500 volte Penske: storia di una leggenda del motorsport [Parte 3]

IndyCarStoria
Tempo di lettura: 21 minuti
di Andrea Gardenal
25 Settembre 2018 - 18:00
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L’ultimo capitolo della storia del team Penske lo abbiamo dedicato alle corse endurance, al Supercars australiano e, ovviamente, alla IndyCar. La ruote scoperte a stelle e strisce sono quelle che hanno dato maggiori soddisfazioni al Capitano, con 203 vittorie e 15 titoli piloti, ma negli ultimi anni Penske si è avvicinato anche alle competizioni turismo: il titolo australiano non è ancora arrivato, ma la sensazione è che non manchi molto. Infine, spazio anche alla breve ma molto fruttuosa storia della Porsche RS Spyder, con cui Penske mise completamente a soqquadro l’American Le Mans Series a metà degli anni 2000.

Il contributo per Supercars ed endurance è di Federico Benedusi.

INDYCAR

La Indycar Series, in tutte le declinazioni che ha avuto durante la sua lunga storia, è senza dubbio la categoria che ha regalato più gioie e soddisfazioni a Roger Penske. L’esordio in quello che all’epoca era il Campionato Nazionale USAC avviene il 15 giugno 1968 in occasione del Telegraph Trophy 200, una gara disputata in due manches da 100 miglia ciascuna presso il circuito di Mosport, in Canada. Il pilota è, ovviamente, Mark Donohue, che già da un paio d’anni conquistava vittorie a ripetizione in altre categorie come lo United States Road Racing Championship e il Trans-American Championship; l’esordio della Eagle a motore Chevy è positivo ma non certo memorabile, con un sesto e quarto posto nelle due batterie.

Nei primi tempi la presenza di Penske e Donohue nel campionato USAC è abbastanza discontinua, limitata prevalentemente ad alcune gare sui circuiti stradali. La maggiore eccezione è rappresentata, naturalmente, dalla 500 Miglia di Indianapolis, dove Penske esordisce già nel 1969 con una Lola a motore Offenhauser; Donohue è costretto ad una lunga sosta ai box dopo pochi giri, ma l’ottima gara da lui corsa unita al settimo posto finale gli valgono il titolo di rookie of the year.

Nel 1970 arriva la prima pole position sul circuito stradale di Sears Point (oggi Sonoma) e a Indianapolis Donohue è ottimo secondo a mezzo minuto dal vincitore, Al Unser sr. L’assenza di vincoli stringenti con i grandi costruttori permette a Penske di utilizzare macchine e motori differenti a seconda dei circuiti: ad esempio nel ’70 Penske utilizza i più potenti motori Ford sui superspeedway di Indianapolis ed Ontario, mentre a Sears Point e all’Indianapolis Raceway Park predilige i più maneggevoli motori Chevrolet. I primi successi con le monoposto, tuttavia, non arrivano dal circuito USAC: sempre nel 1970 Penske schiera una Lola T192 a motore Chevrolet in alcune gare del campionato SCCA F5000 riportando due successi (sempre grazie a Mark Donohue) sui circuiti di Mosport e Sebring.

Per le prime vittorie nello USAC è necessario aspettare ancora un anno: nel 1971 Penske inizia il campionato con una Lola T153 motorizzata Ford, poi da Indianapolis passa ad una McLaren M16A-Offenhauser. Penske inizia a presentarsi regolarmente la sua McLaren numero 66 anche nelle piste ovali, ed è proprio su un ovale che arriva la prima vittoria in Indycar: sul triovale di Pocono Donohue fa bottino pieno conquistando pole e vittoria in occasione dell’edizione inaugurale della 500 Miglia di Pocono, regalando al Team Penske il successo numero 47 della sua storia. Due settimane dopo, il 18 luglio 1971, Donohue fa il bis e vince anche la 200 Miglia del Michigan: per Roger Penske e la sua squadra si tratta della 50ª vittoria.

La prima fila della 500 Miglia di Pocono del 1971, prima vittoria Penske nel campionato USAC

Nel 1972 succedono due cose: innanzitutto Penske decide di schierare una seconda McLaren-Offenhauser per buona parte della stagione affidandola a Gary Bettenhausen, il quale vince già in occasione della seconda gara del campionato a Trenton; la seconda, ben più importante, è che per la prima volta Penske e la sua squadra vincono la 500 Miglia di Indianapolis, naturalmente con Donohue al volante; nessuno può ancora immaginarlo, ma nei successivi 46 anni Penske si porterà a casa le repliche in miniatura del Borg-Warner Trophy per altre 16 volte.

Nel 1973 Donohue preferisce concentrarsi sulle competizioni Can-Am (anche a seguito della morte ad Indianapolis del suo amico David “Swede” Savage), così il pilota di punta della squadra diventa Bettenhausen che ad ottobre vince la 200 Miglia del Texas a College Station. Il 1974 è un anno di transizione per Penske, che sta lavorando al nuovo progetto Formula 1; Bettenhausen raccoglie poco, quindi per il 1975 gli viene preferito il 27enne Tom Sneva che già al primo anno vince la 150 Miglia del Michigan con una McLaren M16C/D spinta dal propulsore Offy.

Il primo successo targato Penske nella Indy 500, 1972

Due anni dopo Penske chiude il programma F1 e si dedica quasi interamente al Campionato USAC, dove diventa finalmente un top team a tutti gli effetti: nel 1977 Penske passa dai motori Offy ai Cosworth DFX e per la prima volta arriva a schierare in alcune gare del campionato una macchina progettata e costruita direttamente dalla sua squadra, denominata PC5. Sneva vince due gare, raccoglie numerosi piazzamenti e conquista quello che è il primo titolo USAC sia per sé stesso che per Roger Penske. Quanto accade nel 1978 ha dell’incredibile: Penske schiera stabilmente una seconda macchina autocostruita, denominata PC6, affidandola a Mario Andretti e, nelle occasioni in cui quest’ultimo era impegnato nel Mondiale di F1 con la Lotus, al giovane Rick Mears. Andretti e Mears colgono complessivamente ben quattro successi mentre Sneva resta a bocca asciutta, ma incredibilmente è proprio Sneva a conquistare il titolo a fine anno grazie a sei secondi e quattro terzi posti.

Sempre nel ’78 Penske, assieme ad altri team owner (tra i quali spiccava Dan Gurney, vero promotore dell’associazione), dà vita alla CART, Championship Auto Racing Teams, un’associazione delle squadre e dei costruttori partecipanti alla serie USAC; la convivenza tra USAC e CART ha però vita breve e già all’inizio dell’anno successivo la CART dà vita al suo campionato, scatenando una vera e propria guerra con lo USAC e l’Indianapolis Motor Speedway. Naturalmente il team di Penske partecipa alla neonata serie “ribelle”, dove diventa ben presto un punto di riferimento: Rick Mears viene assunto in pianta stabile, mentre al posto di Sneva (passato al team O’Connell) arriva Bobby Unser. I due vincono nove gare su 14 (tra cui la Indy 500) al volante delle loro Penske PC6/7 e PC7 a motore Cosworth e, manco a dirlo, conquistano le prime due posizioni in campionato, con Rick che a fine anno precede Bobby.

Nel 1980 il titolo va a Johnny Rutherford, al volante della Chaparral, ma il Team Penske vince comunque sei gare con Bobby Unser, Rick Mears e Mario Andretti, tornato dal Capitano per qualche gara occasionale. La vittoria numero 100 nella storia del Team Penske è datata 24 maggio 1981 e non poteva che arrivare ad Indianapolis, il palcoscenico più prestigioso nell’ambito delle gare americane. Sia Bobby Unser che Roger Penske vincono la loro terza Indy 500, anche se la ratifica ufficiale del successo arriva solamente in autunno, al termine di un’indagine che vede Unser come “imputato” per aver effettuato dei sorpassi in regime di bandiere gialle all’uscita dei box.

Ad Indianapolis nel 1981, grazie a Bobby Unser, Penske festeggia 100 vittorie

Tra il 1981 e il 1983 Penske vince 12 gare su 35 e tre campionati piloti, i primi due con Rick Mears e il terzo con Al Unser sr. Nel 1984 Penske decide, per la prima volta dopo tanto tempo, di non costruire più in proprio le sue macchine e di affidarsi a delle March a motore Cosworth; l’84 è però un anno storto, soprattutto per Rick Mears: da un lato il pilota del Kansas vince ad Indy per la seconda volta, ma dall’altro è costretto ad alzare bandiera bianca nella lotta per il campionato dopo un terribile incidente sull’ovale canadese di Sanair, nel quale si frattura entrambi i piedi. Nella stagione successiva Mears è in grado di correre solamente le gare su ovale, pertanto a lui viene affidata una terza March mentre il suo posto come pilota full time viene preso da Danny Sullivan. Il 1985 è un altro anno da incorniciare per Penske che vince la Indy 500 con Sullivan e il campionato con Al Unser, che a Miami beffa sui figlio Al jr. per un solo punto.

Le due stagioni successive sono al di sotto degli standard di Penske, che si alterna continuamente tra i telai autocostruiti e quelli della March e tra motori Chevrolet e Cosworth. In questo periodo di tempo vince “solamente” quattro gare; una di queste è la Indy 500 del 1987, dove Al Unser va a prendersi la bandiera a scacchi dopo che Mario Andretti, vero dominatore della gara, è stato costretto al ritiro da un problema ad una valvola. Per il 1988 Penske sforna la PC-17 a motore Chevrolet, la monoposto con cui Rick Mears vince la sua terza 500 Miglia di Indianapolis e Danny Sullivan il suo unico campionato CART. Nel 1989 arrivano altre cinque vittorie, ma Mears perde per soli dieci punti il campionato a vantaggio di Fittipaldi; a fine anno il brasiliano è libero da impegni contrattuali e Penske lo ingaggia per la stagione 1990 affidandogli una terza macchina al fianco dei confermati Mears e Sullivan. Assieme a Fittipaldi arrivano anche i dollari sonanti della Marlboro, con cui Penske dà vita ad un sodalizio che avrà durata ventennale.

Indianapolis 1989: Fittipaldi manda a muro Unser jr. e va a vincere

Nel 1990 arrivano quattro vittorie, ma nessuno dei tre piloti di Penske è in grado di inserirsi fino in fondo nella lotta per il titolo che diventa un affare privato tra i figli d’arte Al Unser jr. e Michael Andretti. Nel 1991 Penske vince per l’ottava volta la Indy 500 grazie a Rick Mears, che dal canto suo fa poker eguagliando AJ Foyt ed Al Unser sr. Con entrambi i piloti fuori dalla lotta per il titolo c’è da segnalare l’ingaggio, sia pur per poche gare, di un giovanissimo Paul Tracy, che si affaccia così ad un mondo nel quale sarà grande protagonista per 20 anni.

Nel 1992 arrivano quattro successi con Emerson Fittipaldi, mentre Rick Mears decide di ritirarsi a stagione in corso; il suo posto viene definitivamente preso da Tracy, che ad inizio 1993 conquista la sua prima vittoria in carriera a Long Beach; per Penske si tratta del successo #150 nella sua storia di team owner; un mese e mezzo dopo, al termine della 500 Miglia di Indianapolis, arriva anche il successo numero 151 grazie ad Emerson Fittipaldi. Tracy e Fittipaldi conquistano in tutto otto successi, ma la loro incostanza finisce col premiare il rookie Nigel Mansell, che da campione F1 in carica si prende il lusso di conquistare anche il campionato americano.

Penske si rifà alla grande nel 1994, quando vince 12 gare su 16 grazie a Fittipaldi, Tracy ed Unser jr; quest’ultimo fa bottino pieno aggiudicandosi sia la Indy 500 (la decima per Penske) grazie all’imprendibile motore Mercedes che il campionato; i tre piloti di Penske, inoltre, occupano le prime tre posizioni in classifica generale al termine della stagione. Il 1995 viene ricordato principalmente per la grande onta di Indianapolis, dove Penske non riesce a qualificare nessuna delle sue due vetture per la 500 Miglia; nel disperato tentativo di entrare in griglia di partenza Penske prova ad utilizzare anche i telai Reynard e Lola, ma le prestazioni sono comunque scarse e sia Unser jr che Fittipaldi sono fuori dalla Indy 500. Le cinque vittorie di quella stagione sono una magra consolazione, anche perché non permettono ai suoi due piloti (in particolare ad Unser) di strappare il titolo dalle mani di Jacques Villeneuve.

Unser e Fittipaldi davanti a tutti al via della Indy 500 del 1994

Nel 1996 si consuma il secondo scisma nel mondo delle competizioni americane, quello che porta Tony George, presidente dell’Indianapolis Motor Speedway, a fondare la Indy Racing League. Penske e gli altri top team restano fedeli al campionato CART che però si vede privato del suo gioiello della corona, la 500 Miglia di Indianapolis. Contemporaneamente inizia anche un periodo di profonda crisi tecnica per la squadra del Capitano: le macchine dominanti sono le Reynard del team di Chip Ganassi, che vincono gare e campionati a ripetizione mentre le Penske a motore Mercedes faticano tantissimo: i progettisti del team provano a portare in pista svariati modelli, ma i risultati sono incredibilmente deludenti, in particolare nel ’98 e nel ’99. Le uniche vittorie arrivano nel 1997 grazie a Paul Tracy, al volante della PC-26, ma al di là di queste poche soddisfazioni sono quattro anni di agonia; l’unica nota positiva è dettata dal fatto che il pilota canadese, vincendo la Gateway 300 del 1997, regala a Roger Penske il successo numero 200 della sua organizzazione.

Penske 200: Paul Tracy conquista Gateway nel 1997

Per il 2000 cambia tutto: piloti, telai e motori. Penske rinuncia a costruirsi le macchine in casa e compra dei telai Reynard, mentre a livello motoristico sigla un accordo con Honda; infine per quanto riguarda i piloti si affida a due brasiliani, l’esperto Gil De Ferran e il giovane Helio Castroneves che sostituisce Greg Moore, messo sotto contratto da Penske nel corso del 1999 ma in seguito tragicamente scomparso durante la 500 Miglia di Fontana. La rivoluzione funziona: nel Gran Premio di Nazareth, quinta gara del campionato 2000, Gil De Ferran conquista il successo numero 100 del Team Penske tra USAC e CART, mentre nel successivo GP di Detroit Castroneves conquista il suo primo successo in carriera festeggiando a modo suo, arrampicandosi sulle reti del circuito. Tra il 2000 e il 2001 i due brasiliani conquistano dieci successi nel campionato CART, con De Ferran che viene proclamato vincitore del campionato al termine di entrambe le stagioni.

Il 2001 è anche l’anno del grande ritorno del Team Penske ad Indianapolis dopo cinque edizioni di assenza: De Ferran e Castroneves dominano la Indy 500 sulle loro Dallara-Oldsmobile e tagliano il traguardo in prima e seconda posizione, con Castroneves che va a conquistare il suo primo successo ad Indy. Nel mondo dell’open wheel racing americano, tuttavia, gli equilibri stanno cambiando: la CART, che fino a questo momento ha surclassato sotto tutti i punti di vista la IRL, entra in uno stato di crisi tecnica, sportiva e finanziaria. Su forte pressione da parte della Marlboro, che in base alle leggi vigenti non aveva potuto porre i propri loghi sulle macchine di De Ferran e Castroneves ad Indianapolis poiché già impegnata a sponsorizzarli nella CART, nel 2002 Penske compie il salto della barricata presentandosi al via della Indy Racing League con due Dallara-Chevy per De Ferran e Castroneves. I due vincono quattro gare e Castroneves fa il bis ad Indy dopo un finale molto controverso, ma alla lunga distanza entrambi devono soccombere a Sam Hornish e al team Panther.

Nel 2003 il campionato diventa ancora più combattuto grazie agli arrivi in forze dei team Andretti-Green e Ganassi (che già l’anno precedente aveva schierato una G-Force-Chevy nella IRL per Jeff Ward): Penske passa dai motori Chevy ai Toyota e in alcune gare utilizza dei telai G-Force in sostituzione dei Dallara; De Ferran e Castroneves portano a casa cinque successi, ma ancora una volta in campionato sono secondo e terzo alle spalle di un giovanissimo Scott Dixon. Il 25 maggio Penske vince la sua tredicesima Indy 500, la terza consecutiva, ma stavolta è De Ferran ad andare in Victory Lane; a fine anno l’esperto pilota brasiliano si ritirerà dalle competizioni. Per sostituire De Ferran, Penske si rivolge a uno dei più grandi talenti espressi dalla IRL nei suoi primi anni di vita: Sam Hornish. Il 2004 e il 2005 sono dominati dal team Andretti-Green e dal motore Honda, così Penske (che utilizza propulsori Toyota) deve accontentarsi delle briciole; nel frattempo a Phoenix, nel 2005, arriva la vittoria numero 250 nella storia del team.

Nel 2006 Chevrolet e Toyota si ritirano dalla Indycar, Honda diventa il fornitore unico dei motori e Penske torna a dominare la scena: Hornish vince ad Indianapolis beffando Marco Andretti sul rettilineo d’arrivo e a fine anno conquista il suo terzo titolo in Indycar chiudendo la stagione a pari punti con Wheldon, ma con quattro vittorie contro le due del pilota inglese. Il 2007 è un altro anno di transizione: Penske vince due gare ma i suoi due piloti non sono mai in lotta per il titolo, anche perché Hornish è già proiettato verso un nuovo capitolo della sua carriera, direzione Nascar. Per sostituirlo viene scelto Ryan Briscoe, che nel 2008 a Milwaukee regala al Team Penske il successo numero 300 della sua storia. L’australiano vince tre gare, Castroneves due, ma a fine anno chi gioisce è Scott Dixon.

Milwaukee 2007: Briscoe regala a Penske la #300, in volata

I piloti sotto contratto per il 2009 sono ancora Castroneves e Briscoe, ma poco dopo la conclusione del precedente campionato il pilota brasiliano viene messo in stato d’accusa dalla giustizia ordinaria per evasione fiscale. Castroneves verrà successivamente prosciolto da ogni accusa, ma per la prima gara stagionale (vinta da Briscoe) Penske è costretto a sostituirlo; la scelta cade su un altro australiano, Will Power, che fin da subito si mette in buona luce tanto che Penske decide di affidargli saltuariamente una terza macchina anche dopo il ritorno di Castroneves; quest’ultimo, nel frattempo, vince la Indy 500 per la terza volta e porta Roger Penske per la 15ª volta nella Victory Lane di Indianapolis. La stagione si conclude con sei vittorie complessive per Penske e con Briscoe che arriva a giocarsi il titolo fino all’ultima gara, perdendolo a vantaggio di Franchitti.

Edmonton 2009: primo successo con Penske per Will Power

Nel 2010 Penske torna a schierare in pianta stabile tre monoposto per la prima volta dal 1994: complessivamente sono ben nove i successi conquistati, ma proprio in occasione dell’ultima gara a Homestead Will Power va a muro; Franchitti e il team Ganassi ringraziano e conquistano il secondo campionato di fila. Il copione si ripete nel 2011: Castroneves e Briscoe sono in crisi, ma Power conquista ben sei vittorie e arriva a Las Vegas con tutte le carte in regola per giocarsi il campionato. La gara sull’ovale del Nevada, tuttavia, viene interrotta dopo soli 12 giri a seguito del terribile incidente in cui perde la vita Dan Wheldon. Anche Power viene coinvolto e riporta una frattura vertebrale da compressione.

Nel 2012 arriva una nuova macchina, la Dallara DW12, mentre dal punto di vista motoristico si riapre la competizione grazie al ritorno della Chevrolet; Penske si affida al Costruttore americano e inizia alla grande la stagione con quattro successi nelle prime quattro gare; il resto del campionato non va però altrettanto bene e nelle successive 11 gare arrivano solamente due vittorie. Per la terza volta Power arriva a giocarsi il campionato all’ultima gara, ma a Fontana compie un errore nelle fasi iniziali della gara consegnando il titolo ad Hunter-Reay. Nel 2013 è Castroneves a rimanere in corsa per il campionato fino al termine, ma ancora una volta il brasiliano deve inchinarsi a Scott Dixon. Il 2014 è finalmente l’anno di Will Power, che con tre vittorie e una serie di buoni piazzamenti si aggiudica il primo titolo Indycar della sua carriera; in quello stesso anno sulla terza macchina del team Penske sale Juan Pablo Montoya, al ritorno in monoposto dopo tanti anni di Nascar; il colombiano dimostra di non aver perso lo smalto dei giorni migliori e a Pocono conquista la vittoria numero 393 della squadra.

Saint Petersburg 2012: Castroneves festeggia la vittoria a modo suo ricordando Dan Wheldon, scomparso pochi mesi prima

L’anno seguente arrivano gli aerokit prodotti direttamente dai costruttori di motori e il pilota di punta è proprio Montoya, che a maggio vince ad Indianapolis per la seconda volta (la 16ª per Penske) e si gioca il titolo contro Graham Rahal e Scott Dixon sino all’ultima gara: alla fine è proprio quest’ultimo a prevalere, beffando il colombiano solamente in virtù di un maggior numero di vittorie. Nel frattempo presso il team Penske è arrivato Simon Pagenaud, che dopo una difficile stagione d’esordio è il grande protagonista del campionato 2016: il francese vince cinque gare e si aggiudica il titolo a fine anno sconfiggendo Will Power, che dal canto suo porta altri quattro successi alla sua squadra. Per il 2017 Penske sostituisce Montoya con una giovane promessa della Indycar, Josef Newgarden: la squadra del Capitano arriva in Victory Lane con tutti e quattro i suoi piloti e alla fine del campionato Newgarden regala a Penske il suo 15° campionato.

Il 2018 è storia recente: arriva il nuovo aerokit universale, Power e Newgarden vincono tre gare a testa ma nessuno dei due riesce realmente a giocarsi il titolo fino in fondo: la soddisfazione più grande dell’anno arriva grazie all’australiano, che nel mese di maggio vince sia il GP di Indianapolis che la Indy 500; la firma di Power compare anche su quello che, fino ad ora, è l’ultimo successo di Penske in Indycar, quello ottenuto lo scorso 25 agosto al termine della 500 km di Gateway.

AMERICAN LE MANS SERIES

Nell’aprile del 2005, Porsche annuncia il suo impegno ufficiale nella American Le Mans Series per l’anno successivo con la nuovissima RS Spyder LMP2. A gestirle in pista è nientemeno che il team Penske, a sancire una reunion a 33 anni di distanza dalla “Can-Am killer”. La vettura debutta in occasione dell’ultima gara del campionato 2005 a Laguna Seca, con i giovani piloti Porsche Lucas Luhr e Sascha Maassen. Il piazzamento assoluto è un quinto posto, ma tra le LMP2 la Porsche rifila otto giri alla Courage del team Miracle Motorsports e conquista il successo. Nel 2006, Penske schiera due RS Spyder con la coppia Luhr/Maassen sulla #6 mentre sulla #7 salgono Timo Bernhard e Romain Dumas. Su dieci gare, la Porsche ne vince sette per quanto riguarda la classe LMP2 ma a Mid-Ohio arriva anche una vittoria assoluta con Bernhard/Dumas, proprio davanti ai compagni di squadra e soprattutto davanti alla dominante Audi R8 LMP1. Nel 2007 arriva una versione Evo e il dominio è ancora più netto: 11 successi su 12 gare in LMP2, con ben otto vittorie assolute consecutive; paradossalmente, l’unica vittoria che manca è anche quella più prestigiosa, ovvero la 12h di Sebring che per quanto concerne le LMP2 va invece alla Courage-Acura del team Andretti. Dopo il titolo piloti vinto nel 2006 da Luhr/Maassen, nel 2007 tocca proprio a Bernhard/Dumas. Nel 2008, il tedesco e il francese riconquistano il titolo ma stavolta in maniera meno netta sull’accoppiata Brabham/Sharp sulla Acura del team Highcroft. Con l’arrivo del 2009, le crew utilizzate per il programma ALMS confluiscono in IndyCar sulla vettura #12 di Will Power e le RS Spyder lasciano gloriosamente le piste.

Laguna Seca 2007

SUPERCARS

Nel 2015, Penske rileva metà della gloriosa scuderia di Dick Johnson per partecipare al campionato Supercars australiano. L’arrivo di Penske è però solo secondario in confronto al ritorno di Marcos Ambrose dalla Nascar. Il campione 2003 e 2004, tuttavia, fatica moltissimo a riadattarsi alla potentissima Ford Falcon e dopo le prestazioni deludenti ad Adelaide e nell’esibizione di Melbourne lascia il volante a Scott Pye. Già pilota di Johnson nella stagione precedente, Pye porta la squadra a buoni risultati tra cui il primo podio marchiato Penske nel Supercars a Pukekohe. Dopo altri due podi nel 2016, sempre con Pye a Phillip Island e Pukekohe, nel 2017 parte l’assalto al titolo. Al fianco di Fabian Coulthard arriva infatti il giovane e spumeggiante talento di Scott McLaughlin, in uscita dal programma ufficiale Volvo con il team Rogers. L’inizio stagionale è strepitoso ma a sorpresa il leader del campionato è Coulthard; dall’appuntamento di Barbagallo però il protagonista indiscusso è McLaughlin. Nonostante una vittoria nell’ultima gara della Enduro Cup a Surfers Paradise, in coppia con Alexandre Prémat, lo zero incassato con il ritiro nella Bathurst 1000 è troppo pesante e il campionato si è riaperto. Avversario di McLaughlin è il sei volte campione Jamie Whincup, il quale tuttavia sembra avere ben poche speranze dopo la prima gara dell’ultimo round a Newcastle. Con 150 punti da assegnare, McLaughlin ne ha 78 di vantaggio al via della corsa decisiva, ma il neozelandese vive una domenica nerissima. Partito dalla pole, McLaughlin comanda la gara fino al primo pit stop, quando riceve un drive through per eccesso di velocità in pit lane; retrocesso a centro gruppo, subisce un’altra penalità quando si scontra con la Nissan di Simona de Silvestro ma ha ancora possibilità di conquistare il titolo quando una safety car ricompatta il gruppo. Con Whincup vincitore, a McLaughlin basta un 11° posto per vincere il campionato a pari punti e proprio in quella posizione arriva, ma solo dopo avere letteralmente trascinato contro le barriere Craig Lowndes all’ultimo giro: terza penalità in una sola gara per McLaughlin e settimo titolo per Whincup. Anche quest’anno, il neozelandese sta dando la caccia al campionato australiano e il suo avversario è nuovamente un pilota Triple Eight, stavolta il campione 2016 Shane van Gisbergen. La lotta è ancora aperta e il team Penske è pienamente in corsa per conquistare l’ennesimo titolo.

Scott McLaughlin vola sui cordoli di Adelaide, 2018

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