26 maggio 2012: Monaco, un dito alzato, una pole negata ma incancellabile

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Tempo di lettura: 4 minuti
di Alessandro Secchi @alexsecchi83
27 Maggio 2017 - 00:30
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Un dito alzato al cielo, un guanto rosso che indica l’azzurro. 1:14.301, il tempo della pole non pole, quella non conteggiata ma che tutti ricordano. Tifosi, appassionati, avversari, detrattori.

Il 26 maggio 2012 è il giorno in cui la Formula 1 realizza ancora una volta, l’ultima, di aver avuto tra le sue fila per più di vent’anni uno dei suoi migliori prodotti. Anni 43 contro una schiera di ultra vent’enni. Critiche, tante, dal rientro, ma voglia di fare ancora vedere qualcosa. E quale palcoscenico migliore dei guardrail a filo cerchio, dei tombini, dei palazzoni? Quale migliore piazza di quella in cui hai vinto cinque volte, in una hai picchiato al primo giro con buone chance, in un’altra hai rotto quando stavi per vincere? Insomma: se ultima pole, ultima dimostrazione di forza deve arrivare, dove se non a Montecarlo?

Siamo lì, in un gruppetto di amici, ospiti in barca al Tabaccaio. Che in quel punto le macchine passano a 150, 160 all’ora, forse anche di più adesso. Ad ogni scatto di reflex rischi di strapparti la schiena per la velocità con cui ti devi girare per seguire le macchine e riprenderle senza effetto mare mosso. La foto di copertina è stata scattata al mattino di quel giorno. È una delle poche uscite decentemente dai tentativi di cui sopra.

Dal vivo ti spaventi: vedi i piloti uscire come proiettili dal tunnel e spararsi a palla di fucile dalla chicane verso, appunto, il Tabaccaio. Quasi fatichi a riconoscere i caschi tanto vanno forte. Ad ogni giro, dal più al meno forte, la stima per quei ragazzi sale vertiginosamente. Bisogna avere palle cubiche anche per andare alla metà della velocità. Hat off. 

Prove libere così così, insomma la Mercedes non è ancora il fulmine di guerra che avremmo conosciuto dal 2014. Qualifiche calde apparentemente senza troppe sorprese, fino agli ultimi minuti di Q3 quando è ora di giocarsela. Quando a staccare il miglior tempo è Webber davanti a Hamilton e Rosberg pensiamo sia andata, fino a quando il live timing non ci mostra che un vecchietto di 43 anni sta completando un giro tutto tranne che lento. Il tempo di passarci sotto il Tabaccaio ed è un sospiro trattenuto fino al passaggio sotto la bandiera a scacchi. 

È pole. Cioè non lo è, perché ci sono da scontare 5 posizioni di penalità per aver tamponato Bruno Senna a Barcellona. Non è pole ma lo è comunque: sarebbe la numero 69, è la numero 69. Le tribune esplodono letteralmente quando i maxischermi mostrano il nome Schumacher in cima ai tempi. Man mano che Michael passa nelle varie zone viene applaudito da chiunque sia seduto e non: spettatori, commissari, chi segue dal balcone di casa. Voglio uscire sul ponte della barca con la reflex, ma poi ci ripenso e no, chi se ne frega: me lo voglio godere con gli occhi. Arriva dalla chicane e mi passa sotto mentre grido di gioia con quel dito alzato al cielo, che vuol dire tantissimo: essersi tolto una soddisfazione nel posto più impegnativo, aver dimostrato di poter dare ancora qualcosa di buono al suo mondo, aver mostrato a se stesso di esserci ancora. Aver segnato un giorno storico. Aver regalato un’emozione, a me e a tanti che dopo cinque anni ricordano quel giorno come fosse ieri. 

La gara, poi, sarebbe andata com’è andata, ma poco importa. Il 26 maggio 2012 resta una data storica: stride che quella pole non sia stata conteggiata, anche se francamente la penalità non dovrebbe negare la statistica. Pazienza: ma per me, per tanti, Michael Schumacher quel giorno ha conquistato la pole numero 69. A 43 anni, dopo quasi 21 anni dal debutto in F1 e quasi 300 gare disputate. E scusate se è poco.

Ne parlo poco ultimamente, ma il peso dell’assenza a volte porta ad un fragoroso silenzio. Manca. Tanto, troppo.

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