Una serenità che manca da mesi

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di Alessandro Secchi @alexsecchi83
25 Maggio 2019 - 22:22
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Quella andata in scena a Monaco per la Ferrari è una qualifica che denota, ancora una volta, la mancanza di tranquillità all’interno del team. Un’assenza di serenità che, sebbene mascherata da rassicurazioni varie, si nota sistematicamente weekend dopo weekend da quello che succede in pista e al muretto. 

Facile dare la colpa nel caso specifico a chi ha deciso di tenere al box Leclerc, a chi non l’ha chiamato in anticipo per la procedura della pesa, al suo primo giro non perfetto, a Vettel che firma i guardrail di ogni curva, a Binotto che non è buono a nulla (ma come, non lo si diceva di Arrivabene, Mattiacci, Domenicali?!). Si tratta della soluzione più semplice, veloce e, al tempo stesso, distruttiva. Perché la cosa peggiore che si possa fare quando un team non è sereno è metterci il carico da 90 accusando il singolo, chiederne la testa, ergersi a giustizieri teorici.

Per quanto certi errori possano essere inconcepibili per chi come noi segue le gare da casa, dobbiamo sempre ricordare che chi è al muretto ha l’onere di prendere decisioni importanti, a volte in pochi attimi. Certo, mi direte che i vari Clear e compagnia sono retribuiti per quella che è la loro responsabilità. Ma, esclusa la malafede degli uomini Ferrari, l’errore fa parte del mestiere e soprattutto viene commesso da chi è in prima linea e non dietro le telecamere. La critica, quindi, ci sta se si parte dalla base del rispetto per chi lavora. Gli insulti, le richieste di teste su piatti d’argento e via dicendo sono cose che non tollero da parte di chi è al di qua del fiume.

L’errore di oggi, quelli precedenti fino al termine della scorsa stagione sono parte di un problema più importante, che si pone ad un livello più alto ed ha, per quello che è il mio modesto parere, una data di inizio: la scomparsa del presidente Marchionne. Da lì in poi tutta quella che è stata la gestione del team, dei piloti e dei cambi al vertice è stata, come dire, poco fortunata.

Quello che doveva essere il pilota di punta, Vettel, è stato lasciato alla mercé della stampa dopo Hockenheim e, di fatto, non si è più ripreso da quell’uscita di pista. Il tedesco è noto per il suo soffrire la pressione ma non è mai arrivata una presa di posizione netta per proteggerlo, come successo in passato con altri personaggi. Al momento – un momento che dura ormai mesi – Sebastian è l’ombra di se stesso. Mi rifiuto di pensare che questo sia il “vero” Vettel ma, al tempo stesso, credo che solo un cambio di squadra possa sollevarlo da quella che è la sua situazione attuale.

L’uscita di Kimi Raikkonen dalla Ferrari, annunciata al pilota tra la vittoria di Spa ed il weekend di Monza, è situazione che ricorda, perdonate l’esempio, il mitico Tafazzi per tempistica e conseguenze. Il risultato è un Kimi che fa la pole al sabato “trainato”, tra l’altro, proprio dal compagno (e qui la strategia ha iniziato a vacillare) e che tira comprensibilmente, libero da “ordini”, una dura e forzata staccata in partenza per mantenere la prima posizione alla prima variante. Alla Roggia, poi, arriva il testacoda del tedesco su pressione di Hamilton e giù l’universo. Il problema, forse, è che non si doveva arrivare a quel punto? Sono seguiti poi errori al muretto a Singapore, in Giappone (mi vengono in mente questi) ed infine il mondiale, come sappiamo, è rimasto in direzione Mercedes.

Come se non bastassero i problemi di autostima di Vettel si è deciso di affiancargli da questa stagione Charles Leclerc, uno già vincente prima ancora di vincere, supportato da stampa e tifosi in quanto prodotto del vivaio Ferrari. Il tedesco, definito prima guida a parole, di fatto non lo è più da quell’annuncio. Ricapitolando: c’è una prima guida che, notoriamente, ha bisogno del 110% del supporto da parte del team e, per farlo stare tranquillo, dopo averlo lasciato bersaglio di qualsiasi critica gli si affianca un fenomeno e potenziale futuro campione del mondo. Prego, si accomodi. Come se a Schumacher, dopo il 1997 ed Jerez, avessero affiancato Hakkinen. Paragone forse non adeguato ma è giusto per farmi capire.

Per terminare il quadro arriva, durante l’inverno, anche l’uscita di Maurizio Arrivabene dal ruolo di Team Principal che viene ricoperto da Mattia Binotto, già Direttore Tecnico. Un doppio ruolo che ho fatto fatica e fatico a capire; sicuramente un qualcosa di inusuale, preceduto da voci di diverbi e differenze di visione all’interno del team, poi smentite. Non lo sapremo mai, ma soprattutto ora che le cose non vanno come previsto questa doppia responsabilità può diventare un peso.

Arriviamo a febbraio: nasce la SF90 e la prima settimana di test è, ancora una volta, all’insegna dei fuochi d’artificio per dei tempi inutili. Si grida ad una monoposto già a posto dalla prima staccata mentre Mercedes pianifica la W10 da un anno e mezzo e porta due configurazioni diverse nelle due sessioni, mandando tutti in panico nella seconda quattro giorni. Melbourne è lo schiaffo che sveglia tutti dai sogni: la Ferrari non va e, puntuale, si presenta il problema piloti. Leclerc scalpita come ampiamente previsto e, da cinque gare, più che pensare alle Mercedes che dominano l’argomento hot sono gli scambi di posizione e gli ordini di scuderia per giocarsi i quarti e quinti posti, con Verstappen e la Honda che nel silenzio totale spesso si mettono tra le Rosse e le Grigie. Arrivano altri errori dei piloti (Vettel in Bahrain ed oggi in FP3, Leclerc a Baku) e del muretto (oggi in qualifica) ma, rileggendo la cronologia degli eventi, non ci si può aspettare qualcosa di diverso da un team che sembra avere difficoltà al momento insormontabili a livello soprattutto gestionale. A tutto questo aggiungiamo un presidente che si porta, sorridente, davanti alle telecamere vantandosi di un giro più veloce dopo l’ennesima doppietta Mercedes. Come se oggi avesse detto “Eh ma il giro migliore in FP3 l’abbiamo fatto noi”

Se posso annotare una cosa di oggi ho trovato “pericoloso” per la concentrazione avere VIP e personaggi noti nel box ad un quarto d’ora dall’inizio delle qualifiche. Magari sono esagerato io, però vista la situazione dopo le libere non mi è sembrato il massimo.

Per chiudere: non sarò certo io a dire cosa la Ferrari deve fare per risollevarsi, perché non sono nessuno e non ho purtroppo né le competenze né l’esperienza per farlo. Quello che penso, però, è che dei due problemi, gestione piloti e monoposto, il primo sia quello di più facile risoluzione. Sul secondo, almeno io, non mi pronuncio. Ci sono già troppi tecnici in giro.

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