“Prostituzione intellettuale”

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di Alessandro Secchi @alexsecchi83
25 Giugno 2018 - 00:05
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“C’è stata grandissima manipolazione intellettuale. Un grandissimo lavoro organizzato per manipolare l’opinione pubblica. Prostituzione intellettuale. Una manipolazione da parte di un mondo che non è il mio”.

Quando Josè Mourinho pronunciò questa frase nell’ormai lontano 2009 lanciò una nuova moda. Perché quel termine, “prostituzione intellettuale”, divenne perfetto, calzante, immediato per identificare quel movimento, in un qualsiasi ambito della nostra società, atto a ribaltare, modificare, camuffare determinati episodi in favore di altri, oppure capace di portare l’opinione pubblica sempre dalla parte “giusta”, quella conveniente, quella che porta favori.

Riprendo con piacere in mano questo termine perché, dopo i primi mesi di questa stagione, è quello a cui sono arrivato per spiegarmi quale sia il modo di fare informazione in questo paese.

Sono partito da lontano, esprimendo semplicemente un’opinione riguardante la prestazione Ferrari dopo il Gran Premio che ha inaugurato la stagione, quello d’Australia. Opinione, per altro, della quale resto convinto ancora oggi. A meno di sostenere posizioni gravissime, lesive dell’onorabilità di qualcuno, un’opinione resta sempre tale. Per aver sostenuto che la Rossa di Melbourne era più lenta di quella del 2017, e che la Red Bull era da tenere in considerazione, qualcuno sui social mi ha augurato anche l’estrema unzione. Dopo otto gare abbiamo tre vittorie Ferrari, due Red Bull, tre Mercedes, Hamilton in testa al mondiale quando l’anno scorso il recupero era avvenuto ad estate quasi finita. Avevo argomentato, spiegato perché la pensavo in quel modo, ma all’inizio di ogni anno la Ferrari è in lotta per il titolo e non si può andare contro l’onda.

Poi si è aperto il lungo capitolo Verstappen, che oggi ha visto indirettamente chiudersi un nuovo paragrafo, quello che mi porta a questo pezzo. Quello che mi chiedevo, sempre in questi mesi, era “Ma quando sarà Vettel a commettere un errore, cosa si dirà?”. L’accanimento nei confronti di Verstappen, soprattutto nei casi in cui è stato coinvolto contro una Rossa (come in Cina, ad esempio), è stato talmente imponente, perpetrato, incanalato, che al primo episodio simile di responsabilità Rossa sarebbe stato curioso verificare la reazione pubblica. La reazione pubblica è quella alla quale abbiamo assistito oggi, dopo che Vettel ha sbagliato la frenata della prima chicane centrando la Mercedes di Bottas. 

È infatti oggi che la prostituzione intellettuale si è mostrata fragorosamente, al top della sua grandezza. Viviamo in una società in cui bisogna essere perfetti e non sono ammessi errori, e qui cito il caro amico Manuel Codignoni che ha corretto questa mia sentenza in “La società ammette solo gli errori degli altri. È un po’ diverso.” Mai correzione fu più adatta alla situazione. Perché l’errore di Vettel è stato coperto da tanti tra professionisti, non professionisti, tifosi etc etc, sostenendo 1) che Bottas gli ha girato letteralmente addosso e che 2) Hamilton ha appositamente rallentato il tedesco prima della staccata per incastrarlo insieme allo stesso finlandese.

Se non ci credete questa è la pagella di Hamilton pubblicata sul sito di chi le gare le trasmette (Fonte alle ore 23.50 del 24/06/2018): “HAMILTON 10: perfetto nel gestire la superiorità Mercedes su una pista molto Mercedes. Pole e vittoria. Gli è mancato solo il giro veloce, ma, forse involontariamente, la mossa migliore per il campionato, la fa al via, rallentando in curva 1 Vettel, mettendolo nell’imbuto con Bottas.”

Dalla ripresa aerea il lungo in frenata del tedesco, con bloccaggio dell’anteriore sinistra, è evidentissimo. È ciò che più di tutto conta nella situazione sono le parole dello stesso Vettel subito dopo la gara, ovvero prima che la citata pagella venisse pubblicata. Vettel in sostanza ammette più di una volta le responsabilità (“È stata colpa mia”), ritenendo anche corretta per questo motivo la sanzione di cinque secondi, scontata durante il suo secondo pit stop. Una volta che il pilota coinvolto ammette le proprie responsabilità ogni discorso atto a prenderne le difese dovrebbe automaticamente chiudersi, anche perché per un pilota credo non sia mai semplice dichiararsi colpevole. Questo però non conta, perché ormai si era deciso che la responsabilità era di un quattro volte campione del mondo che frena davanti a tutti in partenza e del suo compagno che stringe per eliminare l’avversario per il titolo. 

Gli errori capitano. Li commettono tutti, chi più chi meno. Cercando da sempre di portare il massimo rispetto per tutti i piloti, perché protagonisti di un qualcosa che io nemmeno nei sogni potrei replicare, sono sempre predisposto a perdonare un singolo errore, ovvero a ritenerlo non determinante a modificare la mia opinione sul pilota per quel preciso episodio. Così come ho sottolineato più volte l’eccessiva foga nel valutare le azioni di Verstappen, figlia a parer mio più che altro di contatti con le Ferrari, foga che sicuramente non vedo quando sono altri piloti a sbagliare, oggi non me la sento di dare la croce addosso a Vettel nonostante l’errore sia stato determinante per l’esito della corsa. Mi rifaccio sempre al “What if?”: a Baku Sebastian è stato epitetato male per la frenata sbagliata alla ripartenza della Safety Car. L’opinione fu divisa tra i “ci doveva provare” ed i “non ci doveva provare”, segno che alla fine non va mai bene nulla e che l’opzione percorribile, per chi non è in macchina, è sempre quella con l’esito migliore. Detto questo, credo che forse si dovrebbe accettare il fatto che i piloti sbagliano non perché sono degli stolti, ma semplicemente perché corrono in macchina ed errare fa parte del mestiere. Poi possiamo discutere sulla tendenza a sbagliare più o meno del singolo pilota, ma questo dipende da tanti motivi: auto, circostanze, pressione psicologica, esperienza.

Curioso è anche il fatto che la vera difesa nei confronti di Vettel (“Gli errori capitano”) sia arrivata proprio da Verstappen, che in conferenza stampa post gara (a proposito, due volte di fila sul podio non le sottolinea nessuno perché non fa scalpore) si è anche tolto un sassolino dalla scarpa nei confronti dei giornalisti. A domanda specifica sui cinque secondi di penalità inflitti a Vettel, tra l’altro fuori luogo, ha risposto: “La prossima volta che vedete Seb gli dovreste chiedere di cambiare il suo stile perché, onestamente, [quello che fa] è inaccettabile”. Può sembrare una critica al tedesco ma non lo è affatto, perché prosegue: “Questo è quello che mi è stato detto all’inizio della stagione, quindi credo si dovrebbe fare lo stesso”. Si tratta in realtà di una critica ai giornalisti che dall’inizio dell’anno lo prendono di mira, una richiesta di parità di trattamento: “Poi sicuramente Seb non dovrebbe fare niente di particolare [inteso come cambiare approccio] e continuare a guidare imparando da quanto successo oggi. Questo è il mio consiglio rivolto a chiunque si trovi in questa stanza.” Difendere un pilota non significa mistificare la realtà coprendone le eventuali colpe, ma essere onesti nei suoi confronti. Si è onesti con Vettel? Lo si è con Verstappen? Credo di no. Perché dipende sempre dal colore della tuta. Il Vettel della Red Bull era osteggiato, mal visto, un po’ come Alonso e Schumi. Lo stesso accade per l’olandese ora. E se un giorno, in futuro, si verificasse ciò che ora è idealmente impossibile?!

La prostituzione intellettuale è anche quella della roulette sul secondo sedile della Ferrari che si protrare ormai da anni. Giusto questa mattina scrivevo “Ora, quindi, è il monegasco [Leclerc] il nuovo indicato per la monoposto numero 2 di casa Cavallino. Magari, oggi o in una prossima qualifica, Kimi tira fuori un turno buono ed allora “ma no, magari possiamo tenerlo per un altro anno”.” Per puro caso, dopo una partenza incasinata per via della toccata tra Seb e Bottas, Kimi rimonta, va a podio, tutti contenti, bravo, bis. Fino alle 16.05 era in voga il meraviglioso sogno di Leclerc in Rosso dal 2019 (evento che potrebbe verificarsi, sia chiaro). Fino alle ore 19.55 di due settimane fa, ovvero poco prima della partenza del Gran Premio del Canada, il sedile di Raikkonen era di Ricciardo, per altro già esaltato dopo la Cina.

È onestà questa? È raccontare nel modo giusto la Formula 1? È il modo giusto di raccontare in generale? Io credo fermamente di no. Credo che si debba raccontare secondo coscienza, secondo quello che la propria esperienza suggerisce, e non per l’autocompiacimento di chi deve leggere, non per fare un piacere a qualcuno. Se io dovessi scrivere sempre che Vettel è un fenomeno o che non sbaglia mai, anche quando non lo penso, smetterei di scrivere adesso. La libertà deve essere poter ammettere errori, sottolineare azioni positive o negative senza per questo cambiare parere generale su un pilota per un singolo episodio. La moda del ragionare, santificare o denigrare per una singola gara è fallimentare. Crea disturbi della personalità, sdoppiamenti, gente che oggi dice che Vettel è un pirla e domani dice che è un eroe. Così non si va da nessuna parte. 

Prostituzione intellettuale è anche dire dopo ogni santissimo venerdì che la Ferrari è messa bene sul passo gara. Lo sento dire da anni ed è dal 2008 che il mondiale va altrove. Così come è scandaloso inculcare nel pubblico il dubbio che le Pirelli a battistrada ridotto siano un favore pro Mercedes, il fattore determinante per le vittorie di Barcellona e Le Castellet. Tutto questo quando lo stesso Vettel, dopo i test di maggio in Catalogna, ha stoppato definitivamente le critiche. Eppure, ancora oggi, si parlava di queste gomme, perché quella dichiarazione è passata in cavalleria in quanto non in linea con quando ci si deve sentir dire o si deve scrivere.

Quando Josè Mourinho pronunciò quella frase mi sembrava esagerata, forzata, volutamente provocatoria. Eppure, dopo parecchi anni, a tutto quello che ho citato e tutto quello che ho visto da quando scrivo non riesco a trovare termine più adatto. È anche per questo che ultimamente preferisco vivere le gare senza commento, solo con audio e live timing. Per ritrovarmi in intimità con un mondo che fatico ad apprezzare ancora e per non essere distratto, almeno durante la gara, da chi vuole farmi pensare con un’altra testa e non la mia.

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Un Commento su ““Prostituzione intellettuale””
Lucifero Regazzoni dice:

Penso che, volendo ragionare in termini di prostituzione intellettuale, serva fare una separazione tra chi è organo di informazione e l’onda dell’opinione pubblica, che comprende anche la tifoseria (che a mio avviso va assolta). Questo perché, com’è ovvio, l’informante ha responsabilità e doveri a cui l’informato non è tenuto. Poi bisogna considerare anche la deformazione professionale del telecronismo, valutando se è ancora una cronaca giornalistica.
Per quanto riguarda il tifoso, credo sia lecito criticarne le posizioni, soprattutto quando esagera nei modi. Ci sta… Tuttavia bisogna capire che, nonostante la sua lettura sia spesso faziosamente emotiva, ha tutti i diritti di esprimere le proprie considerazioni, anche se non può essere considerato mai una voce attendibile (lasciamolo dire quello che vuole, insomma, magari non ascoltando). La tifoseria avrà sempre una visione distorta per motivi sentimentali. È il bello e il brutto dello sport. E questo vale per qualsiasi disciplina. Certo, i social amplificano ciò che prima era relegato nei bar sport, ma in fondo si tratta dello stesso fenomeno: il faticar a gestire la propria passione rimanendo lucidi.
Diverso è se la prostituzione intellettuale viene dai giornali e il mondo dei media. Qui, sì, si sceglie di cavalcare il consenso della maggior parte del pubblico, così da guadagnare audience. Un giornale difende sempre quello che il lettore ama (starà sempre con Seb e mai con Verstappen), oppure critica, se coglie che l’utenza è delusa (vedi errori box, Kimi bollito, o nazionale di calcio). È biecamente un fatto di business, perché vende quello che piace al cliente, non quello che lo disgusta.
In Italia sono tutti ferraristi, altre campane, se ci sono, sono molto più che minoritarie. Quindi, non sarà giusto, ma è normale che l’informazione sia “Maranello oriented”, e spesso anche in modalità agiografia.
Tuttavia, saremmo ingenui a pensare che queste siano pratiche esclusive per il mondo sportivo. Vale anche per tutto il resto, solo che ci sono più differenziazioni di marketing. Pensiamo alle testate schierate politicamente: Il Manifesto e l’ormai defunta L’Unità, hanno sempre avuto approcci diversi da Il Giornale, Libero, o Il Foglio. Stesse notizie, magari, ma sfumature e posizioni diverse (quando non totalmente opposte). E la politica è solo un esempio.
Tutto questo per dire che, Secchi, lei ha ragione, è un po’ una prostituzione intellettuale, ma non è la scoperta dell’acqua calda: è la realtà che viviamo tutti i giorni. Da sempre.
Farei un discorso a parte per i telecronisti. Non li demonizzerei, anche se sono, o ci sembrano, di parte: il loro è un lavoro difficile e spesso, perché funzioni bene, è necessario assecondare il pubblico o fondere l’approccio al mestiere con la propria passione.
Un telecronista che raccontasse con fredda neutralità un gran premio, infatti, sarebbe senza dubbio mediocre e noioso. Questo perché, tra i tanti compiti del cronista televisivo, c’è anche quello di tener vivo l’interesse e alimentare costantemente la fiammella dell’emozione nello spettatore (e un modo è sintonizzarsi sulla stessa frequenza emotiva). Ad un sorpasso, per esempio, è bene che si accenda come un tifoso, che faccia trasparire entusiasmo. Serve ritmo, quasi musicalità. Serve essere incalzanti improvvisando, e non hai uno spartito o una sceneggiatura da seguire… Un silenzio sarebbe una tragedia, e questo, forse, porta ad abbassare il controllo di qualità su ciò che si dice.
Poi, nonostante sia io il primo a inorridire all’idea di una F1 pensata come spettacolo e non più sport, il telecronista, in questo senso, ha più di una licenza, giacché, ai fini della resa professionale, deve trattare lo sport come se fosse uno spettacolo. Trasmettere passione. Anche per il bene della disciplina che racconta, perché è più difficile avvicinare nuovi appassionati, senza coltivarne l’empatia.
Il canottaggio di Galeazzi? Guido Meda? Tutti in piedi sul divano! Gas a martello! Oppure, che ne so, Caressa e Bergomi… Sono esempi di come lo sport può essere raccontato bene. Ed è questo il punto: raccontare. E la cosa, secondo me, non ha nessuna affinità con il giornalismo. Non più almeno.
La cronaca è un accompagnamento, un metronomo, ti aiuta a stare attento, sottolineando particolari che potrebbero sfuggirti. Ti fa sentire partecipe. Pensiamo al relato calcistico dei paesi sudamericani! Al gol ci sono sequele di urla, si perde ogni compostezza, e chi ti racconta la partita pare un tuo vicino allo stadio. Per me è una cosa entusiasmante, ma capisco che, trattandosi della mia opinione, altri possano non essere d’accordo…
Certo, il calcio regala diversi audio in cronaca per ogni match, la F1 purtroppo no, ma a me Vanzini e Co. piacciono, con i pregi e i difetti che hanno. Credo che Sky alla fine faccia un buon lavoro, sicuramente migliore di quello Rai, con Capelli e Mazzone, che personalmente facevo fatica a seguire. Chi la pensa diversamente fa benissimo ad ascoltare l’audio ambientale. Lo faccio spesso anche io, quando mettono la camera car di Raikkonen…
Ovviamente, se nel tuo relato inserisci l’insinuazione, come vendere la storia che le gomme con il battistrada più basso siano state un favore chiesto dalla Mercedes, non è bene… Come dare per certa, senza prove, la sostituzione di Kimi con Leclerc (cosa che, da supporter del finnico, mi fa incazzare parecchio). Non credo, però, ci sia un disegno lucido, una cospirazione con fine manipolatorio, ma piuttosto un modo umano in cui chi lavora raccontando vive anche da tifoso. Oppure l’abitudine del settore mediatico di parlare di ciò che interessa il pubblico, con i toni che questo preferisce. Del resto è la richiesta che in genere crea l’offerta, quindi gli articoli contro Verstappen saranno sempre giornalisticamente più convenienti rispetto al parlare, che ne so, della guerra in qualche paese sperduto in Africa.
Non so se la cosa generi questioni di etica professionale, ma per le persone dotate di buonsenso e con un minimo di capacità critica, non dovrebbe essere complicato decifrare ogni opportunismo/distorsione. Perché, come dicevo, non è solo un problema dello sport quello del leggere la realtà con lucidità, senza farsi abbindolare da ciò che passa mediaticamente, ma riguarda praticamente ogni ambito della nostra vita.

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