Rivedere Schumi in Marc

BlogParola di Corsaro
Tempo di lettura: 6 minuti
di Alyoska Costantino @AlyxF1
13 Aprile 2018 - 22:30

Strano che vengano nominati nel titolo due personaggi così tanto diversi, vero? Immagino la sensazione. Vi starete chiedendo cosa Michael Schumacher e Marc Márquez abbiano in comune tanto da inserirli nella stessa bloggata.

Sulla carta, poco. A cominciare dal numero di ruote con cui corrono o hanno corso, passando poi per l’età, la nazionalità, l’opinione nei loro confronti fino ad arrivare alla loro vita privata. Se il passato dei due può avere una parvenza anche simile, il presente purtroppo racconta una realtà diversa. Crudele per certi versi, nel caso del tedesco.

Però ci sono delle cose che li accomunano. A cominciare dal numero corposo di titoli mondiali conquistati, sei per lo spagnolo e sette per il tedesco. Hanno entrambi un fratello minore, piloti come loro, Ralf e Álex, meno vincenti magari ma pur sempre volti convincenti. Ma la cosa principale che avvicina Schumi e Marc è la loro pasta. Quella di cui sono fatti, quella del campione. Quella che, persino da casa a occhio nudo, riesci a riconoscere.

E da questo elemento poi partono molti altri punti che accomunano i due “mostri”: le abilità indiscutibili al volante o al manubrio, l’aggressività, il carisma, e chiaramente quel pizzico di malizia che, se ben sfruttata, ti porta molto lontano.

L’immagine di un pilota vincente a mio modo di vedere non è mai pura al 100 per cento. La furbata, la tattica pazza, l’interpretazione al regolamento un po’ dall’occhio lungo… Tutte piccole cose che fanno parte di quella pasta di cui abbiamo già parlato, insieme a tante altre. La voglia di vincere, di dimostrare di essere il migliore in qualsiasi condizione e situazione, è la numero uno. Anche a costo di non mostrare riguardo verso i propri avversari.

È quello che è successo a Marc domenica scorsa. Ma anche ciò che ha fatto Michael pur di strappare il suo primo titolo ad Adelaide nel ’94. Ci sono quei momenti in cui l’istinto ti dice di fare queste azioni, nonostante la ragione suggerisca tutt’altro. La freddezza e la precisione lasciano spazio all’avventatezza, all’aggressività, nei casi più estremi anche alla rabbia agonistica, per poter concretizzare il sorpasso tanto ricercato, ottenere il mondiale tanto sospirato e quant’altro. E’ anche grazie a queste qualità che rende il campione capace di imprese memorabili, come recuperare due secondi al giro su gente come Rossi o Dovizioso, o recuperare un giro di ritardo in Brasile nel 2006 e arrivare a ridosso dei primi a suon di sorpassi.

Purtroppo in alcune occasioni tutto questo può ritorcersi contro, e queste qualità diventano una fatale arma a doppio taglio. Avere il pedigree del campione non deve di certo essere un lasciapassare per ogni “marachella”, e sia Michael sia Marc nella loro carriera l’hanno imparato a loro spese: un’Adelaide ’94 è controbilanciata da una Jerez ’97 nel caso del Kaiser, come per il marziano a fare da contrappeso a gare come Phillip Island 2017 ci sono eventi come quelli visti in Argentina. Se la si fa troppo fuori dal vaso, non ci si può che aspettare delle conseguenze più o meno gravi.

Solo con l’esperienza e col tempo queste qualità passano dallo stadio grezzo al raffinato, e nonostante lo straordinario talento Márquez ha ancora tutta una carriera davanti a sé. Ha già dimostrato di poter controllarsi in tantissime situazioni, come quando conquistò il mondiale 2016 facendo il ragioniere e senza mai strafare, cogliendo i successi prefissati e su cui casa Honda puntava sin da subito. Il momento della perfetta combinazione tra talento e ragione.

Però i “rimasugli” del Marc arrembante ci sono, e l’Argentina di certo non sarà l’ultima occasione in cui li vedremo. E non sarà tanto una penalizzazione o addirittura una squalifica da un GP a fargli cambiare mentalità e convincerlo che rischiare oltremodo non serve, e tantomeno le parole di un suo diretto avversario. Lo capirà da sé, perché al contrario di quanto si legge dai diversi schieramenti di tifosi/ultras MotoGP, Marc è tutto tranne che uno sciocco. Pure in questo Schumacher, sempre in Formula 1, ha fatto scuola, mostrando capacità innate mischiate a qualche comportamento… rivedibile, ecco, oltre che in alcuni casi qualche errore di troppo. Nessuno nasce lo Schumi dei sette mondiali.

Mi spaventa e mi eccita pensare che queste due persone siano così vicine e allo stesso tempo così lontane nella storia. Campioni così rari non capitano ogni giorno, ma cosa succede quando due della stessa pasta finiscono l’uno sul cammino dell’altro, nella stessa categoria e nello stesso periodo storico?
Beh, lo stiamo vedendo oggigiorno nella battaglia Rossi-Márquez, e lo vedevamo allora nel duello Schumacher-Senna, agli inizi del tedesco in Benetton.

E questo è un altro punto spaventosamente comune dei due: la difficoltà nell’entrare nel cuore dei tifosi. Perché sono o son stati scorbutici? Freddi? Antipatici? Niente di tutto questo. Perché il cuore dei tifosi, lo si voglia ammettere o meno non importa, è o era già occupato. Senna, persino dopo quasi venticinque anni, rimane un’icona intramontabile della F1; Rossi, all’età di trentanove anni e ben lontano dalle annate dominate in scioltezza, rimane il pilota più tifato e discusso, sia durante che fuori dalle gare. Anche loro condividono la pasta che accomuna lo spagnolo e il tedesco, e per questi ultimi far capire di poter scalzare i vecchi “re” della F1 non è stato semplice. Non basta semplicemente vincere nelle corse, bisogna far capire di essere una spanna sopra tutti, anche se non si è giunti in cima al podio. Giusto per ricollegarsi un pochettino anche col discorso di Crutchlow sull’essere sottovalutati: bello lo spettacolo messo in piedi da Cal e soci a Termas, ma loro (forse non tutti loro…) questa pasta del campione non ce l’hanno, o non l’hanno ancora mostrata. Una rondine non fa primavera, ecco.

Nessuno mi farà cambiare idea sul fatto che Márquez sia in grado di abbattere record su record, e che possa superare il record dei nove titoli di Valentino. Nettamente più complicato quello di Agostini… ma non ci metterei la mano sul fuoco sull’impossibilità di replicarlo. Stiamo vivendo un’epoca d’oro per la MotoGP e per il Motomondiale, direi che sia ora di godersela proprio per questo. Avvenimenti come quelli visti in Argentina non sono da ripetere chiaramente, ma del sano hype per il campionato non può che far bene.

Fonti immagine: Internet (per segnalare il copyright info@passionea300allora.com)

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