“Perdere la faccia, quando si fa sera…”

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Tempo di lettura: 6 minuti
di Alessandro Secchi @alexsecchi83
10 Novembre 2018 - 23:51
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Lungi da me voler sollevare ipotesi di complotti: questo prima di tutto perché non voglio alimentare, tra l’altro a bocce ferme, flame da bassifondi dei social che di problemi, già, ne hanno di loro.

Dopo lauta cena, ad orario quasi in linea col fuso brasiliano, ho visto e rivisto decine di volte gli eventi delle qualifiche di Interlagos e, da qualsiasi lato la si voglia girare, credo si sia arrivati ad un punto in cui una ripensata alla gestione del collegio commissari sia necessaria, dovuta, essenziale al fine di garantire la credibilità del sistema F1.

Credo sia nell’interesse di uno sport che vuole essere giusto e trasparente nei confronti di atleti e spettatori avere una linea di giudizio degli episodi che dia, per lo meno, l’impressione di essere giusta, coerente, rispettosa. Perché è ormai da anni che si va a tentoni, allo sbando più totale, alla penalizzazione o meno in base al nome del pilota ed ai commissari che si alternano evento dopo evento, con evidentissimi giudizi che variano gara dopo gara anche a fronte di situazioni simili se non, addirittura, identiche. D’altronde, e lo ripeto per la milionesima volta, il primo a doversi far da parte dopo quanto successo a Suzuka risponde al nome di Charlie Whiting e da lì in poi, se possibile, le cose sono solo peggiorate.

La scrupolosa minuziosità con cui la procedura della pesa di Vettel è stata vivisezionata, col rischio di una partenza dalla pitlane, stride clamorosamente con i due eventi per i quali Hamilton non è stato nemmeno posto sotto investigazione, come se non fosse successo assolutamente nulla. Per la vicenda del tedesco c’è voluta praticamente un’ora e mezza per conoscere l’esito delle approfondite verifiche tra telemetrie, colloqui e via dicendo. Prima si dice che si è rifiutato di spegnere il motore, poi si scopre che l’ha spento per 13 secondi, poi si dice che la pesa non è stata corretta, poi che lo è stata, insomma anche qui confusione e basta con una scena simbolo dell’approsimazione di questi episodi: il commissario vestito da perfetto avvocato con il foglio A4 in mano che recita “Brakes on” quando per sicurezza, forse, almeno un minimo di abbigliamento tecnico ci vorrebbe.

Ma tant’è: l’ego del commissario che ti ferma a caso nel bel mezzo di un momento topico della qualifica non deve essere scalfito e non devi neanche lamentarti (Apro parentesi: sono cresciuto con piloti che si mandavano a cagare senza passare dal via e se le promettevano davanti alle telecamere. Del politically correct, sinceramente, ne ho piene le palle). Chi se ne frega, invece, se qualcuno rischia un viaggio in ospedale: perché del resto di queste qualifiche, invece, non è stato annotato nulla. E se per il caso Hamilton-Raikkonen si potrebbe anche chiudere un occhio, nonostante l’inglese si sia fatto trovare in mezzo alla pista come se fosse da solo ma con ampio margine di manovra per il finlandese

quello in cui è stato protagonista Sirotkin non può non essere quanto meno annotato. Perché per quanto il russo possa scagionare l’inglese e per quanto non ci siano dubbi sul fatto che il campione in carica non volesse ostacolare nessuno, un rischio simile non può e non deve essere ignorato bellamente. Qui si parla di decimi di riflessi: roba che basta un attimo, uno scarto più o meno accentuato ed anziché schivarlo sulla sinistra, regalando a tutti un sospiro di sollievo, gli sale in testa e non si sa quando torna in terra. E quando nell’arco di pochi minuti assisti ad un potenziale disastro che viene ignorato e ad una puntualissima pesa nel bel mezzo della Q2 con pioggia in arrivo che diventa un affare di stato, evidentemente c’è più di qualcosa che non va in chi deve osservare, valutare, decidere.

Questo, ovviamente, limitando le considerazioni ad oggi, qualifiche del GP del Brasile. Perché se si torna indietro, che ne so, all’Austria, si scopre che nella lista delle cazzate annuali di Vettel c’è la penalizzazione in qualifica per aver ostacolato Carlos Sainz, il quale poi non aveva avuto ripercussioni sul risultato finale. Il tutto con lo spagnolo che nelle interviste post sessione aveva parlato più o meno negli stessi termini di Sirotkin scagionando il tedesco, una situazione dalla pericolosità decisamente inferiore rispetto a quella di Interlagos ma, comunque, tre posizioni da scontare in griglia per le sbraitate dei ferraristi. Perché allora qui non si è nemmeno investigato, annotato, insomma non si è fatto assolutamente nulla di fronte ad un rischio di incidente così grande? Perché come dicono in molti Hamilton la passa sempre liscia? Oppure perché, come credo, ogni collegio decide a modo suo intepretando regole che dovrebbero essere invece chiare, coerenti, giuste così come le loro applicazioni?

E dire che sarebbe facile: ostacoli qualcuno in qualifica? Penalità, sempre. Metti quattro ruote fuori dalla riga bianca? Tempo cancellato. E via così. Non che “se vai fuori in questa curva no ma in queste sì”. Niente eccezioni: se vai fuori paghi, come quando c’era la cara vecchia ghiaia.

Che poi Lewis si metta pure a bacchettare Sirotkin, dicendo che andava troppo veloce, fa sinceramente ridere. Non è scritto da nessuna parte che il giro di lancio debba essere affrontato ad andatura lenta e, purtroppo per il russo, la Williams ha qualche problemino a mandare in temperatura le gomme. Ergo era necessario tirare e questo è un diritto del pilota, almeno fino a quando la F1 non verrà trasformata in una gara di regolarità. All’ufficioso Endurance ci siamo già, tra l’altro.

Ho sentito delle critiche alle proposte di un collegio di commissari unico. Eppure la situazione attuale mi sembra talmente assurda, ingiusta e penalizzante per l’immagine della Formula 1 che un tentativo lo farei eccome. Così non si può andare avanti, mi pare palese. Non si può continuare a fingere che Magnussen non metta a muro Gasly a Baku perché succede a centro griglia e sventrare l’apparato genitale ad ogni baffo smosso da Verstappen. Non si può e non si deve valutare lo stesso episodio in tre modi diversi durante l’anno in base al protagonista. Non si può mettere in mano la Formula 1 a chi non è in grado di garantirne la serietà. 

Altrimenti, oltre alla faccia, si perdono anche gli spettatori di lunga data. E vai a cercarli in Vietnam, poi, i nuovi appassionati.

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