25 anni senza il Drake. Biografia di Enzo Ferrari – Parte 3/4

F1Storia
Tempo di lettura: 17 minuti
di Alessandro Secchi @alexsecchi83
18 Agosto 2013 - 18:45
Home  »  F1Storia

Ecco la terza parte del nostro Speciale sul 25° anniversario della scomparsa di Enzo Ferrari.

Leggi la prima parte
Leggi la seconda parte

Firmato da Giovanni Talli e Giuseppe Annese

Dopo la batosta subita nel 1957 e il mondiale conquistato dagli acerrimi rivali Fangio e Maserati, la Ferrari necessita di una rifondazione tecnica radicale. Enzo affida la direzione tecnica della Scuderia al corpulento ingegnere toscano Carlo Chiti, cresciuto nell’ormai smantellato reparto corse dell’Alfa.

L’ultima grande casa costruttrice ad abbandonare le corse è la Maserati per cui, nella quasi totale assenza di avversari, la Ferrari ha gioco facile ed il 1958 si rivela un anno di grandi successi sia nelle gare Sport sia in F1. Non termina però l’elenco delle tragedie.

Luigi Musso, romano, è considerato un “campione senza cuore” perché non dà battaglia come gli altri. Eppure è velocissimo. Vince il GP di Argentina del ’56, in coppia con Fangio, ma, soprattutto, entusiasma finalmente il pubblico di Monza durante la “Corsa dei 2 mondi” del 1958, meglio conosciuta come “500 Miglia di Monza”, una sfida tra case e piloti europei e statunitensi tesa a pubblicizzare reciprocamente le due diverse massime categorie automobilistiche (F1 e F.Indy) che si disputa sulla Sopraelevata brianzola. Musso ottiene la pole position con la 246 F1 davanti all’americano Veith e a Fangio ma in gara conclude al 6° posto per un malore. E’ lui, in ogni caso, la speranza italiana della F1.

A Reims, Musso si gioca una grossa fetta del mondiale. E’ terzo in classifica con 12 punti, dietro a Moss con 17 ed il compagno Hawthorn con 14; non può permettersi di perdere ulteriormente terreno. Al 9° giro Musso è secondo, in scia al compagno Hawthorn. Al passaggio successivo, all’ingresso della velocissima curva del Calvaire, le due Ferrari sono praticamente attaccate ma la vettura di Musso esce di pista e finisce in un campo di grano. Per il 33enne pilota romano non c’è niente da fare.

Un mese dopo, al Nurburgring, la Ferrari sembra aver vita facile sulle Vanwall. Al Pflantzgarten la Rossa di Collins esce di pista e si schianta contro un albero. Il simpatico pilota inglese aveva 26 anni. Ora anche l’Osservatore Romano si accanisce contro le competizioni automobilistiche e, soprattutto, contro Ferrari fino a definirlo “un moderno Saturno che continua a divorare i propri figli”.

Il mondiale di F1 finisce nelle mani di Mike Hawthorn con la 246 F1 equipaggiata da un motore a 6 cilindri il cui progetto era stato impostato negli ultimi mesi di vita da Dino a cui venne dedicata la denominazione dell’unità motrice. A fine stagione, sconvolto dalla perdita dei due cari amici compagni di squadra, Hawthorn decide di ritirarsi dalle corse ma il destino gli è avverso in quanto rimane egli stesso vittima di un incidente stradale nel gennaio del 1959 mentre è alla guida della sua Jaguar privata. Sarebbe morto ugualmente dopo breve tempo per una malformazione ai reni.

Intanto, tra gli avversari, si fa luce la Cooper, una piccola azienda automobilistica inglese, gestita da padre e figlio che sposa da sempre la filosofia del posizionamento posteriore del motore in contrapposizione a quella di Ferrari secondo il quale: “sono i buoi che tirano il carro e non viceversa”. Nonostante una potenza nettamente inferiore, le più leggere e maneggevoli “vetturette” della Cooper dominano il mondiale di F1 del 1959 con Jack Brabham. Chiti capisce che l’epoca del motore anteriore è ormai tramontata ma Ferrari insiste perche le sue vetture GT seguono quella filosofia e la clientela non comprenderebbe una scelta tecnica differente. Le sconfitte arrivano anche nel Mondiale Marche dominato dall’Aston Martin che si aggiudica anche la classica 24 Ore di Le Mans. Finalmente Ferrari si “converte” e consente a Chiti di sviluppare una F1 con motore posteriore ma in gran segreto, in un’officina distaccata a Modena, sacrificando il 1960 ad anno di transizione. La prima apparizione di una Ferrari di F1 a motore posteriore è nel GP di Montecarlo del 1960 ma la 246 P di Richie Ginther, una vettura-laboratorio, si rivela non troppo performante convincendo così il Drake a mettere in cantiere il progetto di una vera monoposto a motore posteriore. La decisione definitiva avviene dopo una gara di F2 disputata in Germania, il GP Solitude, dove von Trips e Phil Hill corrono su due Ferrari Dino 156 con diverso posizionamento del motore. Von Trips vince con la vettura a motore posteriore mentre Hill giunge 7° con oltre un minuto di distacco.

In F1 dominano le inglesi Cooper e Lotus ma la Ferrari si prende la rivincita conquistando gli allori della 1000 Km di Buenos Aires e della 24 Ore di Le Mans ottenendo una forte risonanza a livello mondiale. L’immediata conseguenza è l’impennata nella produzione di vetture stradali che passa dalla 26 unità per anno del 1950 alle oltre 300 del 1960. I modelli più popolari sono la 250 GT nelle sue molteplici versioni e la 400 Superamerica.

La società cambia la ragione sociale da “Auto Costruzioni Ferrari” in “S.E.F.A.C.” (Società Esercizio Fabbriche Automobili e Corse); qualche giornalista la “ricodificherà” in Sempre Enzo Ferrari Al Comando. L’Università di Bologna conferisce al Commendatore la Laurea honoris causa in ingegneria meccanica.

Gli ingegneri Chiti e Rocchi costruiscono la prima vera Ferrari di F1 a motore posteriore, la 156 F1, caratterizzata da una doppia presa d’aria anteriore che le varrà il soprannome di “shark-nose”. Una carrozzeria simile equipaggia anche la 246P a motore centrale costruita per il mondiale Marche. La 156 F1 sbaraglia la concorrenza dominando il mondiale in maniera imbarazzante, calando addirittura un poker nel GP del Belgio con Hill, Von Trips, Ginther e Gendebien ai primi quattro posti. Il titolo piloti è un affare privato in casa Ferrari che però viene risolto dal destino al 2° giro del GP d’Italia quando, alla staccata della Parabolica di Monza, Clark tampona Von Trips che perde il controllo della sua 156 F1. La vettura punta contro il terrapieno sulla sinistra e travolge gli spettatori uccidendone 17. Per il 33enne nobile tedesco, sbalzato dall’abitacolo, finiscono sia il campionato che la vita. Era l’ultimo componente della “Scuderia Ferrari Primavera”.

Phil Hill diventa il primo statunitense campione del mondo di F1. La 246P si aggiudica il mondiale Marche ma l’ambiente in Ferrari è tutt’altro che sereno. Dopo uno scontro prolungatosi durante tutta la stagione, l’ingegner Chiti, il DS Romolo Tavoni ed altri sei uomini dello staff abbandonano Maranello per dare vita all’ATS (Automobili Turismo e Sport).

Alla burrascosa vicenda aziendale si aggiunge il ricovero in clinica della moglie Laura per problemi di salute mentale ma tutto ciò non impedisce a Ferrari di ricominciare tutto da zero per un’altra volta. La prima novità è l’assunzione di Mauro Forghieri, un ventiseienne neo laureato ingegnere, figlio di un vecchio capo-officina dell’azienda. Il giovane modenese sarà affiancato da un’equipe tecnica formata dagli ingegneri Bussi, Rocchi e Salvarani rimasti fedeli al Drake. Tra i piloti si punta su tre italiani: Giancarlo Baghetti, Ludovico Scarfiotti e Lorenzo Bandini ma l’annata ‘62 di F1 è disastrosa e Ferrari cerca di ingaggiare l’inglese Stirling Moss. Quando l’accordo sembra ormai raggiunto il pilota è vittima a Goodwood, a bordo di una Lotus, di un terribile incidente che ne chiude prematuramente la carriera. Segue poi un interessamento verso l’ormai campione del mondo Graham Hill che però non avrà seguito a causa del fatto che il “Baffo” è troppo… inglese! Gli allori arrivano invece, come sempre, nel mondiale Marche che la Ferrari si aggiudica per l’ottava volta dopo aver vinto a Sebring, alla Targa Florio, al Nurburgring e a Le Mans.

Ancora una volta è il settore produzione a ricavare il maggiore beneficio da queste vittorie soprattutto grazie alla 250 GTO, un “gioiello” disegnato da Pininfarina e realizzato dalla carrozzeria Scaglietti. Questa vettura, prodotta in soli 36 esemplari, oltre a dominare il Mondiale GT tra il ’62 e il ’64 con piloti del calibro di Phil Hill, Graham Hill, Stirling Moss, i fratelli Rodriguez, Roger Penske, A.J. Foyt e Jo Siffert, si rivela facile da guidare anche sulle strade di tutti i giorni e grazie alla sua splendida linea riscuote un successo senza eguali. Tutto ciò fa esclamare a Henry Ford II, all’indomani della vittoria di Le Mans ‘62: “Ogni anno spendo milioni di dollari per reclamizzare le mie macchine nel mondo, mentre il signor Ferrari, senza nulla dover investire in costose campagne pubblicitarie, dopo ogni vittoria ottiene titoli a caratteri di scatola sui più importanti quotidiani internazionali”. I fortunati possessori di uno di quei 36 gioielli può contare oggi su un capitale di 6 milioni e mezzo di Euro. Nello stesso anno Ferrari riceve dall’ONU il Premio Hammarskjöld per le Scienze Sociali. Inoltre Ferrari, che non ha mai perso la passione per la scrittura, pubblica il suo primo libro, “Le mie gioie terribili” in risposta alla pubblicazione di Fangio, “La mia vita a 300 all’ora” nella quale l’argentino ricordava la sua stagione vissuta a Maranello piena di contrasti e pettegolezzi. Ferrari continuerà poi a scrivere e darà alle stampe numerosi altri libri: “Le mie gioie terribili due anni dopo” del 1964, “Le briglie del successo” del 1970, “Ferrari” del 1974, “Il Flobert” del 1976, “Ferrari 80” del 1979, “Piloti… che gente!” del 1983.

Nonostante i successi, il 1° novembre arriva un altro dolore per Ferrari quando il giovanissimo promettente pilota messicano Ricardo Rodriguez, dopo aver trionfato con la Rossa alla Targa Florio e alla 1000 Km di Parigi, libero da impegni contrattuali, perde la vita al volante di una Lotus durante le prove del GP del Messico disertato dalla Ferrari.

Nell’aprile del ’63 la Ford tenta i primi approcci per cercare di acquistare la casa del Cavallino Rampante. Pur diffidente, il Drake spiega agli americani che potrebbe eventualmente cedere la parte industriale mantenendo però la totale indipendenza nella direzione reparto corse. A metà maggio si arriva ad una stesura di un rogito in previsione della costituzione di due nuove società: la Ford-Ferrari si occuperebbe di vetture GT con capitale diviso al 90% per la casa di Detroit e il restante 10% per Ferrari; ripartizione azionaria inversa per la Ferrari-Ford, destinata alle competizioni. Il valore dell’affare viene fissato in 18 milioni di dollari. Quando oramai tutte le firme sono state apposte sul contratto, Ferrari si rende conto che, pur detenendo il 90% della gestione sportiva, ogni sua decisione avrebbe dovuto subire l’approvazione della direzione di Detroit e, a notte fonda, congeda definitivamente la delegazione statunitense facendo fallire l’accordo. Il giorno seguente Ferrari contatta l’avvocato Gianni Agnelli esternandogli tutta la sua delusione ma il capo della FIAT lo rassicura dicendogli che prima o poi avrebbero trovato una soluzione al problema. Nello stesso momento Henry Ford arringa i suoi dirigenti: “Adesso non ci resta che costruire macchine in grado di battere le sue”. Inizia così l’acerrima rivalità che vedrà le due case costruttrici sfidarsi nelle più famose gare del mondiale Marche, campionato che all’epoca riscuoteva una popolarità di gran lunga superiore a quella della F1.

Nel 1963 la Ferrari continua a vincere a Sebring, al Nurburgring e a Le Mans dove Scarfiotti e Bandini trionfano con la 250 P a oltre 190 kmh di media. In F1 la Scuderia, sponsorizzata e consigliata dalla Shell, punta sul sette volte campione del mondo di motociclismo John Surtees, amato dalle folle italiane per aver trionfato in sella alla MV Agusta e apprezzato dal Drake in quanto l’inglese gli ricorda le origini a due ruote dell’amato campione Tazio Nuvolari. Il “Figlio del vento” ripaga la fiducia ottenuta vincendo il suo primo GP iridato in Germania in un campionato dominato dalla Lotus di Jim Clark. Tra le vetture stradali viene presentata al salone di Parigi la 250 LM che dovrebbe sostituire la GTO ma la Commissione Sportiva Automobilistica Italiana nega l’omologazione per la categoria GT e quindi per le competizioni.

Il 1964 inizia meravigliosamente con la vittoria di Phil Hill e Pedro Rodriguez, fratello di Ricardo, a Daytona con la 250 GTO mentre la 275P domina a Sebring, a Le Mans (dove umilia la debuttante Ford GT40 costruita appositamente per battere le Rosse) e soprattutto al Nurburgring con Scarfiotti e Vaccarella. Nello stesso anno viene presentata la 275 GTB che monta un motore a 12 cilindri derivato dalle corse. La ciliegina sulla torta di  quest’annata entusiasmante giunge in Messico dove Surtees, grazie al gioco di squadra attuato da Bandini, conquista il titolo in F1 con un’insolita Ferrari bianco-azzurra (i colori da corsa degli USA). È una ripicca contro l’autorità sportiva italiana, rea di non aver rilasciato l’omologazione per la 250 LM. Ferrari restituisce la licenza di concorrente italiano e fa iscrivere le sue vetture dall’importatore statunitense Luigi Chinetti, proprietario della scuderia N.A.R.T. che lo aveva convinto con successo a rivolgersi al mercato americano. Per la casa di Maranello è il sesto titolo piloti in 15 campionati disputati.

Ripetere i successi dell’anno precedente sembra quasi impossibile e invece il 1965 comincia con la splendida vittoria di Vaccarella e Bandini alla Targa Florio con la 275 P2 e prosegue a Le Mans con un’insperata vittoria conquistata dall’equipaggio non ufficiale Rindt-Gregory, iscritti dalla Scuderia N.A.R.T. Le sei Ford GT40 che dovevano battere il Cavallino sono tutte ritirate. In F1 è di nuovo il binomio Lotus-Clark a dettare legge mentre a Maranello cominciano i primi dissapori tra Surtees e Ferrari. Il Drake intanto riscuote sempre un maggiore successo con le vetture GT grazie all’elegantissima e costosissima 330 GT.

Il 15 ottobre 1965 si spegne all’età di 93 anni la mamma Adalgisa e per Enzo, che le era attaccatissimo, è un colpo molto duro: “Capisco di essere stato il suo orgoglio e il suo quotidiano tormento”.

Al salone di Ginevra del ’66 viene presentata la 365 California ma in questa stagione Ferrari deve iniziare a fare i conti con le prime agitazioni sindacali che mettono in difficoltà sia il reparto corse che l’azienda stessa. La Ford questa volta fa sul serio e nel mondiale Sport Prototipi domina a Daytona, a Sebring e soprattutto a Le Mans dove la GT 40 di Chris Amon e Bruce McLaren batte finalmente la P33. John Surtees viene licenziato a stagione iniziata, accusato dal DS Dragoni di spionaggio industriale a favore della Lola. Per ironia della sorte, “Big John” lascia Maranello proprio dopo la vittoria nel GP del Belgio. A fine stagione anche Dragoni, sarà messo alla porta. La popolarità della Ferrari viene amplificata dal film “Grand Prix”, girato dal regista John Frankenheimer sui circuiti del campionato del mondo. Alcune scene vengono filmate all’interno della fabbrica ma Ferrari ottiene che nella finzione cinematografica la sua squadra sia denominata “Manetta-Ferrari” una scuderia immaginaria il cui patron, il Cavalier Manetta, è interpretato da Adolfo Celi, mentre i protagonisti della storia sono il pilota Jean-Pierre Sarti, interpretato da Yves Montand e le bellissime Francoise Hardy ed Eva-Marie Saint. L’unica altra soddisfazione arriva a Monza quando Scarfiotti e Parkes conquistano una splendida doppietta nel GP d’Italia di F1.

Deluso dall’esperienza avuta con Surtees, Ferrari promuove a prima guida della squadra di F1 Lorenzo Bandini che comincia benissimo il 1967 vincendo la 24 Ore di Daytona in coppia con Amon. Quella consumata in Florida è una vera e propria vendetta nei confronti della Ford, umiliata in casa da una memorabile tripletta celebrata dal famosissimo arrivo in parata delle 330 architettato con maestria dal nuovo DS Franco Lini. Bandini si ripete, sempre in coppia con Amon, alla 1000 Km di Monza ma il suo momento magico si conclude tragicamente il 7 maggio alla chicane del porto del circuito di Montecarlo (vedi monografia “Lorenzo Bandini – immagini di un pilota”). La Ford si prende la rivincita a Le Mans con Foyt e Gurney con quella che Forghieri ritenne una vittoria non regolare al punto di andare a protestare con gli organizzatori per un misterioso black-out notturno del servizio di cronometraggio che rivoluzionò la classifica a favore degli americani. La risposta all’ingegnere modenese fu: “Mauro, c’est l’argent qui fait la guerre”. L’anno seguente il circuito di Le Mans avrebbe presentato una nuova chicane al fine di ottenere l’omologazione per la gara, denominata, guarda caso, chicane Ford.

In F1 arriva un nuovo nemico: il motore Ford-Cosworth che, fortemente voluto dal titolare della Lotus Colin Chapman, è destinato a cambiare la storia della massima formula. La produzione Ferrari si arricchisce di un altro gioiello: la Dino 206 GT che monta il motore a 6 cilindri progettato dal figlio di Enzo prima della scomparsa.

Ford e Porsche si rivelano essere avversari sempre più competitivi e così Ferrari decide, all’inizio del ’68, di rinunciare alle grandi classiche per vetture Sport Prototipi e concentrare le risorse del reparto corse sulle monoposto. Nonostante le ottime vendite delle vetture stradali, l’azienda è sull’orlo del fallimento in quanto la partecipazione alle corse assorbe più di un milione di dollari all’anno. I team inglesi, la Lotus prima di tutti, intraprendono la strada della sponsorizzazione non tecnica per fare fronte ai costi di gestione, una scelta che Ferrari rifiuterà fino al 1984 per motivi di prestigio anche se, per la verità, durante la Temporada Argentina del 1950 le sue 166 FL gareggiavano con l’insegna della Fernet-Branca ben visibile sul cofano motore.

Per la F1, accanto al confermato Amon, viene ingaggiato il giovane belga Jacky Ickx che ottiene di avere sulla sua vettura due strisce gialle che richiamano il colore ufficiale del Belgio nelle competizioni automobilistiche. Il primo successo arriva durante il GP di Francia disputatosi sotto il diluvio a Rouen.

A Spa, in occasione del GP del Belgio, la Ferrari presenta un’importantissima innovazione aerodinamica introdotta dall’ingegner Forghieri: si tratta di un alettone regolabile dall’abitacolo montato su un traliccio di tubi alle spalle del pilota, il cui scopo è quello di aumentare l’aderenza delle ruote posteriori.

In F2, categoria nella quale la Ferrari usa il motore a 6 cilindri Dino, è Tino Brambilla a tenere alta la bandiera del Cavallino. Inoltre, a Maranello si costruisce la 612, un mostro di potenza da 620 cv destinato alla serie nordamericana Can-Am. Sempre in tema USA, viene presentata la 365 GTB4, meglio conosciuta come “Daytona”, progettata per celebrare la tripletta ottenuta l’anno precedente in Florida. Questo modello sarà prodotto in 1366 esemplari fino al 1973.

Nel ‘69 Ferrari deve far fronte a gravi sforzi finanziari. Le vetture stradali sono ora ricercatissime ma non si riesce a produrne a sufficienza per soddisfare le richieste della clientela e, contemporaneamente, mantenere i propri programmi sul fronte agonistico.

In aiuto del Drake arrivano la FIAT e la famiglia Agnelli con la quale, il 21 giugno, viene stipulato un accordo commerciale in base al quale Ferrari riceve due miliardi e 150 milioni di lire impegnandosi a fornire i progetti dei motori mentre l’azienda di Torino dovrà produrre in serie le vetture stradali. La FIAT diventa la principale azionista con la quota del 50%, Ferrari mantiene il 40% mentre il restante 10% viene assegnato al figlio Piero. L’accordo si concretizza perché Agnelli, contrariamente a quanto fece la Ford sei anni prima, lascia a Ferrari la piena autonomia nella gestione del reparto corse. L’avvocato Agnelli, al termine di una cordiale conversazione, concluse: “Beh, Ferrari, è vero che questo accordo si poteva fare anche prima?”

Secondo alcuni storici dell’automobile, la decisione di vendere fu dettata anche dalla consapevolezza di Ferrari di andare incontro alla fine della propria esistenza e dal voler garantire comunque un futuro al suo nome e alla sua azienda. Da questo momento Enzo Ferrari si dedicherà esclusivamente ai suoi “giocattoli rossi” lasciando le incombenze del reparto industriale a chi di dovere.

Dal punto di vista agonistico, il 1969 riserva qualche soddisfazione in F1 ma, soprattutto, nel campionato europeo della Montagna dove Peter Schetty, con la fantastica 212 E, si impone sulle fortissime Porsche in tutte sette le prove in calendario.

La Scuderia riparte nel 1970 con nuovo entusiasmo. L’ingegner Forghieri disegna il motore 12 cilindri “boxer” che rappresenterà una pietra miliare nella storia della casa di Maranello. I risultati in F1 sono ottimi ma è Jochen Rindt con la Lotus ad aggiudicarsi il campionato ricevendo il titolo alla memoria dopo l’incidente mortale di Monza. Tra i prototipi arriva un’unica vittoria a Sebring dove la 512 S di Vaccarella-Andretti-Giunti batte le sempre più potenti Porsche 917 K. Entra a far parte della scuderia anche il pilota svizzero Clay Regazzoni.

Ulteriore popolarità per la Ferrari arriva, inaspettatamente, dalla TV inglese che produce la serie “The persuaders”, conosciuta in Italia con il titolo di “Attenti a quei due”, nella quale i due scapestrati protagonisti Roger Moore e Tony Curtis si contendono l’attenzione di splendide ragazze, l’uno al volante di una Aston Martin DBS V8, l’altro su una fantastica Dino 246 GT color arancio.

Fine terza parte.

Leggi l’ultima parte

Giovanni Talli e Giuseppe Annese

Leggi anche

Il calendario completo del mondiale 2024

Tutte le ultime News di P300.it

È vietata la riproduzione, anche se parziale, dei contenuti pubblicati su P300.it senza autorizzazione scritta da richiedere a info@p300.it.

LE ULTIME DI CATEGORIA
Lascia un commento

Devi essere collegato per pubblicare un commento.

COLLABORIAMO CON

P300.it SOSTIENE

MENU UTENTE

REGISTRATI

CONDIVIDI L'ARTICOLO