Tre anni e mezzo fa P300.it con i contributi di Federico Benedusi, Gabriele Dri e Andrea Gardenal dedicò una retrospettiva in tre parti al Team Penske in occasione della 500esima vittoria nella sua storia. Domenica scorsa, al Texas Motor Speedway di Fort Worth, Josef Newgarden ha conquistato il successo numero 600 della scuderia di Roger Penske, quindi abbiamo deciso di aggiungere un quarto capitolo dedicato a questi ulteriori 100 trionfi.
Nel frattempo potete recuperare a questi link la prima, la seconda e la terza parte di questa fantastica storia lunga oltre 50 anni.
La storia del Team Penske fra le vittorie numero 501 e 600 è un segno del rinnovamento della squadra sia per quanto riguarda il settore piloti che quello dell’espansione globale. Sarebbe stato il coronamento perfetto di questi tre anni e mezzo se Scott McLaughlin fosse riuscito a difendersi dal compagno di squadra Newgarden all’ultimo giro a Fort Worth: infatti il neozelandese ha conquistato ben 34 di queste 100 vittorie, più del doppio di tutti gli altri piloti della squadra.
Scott è stata la vera scoperta di Roger Penske negli ultimi cinque anni e tutto è nato dall’avventura australiana nel Supercars in collaborazione con il Dick Johnson Racing iniziata nel 2015 e terminata nel 2020. L’ingaggio di McLaughlin nel 2017 ha determinato la svolta nel team: un titolo sfiorato subito, perso da Jamie Whincup all’ultima gara dopo una serie di tragici errori, poi una storica tripletta fra 2018 e 2020 in stagioni completamente dominate.
McLaughlin in queste quattro annate ha conquistato addirittura 48 vittorie (contro le otto del compagno di squadra Fabian Coulthard) su 113 gare possibili, un dominio incredibile culminato con il successo più prestigioso in terra d’Oceania, ovvero la Bathurst 1000 con Alexandre Prémat come copilota. L’edizione del 2019 si è chiusa tra le polemiche in quanto in molti hanno attribuito il successo di Scott all’aiuto dietro la safety car del compagno di squadra Coulthard (poi effettivamente penalizzato) e non al talento del neozelandese.
Probabilmente questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso e McLaughlin, stufo di essere stufo di un paddock definito da lui stesso “tossico”, ha iniziato a pianificare il suo trasferimento negli USA, sostenuto ovviamente da Roger Penske che già aveva visto in lui un enorme talento. Il dubbio più grande per Scott è sicuramente stato però dove andare: in NASCAR, vettura già provata da lui in una esibizione a Surfers Paradise, per rimanere con le vetture a ruote coperte, oppure la più prestigiosa – almeno globalmente – IndyCar pur non avendo guidato vetture del genere dall’adolescenza in Formula Ford.
Alla fine la decisione in vista del 2021 è stata chiara: Scotty voleva la IndyCar e fin dal 2020, pur correndo ancora nel Supercars in Australia, ha iniziato a mettere in piedi il suo percorso verso le monoposto con una serie di test che, schivando anche i paletti della pandemia, hanno portato al suo debutto americano a fine stagione a St.Petersburg.
Il 2021 è stato un anno di apprendimento per McLaughlin che, forse paradossalmente, lo ha visto ottenere risultati migliori sugli ovali (dove non aveva mai corso) che sugli stradali. Il punto più alto della stagione è stato il secondo posto a Fort Worth dietro al connazionale e omonimo Scott Dixon, uno dei motivi per cui lo stesso McLaughlin ha scelto la IndyCar.
Il 2022 è iniziato però, prima di un altro secondo posto in Texas, con il primo successo in America a St.Petersburg, la vittoria numero 49 con il Team Penske, un numero che lo rende (già da tempo) il terzo pilota più vincente nella storia della scuderia dietro ad altre due leggende come Brad Keselowski e Mark Donohue.
Malgrado i soli otto successi fra le ultime 100 vittorie, Keselowski è entrato ufficialmente nella storia della squadra già dopo la vittoria numero 500 ottenuta a Las Vegas nel 2018 ma non solo per questo numero, bensì anche perché con quel successo eguagliò Mark Donohue come il più vincente della scuderia.
Nelle successive tre stagioni come detto ha ottenuto otto successi: tra questi quello di Atlanta nel 2019, che gli era valso la vittoria numero 60 con Penske e la leadership solitaria al termine di un weekend in cui non era stato bene e che aveva visto il “debutto” di Austin Cindric in Cup Series in sua sostituzione nelle prove libere, la Coca-Cola 600 del 2020, una delle gare più prestigiose in calendario, e l’ennesimo successo a Talladega nel 2021.
Poi, però, la separazione consensuale. Keselowski ha avuto sempre la volontà di diventare anche team owner, lo era stato suo padre, scomparso a Natale 2021, e lo era stato anche lui nella Truck Series prima di chiudere la squadra perché non più economicamente sostenibile. A 37 anni Brad voleva pensare anche al suo futuro dopo il ritiro da pilota. E quindi ha chiesto a Roger Penske se poteva coronare il suo sogno insieme a lui.
Il proprietario del team ha risposto però che questo non era possibile, almeno nel breve termine, quindi Keselowski ha deciso di provarci con un altro personaggio storico della NASCAR come Jack Roush, che sicuramente vedeva una successione in squadra decisamente più difficile. La proposta è stata accettata e quindi ora Brad è pilota e co-team owner del rinominato Roush Fenway Keselowski Racing. Malgrado ciò il pilota del Michigan rimane un amico di Penske e sarà per sempre un monumento nella storia del team.
Come detto la successione in casa Penske è decisamente al sicuro: oltre a Jay Penske e alle sue avventure autonome in Formula E, infatti, c’è il presidente del team nonché stratega di Newgarden, Tim Cindric, e con lui anche suo figlio Austin che da “raccomandato” (secondo le opinioni poco informate) è diventato il secondo pilota più vincente della squadra “nell’ultimo centinaio” con ben 14 successi.
Le corse scorrono nel sangue di Austin non solo per via paterna, ma anche per via materna: suo nonno infatti era Jim Trueman, team owner del Truesports in CART nonché proprietario della pista di Mid-Ohio a partire dagli anni ’80. Jim è venuto a mancare nel giugno del 1986 a causa di un cancro al colon appena 11 giorni dopo la vittoria sua e di Bobby Rahal alla Indianapolis 500. Trueman, malgrado la malattia, era ad Indianapolis a godersi la vittoria, al punto che dopo la bandiera a scacchi disse nell’orecchio di Jack Arute, pit reporter dell’ABC, “Adesso posso andare”.
Cindric non ha mai conosciuto suo nonno essendo nato nel 1998, però la famiglia rappresenta tutto per lui e dunque le sue vittorie in Xfinity Series, a partire dalla prima nel 2019 a Watkins Glen, ottenute a Mid-Ohio (2019) ed Indianapolis (versione road course, nel 2021) hanno rappresentato ben più di semplici tappe verso la Cup Series.
Austin è cresciuto guidando in moltissime categorie, iniziando in monoposto (F2000 con Andretti, quasi paradossale), passando per Rallycross ed endurance (pilota più giovane nella storia a gareggiare alla 12 ore di Bathurst) ed infine approdando in NASCAR nella Truck Series con il team di Keselowski con cui vinse a Mosport. La fama di Cindric come re degli stradali ha avuto il suo apice appunto fra 2019 e 2020 con i successi al Watkins Glen, Mid-Ohio, Road America e Daytona Road Course.
Per essere davvero un candidato alla promozione in Cup Series, tuttavia, Austin doveva anche cominciare a vincere sugli ovali e il 2020 è diventato la sua consacrazione: doppietta in Kentucky, vittoria in Texas e soprattutto a Phoenix, vittoria con la quale si è anche laureato campione della Xfinity Series. Nel frattempo era arrivato anche un annuncio molto prematuro: nel 2022 avrebbe debuttato nella top class con la scuderia satellite del Wood Brothers Racing.
Il 2021 ha portato altri successi, quello prestigiosissimo nella gara di apertura a Daytona (questa volta sull’ovale), di nuovo a Phoenix, a Dover, a Pocono, quella già citata ad Indianapolis con annesso bacio della Brickyard e poi un’altra qualificazione per il Championship 4 con il bis del titolo sfumato all’ultima per colpa (o merito) di Daniel Hemric.
Nel frattempo però i piani erano cambiati, sempre con la doppia accezione di colpa o merito, per la decisione citata di Keselowski di lasciare il team con cui aveva corso gli ultimi 12 anni. Dunque per Cindric è arrivata immediatamente la promozione sulla famigerata #2 del Team Penske ma non il debutto assoluto in Cup Series: infatti nel 2021 aveva già disputato sette corse propedeutiche.
Per chiudere definitivamente tutti i pregiudizi su di lui Cindric, all’esordio stagionale e della vettura Next Gen, ha conquistato la Daytona 500, la gara più importante in tutta la Cup Series, regalando a Roger Penske il terzo Harley J. Earl Trophy, tutti conquistati a sette anni di distanza l’uno dall’altro dopo i trionfi di Ryan Newman (2008, doppietta con Kurt Busch) e Joey Logano (2015).
Risalendo di un gradino l’albero genealogico torniamo a Tim Cindric e passiamo al pilota di cui decide la strategia, ovvero Newgarden. Per l’altro pilota di una vettura #2 del Team Penske, le 11 vittorie valgono il terzo posto in questa particolare classifica fra #Penske500 e #Penske600 a cui dobbiamo aggiungere ovviamente anche il secondo titolo IndyCar nel 2019.
Due successi a St.Petersburg, due in Texas, due a Gateway, due in Iowa, uno rispettivamente a Detroit, Mid-Ohio e Indy Road Course gli sono valsi anche due titoli di vicecampione, tuttavia a Josef manca ancora quello più prestigioso, ovvero una Indianapolis 500. La prestazione ottenuta domenica al Texas Motor Speedway, oltre a 600$ di premio per aver ottenuto la 600esima vittoria del team, ora lo pongono in vetta alla lista dei favoriti per “The Greatest Spectacle in Racing”.
Non avranno vinto come negli anni precedenti, ma Joey Logano e Will Power rappresentano delle colonne portanti del Team Penske nonché il ruolo di piloti veterani rispettivamente in Cup Series ed IndyCar. La curiosità è che le rispettive otto e cinque vittorie in questo periodo li mettono alla pari a quota 37 successi al quarto posto nella lista all-time della squadra alla pari di un’altra leggenda, ovvero Rusty Wallace.
Per il pilota di Middletown, Connecticut, le vittorie 502 e 504 in casa Penske valgono qualcosa di più dei singoli numeri: infatti sono il successo a Martinsville, nella rinomata battle con Martin Truex Jr. che gli valse la qualificazione al Championship 4 di Homestead, dove appunto vinse contro lo stesso Truex anche l’altrettanto famosa “damn war”. Il titolo conquistato rappresenta il coronamento della carriera per Logano, un pilota ritenuto per almeno un decennio uno dei talenti più grandi della NASCAR.
Nelle tre annate successive oltre a due vittorie a Las Vegas, una in Michigan, in Kansas e a Phoenix che rimarrà a suo modo nella storia come ultima gara disputata prima della pandemia, Logano ha regalato a Roger altri due successi prestigiosi, ovvero la prima gara su sterrato in oltre 50 anni della Cup Series a Bristol nel 2021 e anche il debutto non ufficiale della vettura Next Gen in una location iconica come il LA Coliseum, anche se c’è da dire che il Team Penske non conteggia all’interno delle 600 le vittorie in corse fuori campionato (e sarebbero almeno 25).
Per Will Power, invece, sono state come detto solo cinque le vittorie ottenute di cui due nel 2019 (Pocono e Portland), due nel 2020 (Mid-Ohio ed Indy Road Course) ed una nel 2021, sempre sull’amato Road Course di Indianapolis, pista che a novembre 2019 è diventata di proprietà, insieme alla stessa IndyCar, proprio di Roger Penske. Questa notizia storica ha aperto la via ad una nuova era sia per la pista che per il campionato, ma nessuno ha osato parlare di possibili favoritismi, tale infatti è la reputazione dell’85enne nativo dell’Ohio.
Nel futuro del Team Penske c’è sicuramente anche Ryan Blaney, figlio d’arte che ha ottenuto sei vittorie ma solo perché è dal 2021 che si è effettivamente sbloccato. Infatti nel 2018 è arrivata solo una vittoria (Charlotte Roval), così come nel 2019 (Talladega) e nel 2020 (ancora Talladega), mentre lo scorso anno i successi sono stati ben tre ad Atlanta, in Michigan (pista che è stata di proprietà dello stesso Roger) e a Daytona nella gara estiva.
Avrà conquistato solo quattro successi negli ultimi tre anni ed ora non gareggerà più per il team, ma Simon Pagenaud, oltre alle vittorie parziali sul Road Course di Indy, a Toronto ed in Iowa, ha regalato nel 2019 la 18esima e finora ultima Indianapolis 500 a Roger Penske.
Il pilota francese, ora in forza al Meyer Shank Racing, ha anche gareggiato in IMSA dove però non ha ottenuto vittorie nelle occasioni in cui è stato schierato, ovvero le gare endurance più lunghe quali Daytona, Sebring e Petit Le Mans. Infatti, la Acura utilizzata dal Team Penske si è dimostrata una vettura più adatta alle gare sprint da 2h40′ che compongono circa metà del calendario IMSA.
Ciò però non ha impedito a Roger di vincere i titoli 2019 e 2020, quest’ultimo prima di aver lasciato la categoria in vista della sfida attuale in LMP2 e poi con le Hypercar insieme a Porsche. Nel 2019 a conquistare il campionato sono stati Dane Cameron e Juan Pablo Montoya mentre nel 2020 Ricky Taylor ed Hélio Castroneves, quest’ultimo al primo titolo vinto in carriera dato che in monoposto, con o senza Penske, o anche in generale in carriera non aveva mai conquistato un campionato.
Nel corso del biennio citato sono state sette le vittorie conquistate, quattro dalla coppia Castroneves-Taylor (Road America, Road Atlanta, Mid-Ohio e Laguna Seca) e tre da Montoya-Cameron (Mid-Ohio, Detroit e Laguna Seca); la curiosità è che le rispettive vittorie sono state ottenute tutte esclusivamente nella stagione che li ha visti poi conquistare il titolo.
Questo in breve il percorso che ha portato il Team Penske da quota 500 a quota 600. Il ritmo delle vittorie è comunque alto, ma ora i programmi attivi della scuderia sono solo tre: IndyCar, Cup Series e LMP2 dopo l’addio – o arrivederci – ad IMSA, Supercars e Xfinity Series. Dunque, l’appuntamento per #Penske700 forse non arriverà nel prossimo triennio, ma quando arriverà noi di P300.it saremo qui a raccontarvi altri successi di una scuderia che ha scritto la storia del motorsport.
Immagini: Penske Entertainment: Chris Owens e Joe Skibinski; media.nascar.com
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