Quell’equilibrio tra la gloria e la malinconia. Ciao, Luis

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di Alessandro Secchi @alexsecchi83
3 Giugno 2016 - 22:15
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Se non fossero imprevedibili, non si chiamerebbero tragedie. Quella di Luis Salom rispecchia in pieno, purtroppo, il termine.

Per la sicurezza si fa tanto, tantissimo: ma il rischio, soprattutto in moto, non sarà mai debellato per la caratteristica principe di questo sport: il pilota a cavallo del suo mezzo. Credo sia sostanzialmente inutile cercare delle cause o delle responsabilità per quello che è successo oggi. Cerco con forza di non credere al destino ma è incredibile dover accettare la scomparsa di un ragazzo di 24 anni per una casistica come quella che ha portato via Luis. La sua caduta è quella che, nella maggior parte dei casi, provoca meno danni al pilota: l’anteriore cede, la moto va via, e chi cade scivola fino a fermarsi. Ma gli eventi oggi hanno voluto che in una via di fuga di diverse decine di metri il pilota colpisse proprio l’unica cosa da evitare: il suo mezzo.

24 anni erano anche quelli del Sic. E anche la sua, di tragedia, ha lasciato sconvolti per la casistica, totalmente anomala. Sono quelle tremende eccezioni alla regola che ci ricordano quanto questi ragazzi rischino ad ogni curva della loro carriera. La loro abilità nel viaggiare in bilico sul filo che li separa dalla caduta, o dalla morte, rende tutto molto più semplice, per noi che guardiamo da casa. Ci fanno sembrare normale piegare a 200 all’ora, ci fanno pensare che viaggiare a 350 orari al Mugello sia roba di routine. Ma non coglieremo mai la preparazione, la concentrazione e l’amore per questo mestiere che questi ragazzi provano nello sfidare la velocità faccia al vento, e non solo.

Ora si cercherà di fare qualcosa, come succede spesso in questi casi. Si utilizzerà la chicane che la F1 (meno pericolosa delle moto) percorre da anni. Ci saranno polemiche sulle vie di fuga in asfalto (ma se ne parla solo adesso… ), si cercherà di capire come evitare altri incidenti del genere, ma la verità è che non si può evitare la morte, su due ruote come su quattro, perché questa troverà sempre una strada mai percorsa prima. E’ giusto, sacrosanto, lavorare sulla sicurezza: sono e sarò sempre a favore di questo tipo di evoluzioni, nelle moto come in F1. Ma, purtroppo, queste giornate non potremo mai cancellarle.

Che lo vogliamo o no, però, sono anche e soprattutto queste le giornate che rendono questi ragazzi degli eroi agli occhi del mondo. Luis era uno di loro: magari non era conosciutissimo, non aveva chissà quali prospettive (anche se aveva vinto 9 gare e sfiorato un mondiale in Moto3), ma come spesso dico tutti i piloti meritano il giusto rispetto per quello che fanno in pista. Proprio il Sic diceva che si vive di più andando 5 minuti al massimo su una moto da corsa di quanto altri facciano in una vita intera. Oggi abbiamo avuto ancora una volta il triste insegnamento che, prima di prendere in giro questo o quel pilota, dovremmo avere coscienza e rispetto di quello che questi ragazzi fanno per passione. Roba, per noi umani, praticamente impossibile. E per questo non criticabile, a prescindere.

E’ sempre triste dover salutare per sempre chi ci lascia facendo della sua passione più grande un mestiere. Non è giusto, non dovrebbe andare così. Purtroppo non possiamo comandare i fili della vita: ma, per rispetto a Luis, al Sic e a tutti gli altri, possiamo imparare qualcosa: anche da queste giornate, che vorremmo non vivere mai.

Ad esempio, quanto l’amore per una passione possa portare a rischiare tanto, troppo, tutto. Pericolosamente meraviglioso. A volte, come oggi, anche tragico.

Ciao, Luis.

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