20 anni dopo: Ciao, Roland

Autore: Alessandro Secchi
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Pubblicato il 30 Aprile 2014 - 13:00
Tempo di lettura: 3 minuti
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20 anni dopo: Ciao, Roland
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Roland Ratzenberger è la prima persona che io ricordi aver visto morire in diretta TV sotto i miei occhi.

Quel 30 Aprile del 1994 ero a casa a seguire le qualifiche del GP di San Marino. Avevo ancora negli occhi lo schianto indefinibile di Barrichello del giorno prima.

L’immagine che stacca sulla Simtek numero 32, ormai ridotta ad un rottame, che termina la sua corsa sull’erba all’interno della Tosa, è indelebile. Il casco insanguinato che si muove per inerzia nell’abitacolo per poi fermarsi, è agghiacciante ancora adesso, a vent’anni di distanza.

Quel giorno ho capito che la F1 non era solo un divertimento, non era un gioco da consolle nel quale, se vai a sbattere, ricominci e via. Ho scoperto il rovescio della medaglia e da lì (e dal giorno dopo) averi imparato a rispettare anche il più lento dei piloti di F1. Rispetto che porto sempre per chiunque guidi un’auto da corsa, e del quale ho parlato più volte anche in queste pagine.

Ratzenberger aveva i soldi per correre solo 5 gare. Era un pagante, di fatto, con comunque un passato alle spalle nelle categorie minori. Era arrivato a inseguire il sogno della F1 a tempo determinato dopo chissà quanti sacrifici. Non era, evidentemente, conosciuto come ‘quelli delle prime file’, e voglio essere sincero. Probabilmente, il suo solo sacrificio non sarebbe servito a mettere in moto il meccanismo di inseguimento della sicurezza in F1, se il giorno dopo un altro sacrificio, quello del più grande pilota in pista, non li avesse messi sullo stesso piano dando anche a lui l’importanza che avrebbe meritato comunque.

Nella tragedia di Imola Roland ha trovato, in Ayrton, il miglior alleato possibile per svegliare dal torpore chi, per anni, pensava che si fosse fatto abbastanza per la sicurezza dei piloti in F1. Dopo 20 anni, siamo qui a lamentarci di quanto la F1 non sia più quella di una volta, delle vie di fuga spaziali e dei circuiti in mezzo al nulla. Dovremmo però ricordarci che questa F1 è figlia, dal punto di vista della sicurezza, di quel weekend a Imola. Nel quale la prima era della Formula 1 è morta con Ratzenberger e Senna, lasciando spazio ad una nuova, più sicura, forse meno intensa, ma con ancora nessun ferito veramente grave in incidenti come quello di Schumacher nel 1999 a Silverstone, Burti nel 2001 a Spa, McNish nel 2002 a Suzuka, Kubica nel 2007 a Montreal.

La sicurezza in F1, oggi, è tale grazie anche a Ratzenberger. Uno degli ultimi sulla griglia. Uno dei primi che saranno sempre da ricordare ogni volta che un pilota uscirà indenne dalla propria monoposto.

Ciao, Roland. Ovunque tu sia.

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