È forse la monoposto più bella di tutti i tempi, tanto che il “Museum of Modern Art” di New York ha deciso di averla nella sua mostra. È la Ferrari che ha riacceso l’entusiasmo negli appassionati dopo un decennio complicato vissuto a Maranello. È stata l’ultima numero 1 prima dell’era Schumacher, quella che ha permesso alla Ferrari di ottenere la vittoria numero 100 in un GP ma soprattutto la rossa che ha fatto sognare il ritorno successo “mondiale” 11 anni dopo il trionfo di Jody Scheckter.
In una fredda mattinata in quel di Fiorano di 30 anni fa il mondo conosceva e ammirava la Ferrari 641, ribattezzata /2 nel corso della stagione. Una naturale evoluzione della 640 del 1989, prima monoposto dotata di cambio semi-automatico progettata da John Barnard. 6 vittorie, 5 ottenute da Alain Prost e 1 da Nigel Mansell in un 1990 indimenticabile grazie anche alla lotta senza esclusione di colpi tra Ayrton Senna e lo stesso Prost.
MP4-5B vs 641/2, 10 cilindri contro 12. Insomma un anno entrato nella storia anche grazie allo scontro di Suzuka che, di fatto, consegnò il titolo mondiale a Senna facendo scoppiare, anzi raddoppiare le polemiche tra i due dopo i fatti di 12 mesi prima. Quella stagione è stata ricordata anche recentemente dopo il contatto ad Interlagos tra Vettel e Leclerc che ha portato alla memoria il dualismo interno di 30 anni fa tra Prost e Mansell esploso nella partenza dell’Estoril.
Enrique Scalabroni, che abbiamo avuto il piacere di intervistare, portò avanti lo sviluppo della 641. Il tecnico argentino ci ha raccontato i segreti di quella meravigliosa macchina da corsa.
Ing. Scalabroni, 30 anni dopo si aspettava che la 641/2 diventasse una delle Ferrari più iconiche della storia?
“Sono rimasto stupito anche io nel vedere che per i ferraristi e gli appassionati questa macchina sia ricordata così positivamente. Anche il “Moma” ha deciso di averla nella sua mostra come grande prodotto italiano. C’è da dire che in quel periodo si pensava alla macchina in quella stagione e non a quello che sarebbe stato dopo. Ripeto sono comunque rimasto stupito”
Quale fu il suo pensiero quando vide la 640 di Barnard macchina su cui poi lei ha lavorato per realizzare la 641/2?
“Io chiaramente vidi la macchina in pista già nel corso dell’anno quando ero alla Williams. Quando la Ferrari mi chiamò sapevo che dovevo realizzare una vettura nuova, ma io arrivai il 1° settembre del 1989 e subito dissi che in 4 mesi era difficile realizzare una macchina completamente nuova. Chiesi a Cesare Fiorio un mese di tempo per poter analizzare completamente tutta la 640 per vedere a chi livello era quella macchina. Trovammo cose positive e altre da poter migliorare. Io dovevo anche verificare quale differenza esisteva tra il concetto originale di Barnard rispetto ad altri sia a livello aerodinamico che strutturale. Questo mese me lo presi solo per analizzare tutto senza modificare nulla, un po’ come fa un medico quando visita un paziente”.
Cosa avete trovato in quel mese di “analisi” della 640?
“Abbiamo fatto prove su tutto, dalle rigidezze verticali, alle dimensioni del radiatore visto che la vettura era davvero stata concepita al limite ma se variavano temperatura o altro andava in crisi. Abbiamo aumentato quindi le pance e le dimensioni del radiatori. Ho rivisto e aumentato anche la rigidezza strutturale. In quel periodo bisognava girare a 5mm da terra dopo i 240km/h, quindi la rigidezza tra motore e telaio doveva essere perfetta altrimenti la vettura “picchiava” sull’asfalto nella parte centrale e si creavano diversi problemi. Abbiamo rinforzato quindi tutta la struttura. La parte aerodinamica era buona, ci siamo concentrati su un lavoro dell’alettone posteriore per rendere meno “squadrata” la vettura rispetto alla 640″.
Ci racconti della modifica fatta al muso a “papera”
“L’aerodinamica non vuole spigoli perchè si creano dei vortici: la forma squadrata di quel musetto faceva perdere 60mm di ogni lato dell’alettone, creando un vortice e di fatto togliendo carico aerodinamico. Abbiamo corretto subito questo particolare.”
Che altre migliorie avete realizzato in quei mesi?
“Ci tengo a dire che il team in quel periodo lavorava benissimo, andavamo tutti nella stessa direzione e anche il rapporto con i motoristi era ottimo. Lavorare alla Ferrari è stato fantastico. Naturalmente questo ha permesso di realizzare una vettura competitiva. Abbiamo aumentato la capacità del serbatoio per permettere ai motoristi di aumentare la potenza del 12 cilindri che era eccezionale. Inoltre ho applicato al posteriore per la prima volta in Ferrari la sospensione anti-squat per evitare che nel momento d’accelerazione la macchina toccasse per terra. Il drag era davvero basso e quindi positivo ma ci mancava carico aerodinamico, circa 150kg in meno. Abbiamo quindi trovato il convogliatore di vortice, le piastre laterali dell’alettone anteriore che ci hanno permesso di recuperare subito carico aerodinamico. Anche la presa d’aria del motore è stata modificata, aumentandola rispetto a quella della 640. Ho comunque preferito lavorare in questo modo rispetto che a realizzare una monoposto completamente nuova.”
Come è andato avanti lo sviluppo con due piloti così diversi come Prost e Mansell?
“È stato un vantaggio lavorare con due piloti che avevano due stili di guida così diversi. Nigel mi chiese subito la sospensione posteriore anti-squat e lo sviluppo della macchina lo fece soprattutto lui perchè Prost non era ancora disponibile. Alain si trovò subito bene con il telaio. Lui soprattutto rivolgeva le sue attenzioni al motore una volta arrivato alla Ferrari. Voleva un motore guidabile, non aggressivo che era più nello stile di guida anche fisico di un Mansell. Prost era davvero preciso e ci ha fatto capire diverse cose su come migliorare il motore. Per esempio, la maggior parte dei piloti utilizzava una corsa del pedale dell’acceleratore di circa 20-24mm, lui 70mm perchè i primi 25-30mm non erano quelli che utilizzava per fare funzionare la vettura. In caso contrario li diventavano quando si toccava un cordolo oppure la pista era bagnata per evitare l’arrivo della coppia dal motore. Nigel voleva l’opposto cioè subito la potenza e questo ci ha permesso di mettere comunque insieme una serie di informazioni e dati utili per migliorare la macchina”.
Si ricorda un qualcosa in particolare su cui avete lavorato particolarmente tanto?
“Come dicevo prima il lavoro è stato tanto e su tutta la vettura. Cesare Fiorio mi aveva permesso di sviluppare la macchina senza nessun impedimento sia del passato, cioè del progetto precedente, che nell’immediato. Ripeto è stato fatto un grande lavoro di squadra alla Ferrari dove tutti rispettavano il lavoro degli altri. Ricordo che comunque facemmo un lavoro incredibile per controllare la variazione del carico aerodinamico rispetto al modificarsi della temperatura dell’asfalto e dell’aria. Questo era un lavoro, per esempio, dedicato al Messico dove si correva sopra i 2000mt sul livello del mare. In galleria del vento riuscimmo a riprodurre la stessa densità dell’aria che si trovava a Città del Messico. Questo ci permise di trovare un setup che ci fece guadagnare un 10% (rispetto al 20% che si perdeva su quella pista) e quindi di fare una doppietta in gara con Prost primo e Mansell secondo”.
Quali erano i pregi e difetti più importanti della 641/2?
“Controllare il peso di questa vettura non era semplice perchè il materiale era tanto. Inoltre la struttura del telaio era minore rispetto a quella esterna della macchina perchè era un telaio maschio e non femmina. Questo creava un vuoto tra la carrozzeria e la forma del telaio con qualche problema al volume del combustibile e non solo. Come pregio il drag molto basso che mi aveva sorpreso e il cambio semiautomatico”.
30 anni dopo cosa ricorda di quel periodo oltre all’aspetto tecnico?
“Vero, sono passati 30 anni: posso dire che avevo trovato un gruppo molto interessato a lavorare. Vivevo ogni giorno in fabbrica e ho avvertito anche la spinta che ti dà essere in una squadra come la Ferrrari che è una cosa fondamentale, per me essere lì era un sogno sostanzialmente”.
Ci può dire qualcosa che eventualmente non è mai stato detto oppure saputo di quel periodo?
“Ho una mentalità sempre in movimento che è difficile frenare, lo è oggi e soprattutto in quegli anni. Quando la 641/2 si dimostrò competitiva avevo subito detto che per l’anno successivo serviva una macchina nuova, che avrebbe avuto diverse modifiche come il telaio femmina e altro. Un gruppo all’interno non era d’accordo, quindi vedendo che la vettura era veloce e la mia parte era stata fatta ho deciso di continuare da un’altra parte, per una questione legata alla mia mentalità come dicevo prima.”
In conclusione la 641/2 era più veloce della MP4/5B?
“Sì, la 641/2 era più veloce della Mclaren, il mondiale non venne vinto per questioni tra Senna e Prost e non per un problema creato dalla Ferrari”.
Ringraziamo enormemente per questa intervista l’Ing. Scalabroni, un vero maestro e punto di riferimento nella storia del motorsport.
Immagine: Wikipedia
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