molto migliore e ha anticipato il resto della mia carriera nel campionato, piena di alti e bassi e di cambi di casacca.
L’anno dopo con Honda è stato complesso. Nemmeno Marc Marquez e Dani Pedrosa riuscivano a fare top 5 con quella moto, così sono passati al mezzo più vecchio e sono tornati a vincere gare. Mi è stata negata questa possibilità, quindi ho avuto problemi per praticamente tutta la stagione. Ho deciso quindi di passare in Ducati con Pramac e questa volta la gente ha detto che il cambiamento fosse rischioso, ma per uscire da quella situazione dovevo fare un tentativo. Mi sono trovato bene con la moto e ho cominciato a ottenere migliori risultati, anche se sono continuati gli alti e bassi.
La MotoGP è molto difficile, specialmente quando corri con un team satellite, cosa che negli anni è cambiata. Ho ottenuto dei podi e ne avrei fatti anche altri se non avessi avuto alcuni problemi di natura meccanica o di gomme. Non penso di aver mostrato il mio massimo potenziale in quegli anni, ma anche questo fa parte del gioco, nel bene o nel male. Poi sono andato in Aprilia ed è stato un disastro totale.”
Quando sei andato in Aprilia il tuo sogno di diventare un pilota ufficiale è stato distrutto da una moto poco performante. Puoi dirci di più?
“Nel 2017 l’Aprilia non era una brutta moto, quindi ho firmato un contratto con loro. Poi hanno creato la versione 2018, il cui sviluppo era andato completamente nella direzione sbagliata. All’inizio ero molto arrabbiato. Mi sono bastati un paio di giri a Sepang per capire che la moto non fosse competitiva. Ero due secondi più lento degli altri e mi trovavo molto male alla guida. Ho detto al team che non potevamo continuare in quella direzione, ma per qualche motivo non mi hanno ascoltato. Di conseguenza abbiamo fatto fatica per tutta la stagione. A 3 gare dal termine hanno dato ad Aleix Espargaró la vecchia moto e ha cominciato ad ottenere risultati. Quell’anno è stato molto difficile per me, anche a livello psicologico.”
A Valencia hai concluso la stagione lanciando tutto il tuo abbigliamento al pubblico. C’è qualche significato metaforico dietro a questo gesto?
“Quando lasci la MotoGP non ci torni più. Questo avviene nel 90% dei casi. Sapevo quindi che sarebbe stata l’ultima volta in cui avrei corso lì. Piacevo a praticamente tutti perché non sono uno showman, ma ho personalità. Sanno che sono vero, divertente e che ogni tanto faccio un po’ di casino. Sono fatto così e alle persone piacevo per questo. Così ho deciso di dare tutto al pubblico. Mi ricordo che era una brutta giornata di pioggia. In questo modo si sono ricordati di me.”
Nel 2019 sei passato al BSB, categoria in cui hai saputo esprimerti al meglio. Quando e come è arrivata quest’opportunità?
“Dopo il GP di Valencia ho detto alla mia famiglia e al mio management che mi sarei ritirato. A livello mentale ero davvero esausto e nulla riusciva più a farmi divertire. Non c’era più motivo di proseguire. Dopodiché ho affittato un appartamento a Riccione, in cui ho vissuto solo assieme al mio cane per 2 o 3 mesi. Lì ho pensato molto sul da farsi. Mi sono posto molte volte domande come ‘Voglio davvero ritirarmi?’, ‘La mia carriera è finita qui?’, ‘Posso ancora competere?’. La risposta, almeno all’inizio, era ‘No, è finita, non mi interessa più’. Col passare dei giorni ho cominciato a ripensare al passato, a quando lottavo per il mondiale e al fatto che, all’epoca, ero il pilota più giovane della storia ad aver vinto un Gran Premio. Insomma, mi sono convinto di avere ancora qualcosa da dimostrare e, quindi, ho deciso di rimettermi in gioco.
Non mi arrendo facilmente, anche se a volte ci vado vicino. Allora ho telefonato al mio manager e gli ho detto che non mi sarei ritirato ma che, allo stesso tempo, avrei voluto guidare un mezzo supportato da un team con il quale avrei potuto vincere, non importa se con una moto, un cavallo, un quad, una moto d’acqua o un’auto. Volevo provare a me stesso di poter ancora vincere. In caso non fossi riuscito a dimostrare il mio potenziale, mi sarei ritirato. Così abbiamo guardato in direzione Superbike, dove nessuno era particolarmente interessato a me a meno che non fossi riuscito a pagarmi la sella. Ho rifiutato perché correre è il mio lavoro e non pagherei mai per farlo.
Poi abbiamo guardato in altre direzioni, rivolgendo l’attenzione a MotoAmerica e BSB, in cui mi sono trovato con Paul Bird e Stuart Higgs. Mi hanno proposto una moto competitiva in un team di alta classifica e ho accettato nonostante non conoscessi né i circuiti né il campionato. Non avevo mai corso nel BSB ma ero sicuro di poter vincere in quelle condizioni. Mi sono rotto i legamenti circa quattro mesi prima dell’inizio del campionato e il femore mentre ero in Spagna, a un mese dal primo test. Il team mi ha detto che non ero più utile per loro e, di conseguenza, avrebbero terminato il mio contratto. Non ero d’accordo. Così, nonostante il dottore mi avesse detto che sarebbero servite 8 settimane per recuperare dall’infortunio, sono salito in moto dopo appena 3 settimane e 4 giorni e ho fatto il record del tracciato già alla prima giornata. In quell’occasione ho dimostrato di sapere ancora andare in moto e di poter lottare per il titolo.”
Nel 2020 hai debuttato nel mondiale Superbike con Ducati. Come e quando è arrivata questa possibilità?
“Sono stato fortunato, lo ammetto! Tutto è dipeso dalla scelta di Alvaro Bautista di lasciare la Ducati a fine 2019. Questo mi ha lasciato l’opportunità di salire in sella a quella moto. La mia carriera è stata piena di momenti simili! Ho dato il meglio di me per portare a casa risultati. Quando siamo andati ad Assen abbiamo potuto comparare i dati e abbiamo visto che, effettivamente, ero competitivo. Insomma, il cambio casacca di Alvaro mi ha lasciato la porta aperta! Avevo anche la possibilità di andare in altri team perché, già dopo pochi round nel BSB, la gente ha aperto gli occhi e ha capito che ero ancora veloce, il tutto grazie al fatto di essere riuscito a mostrare il mio potenziale. Praticamente, 12 mesi prima volevano che io pagassi per correre ma, già dopo qualche gara, erano disposti a pagarmi per correre. Questo ti fa capire quando sia matto il mondo!
Sapevo di essere nella condizione di avere delle opportunità importanti e che dovevo restare concentrato. Così, quando Alvaro è andato in Honda, mi si è aperta questa porta! Avevo capito che mi serviva una moto competitiva in un buon team, così sono andato in Ducati per due anni, nei quali ho di nuovo dimostrato il mio potenziale facendo belle gare e ottenendo dei risultati validi. Insomma, mi sono divertito!”
Oramai sei diventato una presenza fissa in Superbike. Secondo te, qual è la principale differenza, a livello di paddock, tra questa categoria, il BSB e la MotoGP?
“Non penso che la differenza principale tra i vari paddock sia l’atmosfera, perché questa è sempre piacevole. Piuttosto, credo che cambino molto le possibilità del pubblico di raggiungere il pilota e viceversa e la libertà che si ha. La MotoGP è diventata un po’ come la Formula 1: certe cose non si possono dire. Certo, è sempre stato così, ma ora ci sono più restrizioni. Di conseguenza i piloti non mostrano molta personalità perché hanno paura di fare qualcosa di sbagliato. Io non sono questo tipo di persona, al massimo mi metto nei guai e ne affronto le conseguenze.
Quando sono arrivato nel BSB gli stewards mi hanno detto di essere me stesso e che sarebbe stato difficile creare problemi. Insomma, potevo essere me stesso, interagire con i fan e fare praticamente ciò che mi andava di fare. In Superbike la situazione è nel mezzo: devo essere professionale, ma allo stesso tempo posso comunque essere me stesso. E oltretutto le gare sono molto belle. Il BSB mi piaceva perché, praticamente, correvamo senza interferenze. Non c’erano grandi scelte di gomme, per altro le stesse per tutti, e l’elettronica era assente. A fare la differenza era il pilota. In diverse categorie, come la Formula 1, il mezzo che si usa può influenzare il risultato. Mi piace la Superbike perché bilancia questi due mondi.”
La prossima domanda riguarda BMW, la moto con cui corri dal 2022. Quali sono state le tue prime impressioni e che direzione pensi che abbia preso lo sviluppo della moto da allora?
“All’inizio ero un po’ spaventato, perché le sensazioni che ho provato alla guida erano diverse da quelle che mi aspettavo dopo aver visto il mezzo da fuori. Durante questo periodo la moto è cambiata molto, soprattutto per quanto riguarda il motore, e l’abbiamo sviluppata e resa vincente. Toprak Razgatlioglu ha portato la BMW a un altro livello, visto che sta guidando molto bene. Quest’anno posso dire che la moto è competitiva, ma a livello di guida devi trovarti quasi perfettamente in tutte le aree per andare forte. Sono contento del lavoro che abbiamo fatto negli scorsi anni, in cui ho guidato, testato e sviluppato questa BMW. Certo, è stato molto stressante, ma volevo che questa moto fosse competitiva. Insomma, era l’obiettivo che mi ero prefissato dal momento in cui ho firmato il contratto. La moto ora sta vincendo, sfortunatamente non con me alla guida, ma possiamo dire che il potenziale c’è e ciò mi rende felice.”
Parlando di presente. Che obiettivo ti sei posto per questa stagione?
“Mi piacerebbe essere più competitivo. Mi ero posto l’obiettivo di essere un pilota da top 5 in lotta per il podio. Insomma, questo è ciò che sento di poter fare e che mi piacerebbe ottenere. La griglia, comunque, è fortissima, piena di piloti veloci, e anche le altre moto stanno salendo di livello, quindi è molto difficile. Nonostante ciò vorrei trovarmi dove ti ho detto.”
Ultima domanda. Che piani hai per il 2025?
“Ad essere sincero non ho certezze. Ho un contratto con BMW valido anche per l’anno prossimo. Al momento, però, non ci sto pensando. So che tutti vorrebbero parlare di queste cose il prima possibile, ma al momento sono concentrato sul mio lavoro gara per gara, provando a migliorare. Insomma, quello che sarà, sarà. Mi piacerebbe restare con BMW in Superbike, ma non so cosa mi aspetta in futuro.”
Ringraziamo Scott per la lunga chiacchierata e Evelyn di BMW e Maria del team Bonovo per averla resa possibile.
Media: Press BMW Group
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