WTCR | Analisi 2018: Tarquini vince di esperienza un campionato spettacolare

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di Federico Benedusi @federicob95
23 Novembre 2018 - 14:00
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Un campionato come il WTCR mancava alla FIA da moltissimo tempo. Nelle ultime stagioni, il mondiale turismo aveva visto calare drammaticamente il proprio appeal, prima con l’adozione dei motori 1.6 turbo in luogo dei 2.0 e poi con l’infelice creazione del regolamento TC1. Il campionato 2017, pur essendo stato particolarmente combattuto in seguito al ritiro ufficiale di Citroën, si era concluso sotto le luci artificiali di Losail con appena 16 macchine in griglia, delle quali solo sei ufficiali.

Incapace di creare un regolamento tecnico sufficiente, la Federazione Internazionale ha messo gli occhi sulla TCR di Marcello Lotti, nata proprio dopo l’allontanamento del manager italiano dal ruolo di promoter del mondiale. Regolamento già testato dalla FIA nel campionato europeo del 2017, l’espansione del concetto TCR in tutto il mondo ha fatto gola a François Ribeiro, a Eurosport Events e alla FIA stessa, la quale ha in qualche modo ammesso il suo errore riallacciando i rapporti con Lotti. Pur con una ferma mano della FIA, che è discutibilmente intervenuta scegliendo un format di tre gare per evento e mantenendo la regola del compensation weight già usata nel WTCC, il WTCR 2018 ha dato spettacolo proponendo una grande varietà di piloti e soprattutto vetture. 

Sette piloti sono arrivati all’ultimo round di Macao con possibilità di vincere il titolo, ricordando quanto avvenuto nella stagione 2006 quando furono ben nove i piloti che si giocarono il campionato nel gran finale di stagione. Alla fine l’ha spuntata Gabriele Tarquini, che a 56 anni è diventato campione del mondo turismo per la seconda volta battendo il suo storico rivale Yvan Muller per appena tre punti. La Hyundai i30 si è dimostrata essere la vettura più forte per distacco, ma il gioco del Balance ha consentito anche a Honda, Audi e Cupra di ricoprire un ruolo nella lotta per il titolo. 

Andiamo ad analizzare i temi scaturiti dalla stagione 2018.

L’intramontabile Tarquini

Considerando i soli campionati turismo corsi da Gabriele Tarquini, si può dire che il pilota abruzzese abbia già passato all’incirca tre vite. La prima ha compreso tutti i suoi grandi successi con Alfa Romeo, Seat e pure Honda e si è conclusa nel 2012, con la fine del rapporto con Seat; la seconda ha avuto origine proprio nel ritorno con Honda, dai test svolti nella seconda parte del 2012 ai tre campionati disputati con il team Jas senza troppe soddisfazioni fino ad arrivare al mondiale 2016 corso con la Lada Vesta. La chiusura del programma ufficiale dei russi ha lasciato a piedi Tarquini, rimasto senza un volante per il 2017 fino alla chiamata da parte di Hyundai per sviluppare la i30 TCR. Un progetto totalmente nuovo, l’ennesima tipologia differente di vetture guidate da un pilota che nella sua carriera ha visto e vissuto davvero di tutto. Poi il debutto in gara, l’anno scorso a Zhejiang con una vittoria nella TCR International, un altro successo ad Adria nella TCR europea e infine l’accordo per tornare nel mondiale turismo.

Sono bastate poche gare per rendere noto l’enorme potenziale della Hyundai, vettura sviluppata nel minimo particolare da un Tarquini ringiovanito un’altra volta. La candidatura per il nuovo WTCR è arrivata con ben quattro piloti di assoluto spessore: lo stesso Tarquini, il campione del mondo in carica Thed Björk, il suo vice Norbert Michelisz e infine il rientrante Yvan Muller. Una sfida molto difficile. La stagione di Tarquini è iniziata con due vittorie a Marrakech in un weekend totalmente dominato dalle vetture sudcoreane, ma gli alti e bassi dettati dal compensation weight hanno coinciso con gli alti e bassi dell’abruzzese: il redivivo Muller e il velocissimo Björk hanno pienamente soddisfatto le aspettative di avversari temibili, ma il titolo è arrivato grazie all’esperienza e alla lucidità di un pilota che non sente il tempo che passa.

Tarquini, dopo avere vinto cinque gare svettando su tutti in questa statistica, si è ritrovato nel momento più difficile proprio a Macao. Un incidente al termine della Q1 lo ha relegato a metà griglia e, si sa, se partire da quella posizione non è mai vantaggioso, figuriamoci cosa possa essere farlo a Macao. E puntualmente, il Circuito da Guia non perdona: al via di gara-2 si verifica la carambola, Tarquini ci resta in mezzo mentre Muller ne esce sano e salvo. Il team BRC Racing lavora alacremente sulla sua vettura (e anche su quella di Michelisz, ridotta pure peggio) e la rimette in pista per il round decisivo: in gara-3 l’incidente al Lisboa è scampato e il titolo è vinto, con i brividi. Per la seconda volta Tarquini si è laureato campione del mondo turismo, arrivando ad una vetta che con tutta probabilità nessuno avrebbe mai osato immaginare anche solo un anno e mezzo fa.

Yvan, alla faccia della pensione

“Il mio obiettivo è un poco diverso rispetto al passato. Ho già ottenuto tanti successi nella mia carriera, ora il mio focus è sul team e sullo sviluppo più che sui risultati veri e propri”. Questo è, con buona approssimazione traducendo dall’inglese, ciò che dichiarava Yvan Muller il giorno dell’annuncio dei suoi piani per il 2018. Parole non certo bellicose, volte a ribadire come la sua vita di pilota fosse tutto sommato finita e come la priorità fosse ora il team da lui stesso gestito. Chi conosce bene Yvan, però, sa della sua anima competitiva, quattro titoli mondiali non si vincono per caso e immaginare un Muller remissivo in pista è piuttosto inappropriato. Sono infatti bastati due giorni, grossomodo, per rivedere il pilota che al volante di Seat e Chevrolet si è mangiato le piste di mezzo mondo. Il ritorno al successo è arrivato nientemeno che sulla Nordschleife, in gara-1, e al termine del weekend tedesco si è pure ritrovato in testa alla classifica.

Difficile dire dove Yvan possa avere perso quei tre punti che alla fine hanno fatto la differenza. Forse la prima gara di Marrakech, chiusa in 11esima posizione mentre le altre Hyundai dominavano, forse il weekend di Suzuka in cui Tarquini ha effettivamente sovrastato le altre i30 mentre Muller ha fatto letteralmente a macchinate (con scarsissimo successo) soprattutto in gara-3. Poco importa. Quello che conta maggiormente è che il pilota alsaziano ha ritrovato la voglia di correre e di vincere, dimostrandolo ulteriormente dopo avere preso la guida del progetto Lynk per il WTCR 2019: Muller schiererà almeno due delle nuove vetture del Gruppo Geely nella prossima stagione, una per Björk e una per lui. La pensione può attendere.

Vince la vecchia scuola, ma le nuove leve non sfigurano

Alla presentazione della entry list 2018, avevamo parlato della spaccatura presente in griglia tra la vecchia scuola e le giovani leve. Un confronto molto interessante, con vetture prestazionalmente simili che lasciavano più “sfogo” al talento dei piloti. Come è andata a finire?

La classifica finale del campionato dice che i primi quattro appartengono alla old school, al disopra della media d’età dei partecipanti full-time, anche se considerare Esteban Guerrieri e Norbert Michelisz alla pari di Tarquini e Muller in fatto di esperienza significa dare una leggera svalutazione a questi ultimi. Restando al livello più generale indicato lo scorso marzo, tuttavia, l’affermazione dei veterani è limpida, ma i giovani non hanno assolutamente sfigurato.

A capo dei giovani rampanti si sono posti soprattutto Jean-Karl Vernay e Pepe Oriola, come previsto. Il francese è arrivato da campione in carica della TCR International, passando dalla Volkswagen Golf all’Audi RS3, e già a Marrakech ha sfruttato al meglio la griglia invertita per vincere subito gara-2; anche quest’anno, tuttavia, la RS3 si è rivelata essere una bestia cattiva da gestire e per arrivare davvero al top il pilota di Villeurbanne ha necessitato di qualche aiuto da parte del bureau tecnico. Pur con soli cinque podi, Vernay ha vinto quattro volte guidando praticamente sempre il gruppo delle vetture di Ingolstadt ed è arrivato a Macao come unico pilota Audi in grado di vincere il campionato. L’inizio di campionato di Oriola con la Cupra è stato ancora più difficoltoso ma lo spagnolo, appena 24enne ma con un’esperienza che metà basta, ha utilizzato al massimo quella costanza di rendimento che da sempre è sua caratteristica: una sola vittoria, in Slovacchia, ma un totale di sette podi che gli hanno permesso di chiudere al sesto posto ad appena un punto dal quarto. 

Un’ottima impressione, in seconda battuta, l’hanno destata anche i francesi Yann Ehrlacher e Aurélien Comte, nonché il belga Frédéric Vervisch. Ehrlacher è probabilmente la più grande sorpresa di questa stagione, dopo un 2017 poco appariscente con la Lada gestita dal team RC Motorsport della madre (Cathy Muller, sorella di Yvan): nella prima parte di stagione è riuscito a più riprese a sovrastare il più quotato compagno di squadra Esteban Guerrieri, conquistando addirittura la leadership del campionato dopo Zandvoort, ma dalla carambola di gara-1 a Vila Real è praticamente calato il sipario sulla stagione del giovane francese, colpito da ogni genere di problema (meccanico e non) e capace di arrivare a punti solo otto volte nelle ultime 18 gare.

Comte, campione europeo TCR in carica, ha portato la Peugeot ad un livello altissimo nel corso della stagione, portando la nuova 308 alla vittoria a Zandvoort e conquistando un totale di sei podi, con una prestigiosa pole a Suzuka. Il 30enne parigino ha nettamente sovrastato il compagno di squadra Mat’o Homola, più pratico delle vetture TCR ad alti livelli e d’altro canto protagonista mancato di questa stagione: lo slovacco ha conquistato la vittoria in gara-2 in Portogallo, centrando anche un quinto in gara-3, ma oltre a quella domenica eccezionale sono arrivati solo otto punti a Suzuka e altri due a Macao.

Vervisch è stato invece l’ultimo dei 15 vincitori differenti di questa coppa del mondo 2018, trionfando in gara-2 a Macao. Un successo che era quasi dovuto al belga del team Comtoyou, da anni pilota ufficiale Audi, già arrivato sul podio in sei occasioni e nuovo recordman TCR della Nordschleife sul giro di gara. Già piuttosto “pratico” di TCR, avendo già corso con l’Audi RS3 nel 2017, Vervisch è riuscito ad ottenere risultati con una certa costanza soprattutto nella seconda parte di stagione prendendosi un posto nella top ten finale.

Volkswagen, quante difficoltà!

Non è stata una stagione facile per la Volkswagen Golf, a tutti i livelli della gerarchia TCR. Sono arrivati quattro titoli, ma l’unico veramente di alto livello è stato quello vinto dal solito Johan Kristoffersson in Scandinavia e anche nel mondiale le cose non sono andate per il meglio. 

La stagione delle Golf gestite da Sébastien Loeb è iniziata piuttosto bene, con Robert Huff salito sul podio per cinque volte nelle prime 12 gare, ma dal Portogallo è arrivata la svolta negativa. La prima fila occupata da Huff e Bennani nella gara del sabato si è trasformata in una delle più grosse carambole che il motorsport abbia mai conosciuto in tutta la sua storia, ma gli ottimi tempi stabiliti in quella sessione di qualifica hanno avuto un riflesso anche per i weekend successivi. Il sistema di attribuzione delle zavorre del compensation weight tiene infatti conto delle performance dei tre Gran Premi precedenti e le Golf hanno ricevuto una decisa penalità per la Slovacchia e per le due gare cinesi pur non avendo marcato alcun punto in Portogallo. 

Bennani si è comunque difeso alla grande, prendendosi due pole consecutive con la griglia invertita tramutate in un secondo posto a Ningbo e in un primo a Wuhan, ma in generale sono stati persi per strada molti punti. Huff è tornato alla vittoria a Suzuka prima della grande beffa di Macao, quando è stato letteralmente bruciato al via dalla miglior prestanza sui rettilinei di Audi e Honda rispetto alla Volkswagen, che sin dal suo debutto in TCR non ha fatto dell’aerodinamica il suo punto forte.

Dopo due titoli TCR International consecutivi, vinti con Stefano Comini nel 2016 e con Vernay nel 2017, è arrivata una stagione nera ma c’è da scommettere che nel 2018 le Golf torneranno a dire la loro con costanza. 

Alfa Romeo, una Cenerentola vincente

Non nascondiamoci, anche il WTCR 2018 dell’Alfa Romeo è stato parecchio complicato. La differenza di preparazione tra le Giulietta costruite e sviluppate nell’officina di Romeo Ferraris e le altre vetture, uscite direttamente dalla fabbrica, si è vista tutta ed è stato necessario un Balance parecchio favorevole per permettere anche alle Alfa di emergere. 

I primi punti sono arrivati solo in Slovacchia, quando Gianni Morbidelli aveva già deciso di abbandonare il progetto, e pure Fabrizio Giovanardi ha concluso senza grande successo il suo grande ritorno in pista con il marchio Alfa Romeo. Una battuta a vuoto che di certo non getterà ombre sulle carriere di questi due grandi piloti, ma che lascerà grande rammarico specie considerando che il pilota di Sassuolo se n’è andato proprio prima del grande weekend di Suzuka.

A portare in alto il nome di Ferraris e della Giulietta è stato quindi il pilota che non ti aspetti. Dopo le due stagioni e mezzo in GP3, la carriera di Kevin Ceccon era arrivata ad un punto “morto”: qualche gara con i prototipi, una stagione nel Blancpain GT senza risultati, un 2018 senza volante. Prima della Slovacchia è arrivata la chiamata di Mario Ferraris e Michela Cerruti e il 25enne di Clusone ha accettato di buon grado, senza aspettative esagerate. Ceccon ha conquistato subito dei punti allo Slovakia Ring ma il successo vero e proprio è arrivato in Giappone con una pole, una vittoria e due podi in un weekend eccezionale e storico. Forse l’Italia ha trovato davvero un nuovo Giovanardi per le competizioni turismo? Qualora il team Ferraris dovesse confermare il proprio impegno nel WTCR, l’anno prossimo ne sapremo di più.

15 vincitori diversi

Non era facile da pronosticare a inizio stagione, ma le 30 gare del WTCR 2018 hanno proposto la bellezza di 15 vincitori differenti. I primi 14 classificati a fine campionato, con la vittoria di Vervisch a Macao, sono riusciti tutti quanti ad alzare le braccia al cielo almeno per una volta, con l’aggiunta di Homola che ha concluso la stagione al 18° posto ma ha trionfato nella seconda manche portoghese. 

Su tutti ha spiccato il campione Tarquini, vincitore di cinque gare di cui tre nelle prime sei, seguito dai quattro successi di Björk, a cui però è mancata la costanza di rendimento. Quattro vittorie anche per Vernay con l’Audi, mentre il vice-campione Muller è rimasto a quota tre. Björk è stato però l’unico pilota a conquistare pole e vittoria sia in gara-1 che in gara-3, a Ningbo.

Hanno sbloccato il conteggio delle vittorie anche tutti i costruttori partecipanti: da Hyundai, che di gare ne ha conquistate ben 13, all’Alfa Romeo che ha dovuto attendere fino a Suzuka ma alla fine è riuscita ad emergere sulle vetture costruite direttamente dalle Case.

L’altalena dei pesi

Il sistema del compensation weight, a differenza del Balance of Performance universale, ha comportato un’altalena di gara in gara per quanto riguarda i pesi delle vetture. Dopo i primi tre round dominati quasi totalmente dalle Hyundai, in Olanda è arrivato un alleggerimento generale delle avversarie dando vita al peggior weekend della stagione per le i30. A Zandvoort ha cominciato ad emergere anche Peugeot, arrivata a 100 chili di peso minimo in meno rispetto alle Hyundai, mentre in Portogallo la situazione di peso (oltre alla configurazione del circuito, con chicane strette che richiedevano agilità) ha favorito le Volkswagen. Ma lo zero spaccato rimediato a Vila Real in seguito all’incidente di gara-1, come detto, ha penalizzato le Golf per le tre gare successive a causa degli ottimi tempi registrati nella prima qualifica. In Slovacchia le Golf sono affondate e allo stesso tempo ha acquisito competitività la Cupra, vincitrice con Oriola in gara-1 e sul podio di gara-2 con Norbert Nagy (unici punti acquisiti dall’ungherese quest’anno). L’ottimo weekend di Ningbo, nonostante un Balance difficile, è costato caro alle Hyundai in vista di Wuhan, Gran Premio letteralmente dominato dalle Audi alleggerite. Una grande parità si è vista infine a Suzuka e Macao, con gare spettacolari e tanti marchi diversi con possibilità di vincere. 

Nonostante la grande varietà offerta, il compensation weight risulta comunque evidentemente superfluo, poiché è già presente un Balance mondiale e inoltre può comportare la totale “scomparsa” di alcune vetture su determinati circuiti, aggiungendo zavorre dovute a risultati precedenti su piste che invece potrebbero già risultare sfavorevoli per altri motivi. Hyundai non ha avuto alcuna possibilità di difendersi in Olanda e a Wuhan, così come le Volkswagen avrebbero potuto fare a meno di presentarsi in Slovacchia, pertanto questo sistema è uno dei fattori rivedibili di questo campionato, insieme a ciò che potrete leggere nelle prossime righe.

Spettacolo, qualcosa da rivedere

Le TCR sono vetture che generalmente offrono spettacolo su ogni tipo di circuito, il triennio precedente la nascita del WTCR ce lo ha insegnato. La vocazione mondiale del WTCR tuttavia ha portato a visitare circuiti inadatti allo show anche per macchine da corsa come queste. Piste come Marrakech, Zandvoort o Vila Real hanno offerto gare risolte quasi totalmente in partenza, quasi con l’impossibilità di compiere sorpassi senza scatenare incidenti. 

Se la questione dei sorpassi non deve essere obbligatoriamente estesa a tutto il motorsport, lo spettacolo è l’essenza delle competizioni turismo. Al di là delle piste utilizzate, non sempre adatte, c’è anche la necessità di rivedere il format dei weekend del WTCR: due qualifiche e tre gare sono troppe e in alcune occasioni i piloti hanno preferito alzare il piede e preservare le vetture, piuttosto che affondare un attacco per guadagnare una posizione. Il vecchio format, con una qualifica al sabato e le due gare alla domenica, sarebbe probabilmente più adatto per garantire più show e convincere i piloti ad azzardare di più in pista.

Il calendario 2019 verrà annunciato a breve e si spera che possa comprendere circuiti più adatti ai sorpassi e alla battaglia in pista. Resterà molto probabilmente Marrakech, vista la presenza di Mehdi Bennani, per il resto sarà necessario attendere il Consiglio Mondiale FIA di San Pietroburgo. 

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