Potrà Mick salvarsi dal suo cognome?

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Tempo di lettura: 6 minuti
di Alessandro Secchi @alexsecchi83
9 Aprile 2015 - 01:10
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Alla fine si tratta solo di un cognome. Che, se lo traduciamo in italiano, non è neanche il massimo. “Calzolaio”. Eppure quel cognome ha un peso specifico di importanza piuttosto rilevante nel mondo del motorsport.

Oggi Mick Schumacher, secondogenito da poco 16enne di Michael, ha partecipato alla prima sessione di test collettivi di Formula 4 ad Oschersleben, in vista dell’inizio del campionato tedesco il 25/26 aprile. Se non ci fosse stato lui, questo test non avrebbe avuto rilevanza mondiale in questa giornata di motorsport. Se non ci fosse stato lui, non si sarebbero mobilitati più di 100 giornalisti per richiedere un accredito. Se non ci fosse stata e non ci fosse Sabine Kehm a fare da parafulmine, probabilmente nessuno saprebbe come si chiama e gli chiederebbe solo ed esclusivamente “come sta papà”. Questi tre dettagli sono tristemente importanti.

Sono molto scettico sulle prospettive di carriera di Mick, sebbene sia una suggestione non da poco sapere che il figlio del pilota più vincente della Formula 1 sta per iniziare la sua carriera in monoposto. Il mio scetticismo non nasce dalle potenzialità che di fatto non conosciamo ancora. Da quello che ho captato tramite alcune conoscenze, il ragazzo ha dimostrato di saper andare e anche forte. D’altronde è vicecampione mondiale Kart junior, qualcosa vorrà pur dire. Ma i miei dubbi non sono relativi appunto alle sue capacità, che in monoposto sono totalmente da dimostrare. E’ quanto successo oggi che mi preoccupa e molto.

Il risalto dato ad un test di cui normalmente non sapremmo nulla è solo l’anticipo di quello che Mick dovrà sopportare da qui in avanti. Non c’è più il nome “Mick Junior” o il cognome di mamma Corinna a coprirlo, seppur debolmente. C’è un adesivo “M.Schumacher” sulla sua monoposto. Anche l’iniziale del nome è una condanna. Il ragazzo, volente o nolente, è costretto a dimostrare subito di saperci fare, se non vuole essere stritolato ancor prima di cominciare. Qui non è solo la legge del motorsport a parlare, ma si aggiungono anche quelle dell’eredità e dei media. Quest’ultima, evidentemente, è la peggiore.

Per un pilota normale, per uno dei suoi colleghi in F4 o nelle eventuali categorie superiori, l’unico metro di giudizio sarà il cronometro. Dovrebbe essere l’unico anche per lui. Ma non sarà mai così. Non lo è già adesso, non lo è stato già oggi. L’attenzione era tutta per lui, per i suoi sguardi, per gli occhi all’interno del casco, alla ricerca di una somiglianza che per fortuna è solo richiamata da alcuni tratti somatici. Perché se ci fosse anche quella sarebbe una manna dal cielo per i romantici della penna e della tastiera, quelli che magari solo tre anni fa davano del bollito al padre e ora non aspettano altro che una storia toccante da sbattere in prima pagina. E per fortuna anche la scelta cromatica del casco è stata sempre diversa da quella di papà. Anche se comunque appariscente con quel giallo accesissimo. I media sono croce e delizia di se stessi. Ma soprattutto hanno fame di scoop, a qualsiasi costo.

Il metro di giudizio per Mick sarà per sempre, e prima di tutto, il confronto col papà. Prima del cronometro vero. Io credo che questo ostacolo sia stato prospettato al ragazzo sin dal principio, vista la carriera di Michael. Il fatto che ci voglia provare comunque, dimostra quanto meno un po’ di coraggio. Ma non so se sarà sufficiente. L’abbiamo già visto con Ralf, il fratello minore. La sua carriera è stata sempre e comunque paragonata a quella di Michael soprattutto nel periodo in cui hanno corso in F1 insieme. E questo credo che abbia influito parecchio su di lui, soprattutto a livello mentale. Perché, in alcune occasioni, anche Ralf ha dimostrato di saperci fare. Ma senza la costanza del fratello maggiore. Per Mick sarà un confronto a distanza di anni che, se la sua carriera proseguirà nelle categorie superiori, sarà sempre rapportato a quanto fatto da papà.

Il problema è proprio questo. Papà Michael ha vinto talmente tanto che credo sia impossibile fare altrettanto per suo figlio, così come per tanti altri. E pertanto la sua carriera sarà sempre vista, a meno di miracoli sportivi, con il naso storto da parte di qualcuno, sempre pronto a dire “Ecco, suo padre era di un’altra pasta” piuttosto che “Ecco, è arrivato qui solo per il cognome che porta”. Come se non bastasse, come se l’eredità sportiva non fosse di una pesantezza inimmaginabile da sostenere per un figlio che decide di cimentarsi nello stesso mestiere, il fardello delle condizioni di Michael aggiunge altro peso, e che peso. Sabine Kehm è stata chiara con i media. Nelle interviste di Mick nessuna domanda su papà. Per non far sì che lui venga utilizzato unicamente come un tramite, piuttosto che essere considerato unicamente un pilota. Ma questo, ne abbiamo avuto prova oggi, sarà impossibile. Lui è già il “figlio di Michael”. Un’etichetta stampata in fronte con cui dovrà imparare a convivere, se vorrà fare il pilota.

Di figli illustri ne abbiamo avuti nel mondo del motorsport. E relativamente alla F1, se pensiamo a quelli che hanno calcato le piste negli ultimi vent’anni, tutto sommato le cose non sono andate poi malissimo. Solo Nelson Piquet Junior ha fallito clamorosamente e si è riciclato in diverse serie fino all’approdo in Formula E (dove ha vinto pochi giorni fa, tra l’altro, a Long Beach). Damon Hill e Jacques Villeneuve hanno portato a casa un titolo a testa, nel biennio 1996/1997. Certo, con una monoposto ottima (la Williams-Renault), ma sapete come la penso. Devi comunque guidarla, la macchina. Jacques l’ha vinto contro Michael e ha vinto nella categorie massime più di papà Gilles. Non sappiamo se il mitico canadese avrebbe mai portato a casa il titolo, se non fosse scomparso tragicamente. Ma nei cuori dei tifosi è rimasto ben più del figlio, nonostante questo abbia conquistato molto di più in termini di vittorie. Segno che le vittorie non sono tutto.

Forse è per autodifesa, forse inconsciamente per non farmi coinvolgere, ma viste le premesse temo che Mick possa patire l’attenzione che si sta scatenando nei suoi confronti. Temo il fatto che i media, per ‘vendicarsi’ dell’assenza di notizie sul padre, riversino le loro attenzioni su di lui, e che questo lo possa destabilizzare. Se per un pilota gli anni della formazione sono i più importanti e forse i più duri, per lui lo saranno ancora di più. Sono molto dubbioso, ma spero di essere smentito. Se Mick riuscirà ad uscire dal tunnel a senso unico in cui è ormai entrato, con tutte le difficoltà del caso, vorrà dire che ha non solo il piede ma anche la testa per affrontare il peso che porta sulle spalle.

Alla faccia di chi dice che basta un cognome famoso per far carriera.

Immagine: HOCK-ZWEI (http://www.hoch-zwei.net/)

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Un Commento su “Potrà Mick salvarsi dal suo cognome?”
Griforosso dice:

Il Cognome famoso credo funzioni solo per la Politica. Un paio di nomi per tutti: Segni e il figlio del Segretario dell’allora Partito Repubblicano. Forse anche un po’ anche nello spettacolo. Nello Sport credo non basti perché le tue qualità le devi dimostrare. Hill e Villeneuve io non riesco a paragonarli ai padri che avevano ben altro “fascino” sportivamente parlando. Mi spiacerebbe molto se eventuali successi sporadici e non di Mick venissero “travisati” in qualsivoglia forma e modo dai Media meno “Intelligenti e rispettosi”. Dovranno essere valutati con il distacco con cui si commenterebbero pari successi di qualsivoglia altro pilota emergente. Buona Fortuna Mick, serenamente. Un saluto a tutti gli Appassionati, un GRANDE AUGURIO a Schumi per una ristabilimento della sua salute almeno sufficiente e, sempre, VIVA FERRARI

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