Rassegnarsi all’evidenza

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Tempo di lettura: 5 minuti
di Alessandro Secchi @alexsecchi83
20 Giugno 2016 - 18:30
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Qualcuno ha interpretato l’articolo di ieri sulla gara di Baku come una lunga pillola sarcastica. Pochi, in realtà, hanno colto il vero significato del pezzo. Dietro quelle righe è nascosta la rassegnazione di chi, dopo anni di estenuante resistenza, ha alzato bandiera bianca per la prima volta.

Qualche giorno fa mi auguravo che Baku facesse flop. Oddio, a giudicare dalle tribune semivuote (l’immagine di copertina è stata scattata mezz’ora prima del via), non è che ci sia andato troppo lontano: considerato che di tribune ce n’erano ben poche, direi che mi sono avvicinato discretamente. Ma quello che più conta, per me, è che ieri per la prima volta in tanto tempo ho provato tristezza e la voglia, per diversi minuti, di cambiare canale. Non è servito seguire la gara con l’audio ambientale, per non farmi convincere che le Ferrari vanno più delle Mercedes. Mi sono ritrovato sul divano, con il live timing a fianco e il portatile per prendere appunti, a seguire un’ora e mezza di nulla cosmico. A fine gara sul portatile non avevo scritto nulla. 51 giri a contemplare le meraviglie di una città alla quale la gara di F1 ha fatto da contorno. I negozi italiani, i palazzi storici, il concerto, la città vecchia.

Questo è quello che conta, oggi: la location. Su Baku, inteso come circuito, ho la mia idea e so che in diversi non sono d’accordo. Ci siamo abituati talmente al Tilke Style che ci facciamo andare bene un tracciato costituito per l’80% da curve a 90 gradi e con un rettilineo da 2 chilometri e duecento metri. Quello della Cina, di 1.4 km, viene criticato, questo invece è bello, suggestivo, spettacolare. Bene. Ne riparleremo quando avrà fatto la fine dei vari Yeongam e Nuova Delhi. Cattedrali costruite dal nulla e finite nel nulla, anch’esse definite meravigliose all’esordio per poi morire in fretta con i loro bei soldi spesi.

La contemporaneità con la 24 ore di Le Mans, alla quale hanno assistito dal vivo nell’arco della settimana più di 300.000 persone (avete capito bene), alla fine è stata propizia. Sappiamo già che piazzare Baku proprio in questo weekend è stato un colpo basso dettato dalla paura di vedere un Alonso, un Button, un Hulkenberg spostare milioni di tifosi verso la Sarthe. Dite che con la crisi e il taglio delle macchine per i team maggiori non ci sarebbero i posti? Certo, voglio vedere chi avrebbe detto di no ad un Fernando pronto a correre… Sappiamo anche che l’orario delle qualifiche, posticipato là dove già si è ore avanti, è stato un altro scherzetto per boicottare mediaticamente l’inizio in Francia che, ironia della sorte, è stato a sua volta posticipato da una Safety Car lunga un’ora per il diluvio iniziale. Roba che mi ha fatto temere la clonazione di Charlie Whiting, visto che le ostilità sono partite effettivamente con la pista quasi asciutta.

Vedete, in ogni caso avere i due eventi nell’arco dello stesso weekend è stato illuminante, e da qui forse deriva la mia tristezza. Non c’è stato tempo per pensare, per organizzarsi, per commentare a mente fredda. Il passaggio da una all’altra, lo zapping dalle decina di migliaia di persone lungo il rettilineo di partenza a Le Mans al frastornante silenzio di Baku, nel quale si poteva udire distintamente la voce dello speaker dell’autodromo (chiamiamolo così…) tanta non era la gente in tribuna, è stato l’immagine della domenica.

Il dramma sportivo di Toyota, vincitrice della 24 ore di Le Mans fino a tre minuti dal termine e poi esclusa dalla classifica come se non avesse neanche partecipato, fa da contraltare a quello di un Hamilton in difficoltà con i manettini del volante, che chiama i box chiedendo se deve toccare tutti i tasti finché non trova la combinazione giusta per far funzionare la Mercedes. Le lacrime del box numero 56 di Le Mans, dove si è consumata la leggenda di Frédéric Sausset, uomo ed eroe quadriamputato che ha partecipato alla corsa venendo calato in un’auto attrezzata per accogliere il suo handicap e la sua voglia di dimostrare al mondo di essere uguale a tutti gli altri, fa a cazzotti con il glamour, le paillettes, i fuochi d’artificio, la voglia di falso che ci viene raccontata per cercare di convincerci che la F1 è ancora il top del motorsport. Ieri tutto questo si è mischiato nello stesso giorno, creando un contrasto inimmaginabile.

Se Bernie credeva di fare uno sgarbo a Le Mans, cercando di anteporre mediaticamente la sua ormai spocchiosa e livida F1 alla gara più bella del mondo, almeno con me non c’è riuscito e, anzi, ha sortito l’esatto effetto contrario. Solo qualche anno fa, quando questo sito è nato, non credevo che sarebbe arrivata una giornata come quella di ieri, nella quale ho capito che la F1 non merita più l’attenzione che le ho dedicato fino a poche settimane fa. La fine delle Pillole è stato un antipasto, ora il limite è stato raggiunto. E poco importa se gli addetti ai lavori girano tronfi pavoneggiandosi di far parte del paddock più falso del motorsport, sbertucciando come ho letto in giro il WEC al grido di chi se ne frega di Le Mans, guardatela e amen senza rompere i coglioni. Oppure sostenendo che le Safety Car creano spettacolo dando a te, che per spettacolo intendi Donington 1993 e Barcellona 1996, dell’ignorante che non capisce. L’unica alternativa è ormai ignorare e non combattere più contro questo modus operandi, e rassegnarsi lasciando la ragione a chi la pretende.

Ovvio è che questo sito andrà avanti come sempre, perché il suo obiettivo è raccontare il motorsport. Se penso però che Passione a 300 all’ora è nato con la sola F1 mi dico che abbiamo fatto bene ad allargare gli orizzonti, perché fosse solo per quella si potrebbe chiudere domani e, in questo momento, credo non me ne pentirei.

Buona settimana.

Immagine: Daniel Johnson

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Un Commento su “Rassegnarsi all’evidenza”
giovanesaggio dice:

E’ rarissimo che io mi trovi pienamente d’accordo con un tuo articolo. Ma in questo caso firmo e sottoscrivo.

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