E un “Grazie” anche a te, Webberone

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di Alessandro Secchi @alexsecchi83
14 Ottobre 2016 - 15:30
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Anche per lui è arrivato il momento di piegare la tuta. Voglio ricordarlo così, Mark Webber: nel suo ultimo giro ufficiale a bordo di una Formula 1, ad Interlagos nel 2013, sulla Red Bull RB9. Ma, soprattutto, senza casco, ovvero senza l’oggetto che ci divide da loro. Una visiera, una barriera, che separa gli occhi dalla pista e da noi che, oltre lo schermo, li vediamo immersi nell’abitacolo.

Quel giro senza casco, con il volto scoperto, racconta la voglia di Mark di dire “it’s over” a modo suo: aria nei capelli, tanta quanta con indosso il casco non ne ha sentita mai, a mostrarsi per l’ultima volta davanti al pubblico della Formula 1 in versione naturale, senza filtri, com’è poi sempre stato.

Ricordo l’esordio di questo spilungone nella profonda notte di Melbourne del 2002: nell’incredulità generale porta la Minardi al quinto posto quando di punti, ancora per quell’anno, se ne assegnano per i primi sei all’arrivo. Un boom pazzesco, per giunta nella gara di casa in Australia. È questo il modo di Webber di presentarsi alla Formula 1.

Poi il passaggio in Jaguar, un botto tremendo ad Interlagos nel 2003 (nel quale picchia forte anche Alonso)

e una carriera che prosegue con qualche lampo in Williams tra 2005 e 2006: il tutto per poi tornare nel 2007 alla Jaguar che, in realtà, non si chiama più così. Dal 2005 si è trasformata in Red Bull Racing e, per Mark, quello al quale si (ri)unisce, sarà l’ultimo team della carriera.

Primi anni difficili come risultati e poi un altro botto, questa volta in bicicletta al termine del 2008, con una gamba rotta che rischia di metterlo KO per il 2009. Nessun problema: Mark si rialza e all’inizio della nuova stagione è al volante della sua monoposto. Al suo fianco trova Sebastian Vettel, promosso dalla Toro Rosso. Sarà croce e… croce dei suoi ultimi anni di carriera.

La Red Bull è finalmente una vettura che permette di sognare, e arrivano le prime vittorie: il morale sale e nel 2010 il sogno è addirittura quello di centrare il bersaglio più grosso, il titolo mondiale. Si dice che ai secondi piloti capiti una sola volta nella vita di lottare per il titolo. Chiedere a Massa, che ancora piange quel punticino maledetto del 2008. Ebbene, Mark quel sogno lo culla fino a tre gare da termine per poi svegliarsi e ritrovarsi dietro, alla fine del campionato,  il suo compagno Vettel e Fernando Alonso.

Raggiunto il punto più alto senza però issare la bandiera con il suo nome, progressivamente Mark molla il colpo. Il rapporto con la Red Bull, troppo Vetteliana per lui, è spesso ai ferri corti così come quello con il compagno. I due non si sopportano, si scontrano anche (Turchia 2010), entrambi non ne fanno mistero ma si va avanti: la vettura è la migliore del lotto e permette, comunque, di togliersi qualche soddisfazione. Che per Mark saranno 9 in termini di vittorie: spiccano le due a Monaco, di cui tra l’altro pochi possono fregiarsi.

Il giro d’onore capelli al vento lo riporta nell’Endurance, là dove Mark ha iniziato alla fine degli anni ’90. Gilles Villeneuve veniva chiamato aviatore, ma Mark non è stato da meno: sono nella memoria di tanti sia i due voli con la Mercedes a Le Mans nel 1999 che quello con la Red Bull nel 2010 a Valencia.



La nuova avventura a ruote coperte al volante della Porsche porta a Mark, oltre ad un altro botto (Interlagos, fine 2014),

anche il titolo mondiale che in F1 non è riuscito a conquistare, nel 2015. Ora, l’annuncio del definitivo ritiro a fine anno, a 40 anni compiuti da poco.

Non so se avrebbe meritato di più dalla sua carriera, perché è sempre facile parlare dopo, ma fa rabbia perdere un titolo a così poco dal termine come quello del 2010. Gli anni in Red Bull sono stati durissimi: avrebbe fatto bene a cambiare aria? Forse per il morale, ma non per i risultati.

Un altro dei personaggi della mia epoca pronto a chiudere. Di sicuro, rivedendo i suoi botti, gli è andata tutto sommato bene. Non sarà l’unico quest’anno a congedarsi: in F1 ci sarà tempo per rendere omaggio anche a Felipe e Jenson. Segno che il tempo passa velocemente, forse più di quanto uno si aspetti, ma lo si capisce sempre troppo tardi. Un grazie doveroso anche a lui che, come tutti, è un pezzetto del mio personale mosaico dei ricordi legati alla F1.

E un in bocca al lupo per il futuro.

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