Thinking of you

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di Alessandro Secchi @alexsecchi83
29 Dicembre 2016 - 02:20
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Del tempo che passa te ne accorgi quando le abitudini vengono a mancare, devi cambiarle o ne nascono di nuove. 

Cercavo una foto di Michael da allegare a questo articolo e la mia abitudine mi ha portato ad inserire, nella casella di ricerca dell’agenzia, un comunissimo “Schumacher”. Quando sono comparsi risultati ed immagini mi sono reso conto che tutto sta cambiando. Nelle prime pagine il primo Schumi a comparire non è stato quello che cercavo, ma Mick. Il tempo scorre, anche per quel bambino che l’anno prossimo sarà già in F3.

Da un mesetto a questa parte, su Facebook, Twitter ed Instagram, compare spesso un post scritto dai suoi account ufficiali. Quando correva i Social non esistevano: gli sono stati creati dopo quattro anni che ha smesso di gareggiare, per ringraziare chi lo sostiene dell’affetto che arriva da qualsiasi parte del mondo. Nei suoi primi anni Internet non si era impossessata del mondo, la stessa parola era sconosciuta a tutti, tranne a chi la stava per creare.

In tre anni è cambiato tutto e niente: non è neanche semplice parlare di un argomento, di un personaggio, nel mio caso di un idolo, di cui si è detto tutto e il contrario di tutto. Certo, non se ne scrive tutti i giorni nonostante il pensiero, il “Thinking of you” sia quotidiano, anche più volte al giorno. Ma scrivere è altro: più si va avanti, più si rischia di diventare banali, postare le stesse cose, ripetersi, entrare in un loop infinito. Oggi (o dovrei ormai dire ieri vista l’ora) pensavo a come avrei potuto parlare di questo anniversario triste senza entrare nel ridicolo, ripercorrendo una cronologia che conoscono tutti giusto per riempire uno spazio vuoto. Sinceramente non avevo idee. Mi sono guardato intorno: il casco, la foto con lui, i modellini. Prima di quelli rossi uno giallo che spicca, quello della Benetton. E mi è tornata in mente una data: 30 agosto 1992. Da quel giorno sì che le cose sono cambiate, per me.

Ero un bambino: avevo 9 anni e quel giorno caldo è uno dei miei primi ricordi nitidissimi di quella che sarebbe diventata una passione che, ora, alla 1.30 di una notte 24 anni più avanti, mi tiene qui alla tastiera a ricordare e ricordarla. Quel giorno un giovanotto di 23 anni, un anno dopo un debutto semi folgorante (solo per la qualifica, purtroppo), ribalta le previsioni e va a vincere il suo primo Gran Premio di F1 davanti ai mostri sacri della Williams, Mansell (che a me con quel baffetto pareva un nonno) e Patrese. Io guardo quella gara in cucina, seduto spalle al muro su una sedia girata, invece che verso il tavolo, verso il televisore, un Grundig 14 pollici che adesso verrebbe buono, forse, ad un mercatino dell’antiquariato. 

Quel braccio alzato con vigore giovanile sul traguardo fa il paio, 20 anni più tardi, con l’elegante dito verso il cielo che mi passa sotto gli occhi alla curva del Tabaccaio a Montecarlo dopo la conquista della sua ultima, poi negata, pole: è il 26 maggio 2012, e da bambino delle elementari mi trovo a tre settimane dal matrimonio. In mezzo, tutto quello che mi ha portato ad assumerlo come personale punto di riferimento grazie e nonostante tutto ciò che ha fatto: vittorie, trionfi, sconfitte, errori. Tutto. 

In questi ultimi mesi ho scoperto che non sono stato l’unico a viverlo così, Michael. Là fuori siamo in tanti, tantissimi, ad aver provato le stesse emozioni, a condividere gli stessi ricordi, ad avere in mente episodi e dettagli che, anche se vissuti senza conoscerci e in luoghi totalmente diversi, ci avvicinano e ci hanno avvicinato in questi tre anni. Al di là degli strilloni, di chi cerca lo scoop a tutti i costi, di chi non ha rispetto, ci sono milioni di persone che per lui provano un affetto incondizionato dimostrandolo ogni giorno, e sono felice del fatto che ora ci siano dei punti di riferimento ufficiali per condividere tutto questo. Immagini e video che riportano alla mente ricordi lontani e a volte un po’ sbiaditi: magari sfumati come la foto che ho scelto ma che, al centro della loro scena, hanno un protagonista inconfondibile.

È ovvio, evidente, che il silenzio faccia male, ma lo ripeterò all’infinito: bisogna rispettare le decisioni di chi Michael lo sta curando. Un paio di mesi fa, a Sabine (Kehm), ho detto quello che ho già avuto modo di scrivere più volte: “So che state facendo il meglio per lui, per me questo è l’importante”. Ed è vero: è inutile chiedersi, ipotizzare, voler a tutti i costi sapere qualcosa.

L’importante è che chi gli è intorno gli faccia sentire tutto l’affetto possibile, anche il nostro. Che, sul nostro trono immaginario, abbiamo un Re che nessuno potrà mai spodestare. E lui, di sicuro, non abdicherà: l’avete mai visto rinunciare a qualcosa senza, almeno, lottare fino alla fine?!

“I’ve always believed that you should never, ever give up and you should always keep fighting even when there’s only a slightest chance”.

#KeepFighting, Michael.

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