Pagelle del Gran Premio della Malesia 2013

F1GP MalesiaGran PremiLe Pagelle
Tempo di lettura: 22 minuti
di shalafi81
26 Marzo 2013 - 11:59
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Lotta dura, senza paura. Fratelli coltelli, Compagni Nemici. A Sepang esplode la rivalità tra Webber e Vettel, con quest’ultimo che ignorando gli ordini di scuderia infila duramente l’australiano andando a prendersi la vittoria. In casa Mercedes Rosberg chiede di lottare con Hamilton ma gli viene risposto di non far casino, e lui obbedisce. Ed ecco il podio, dunque, Vettel Webber e Hamilton. Gran premio incredibile e caratterizzato da errori di ogni sorta, da quello incredibile di Alonso e della Ferrari a quelli ai box di Force India, McLaren, Caterham e Toro Rosso. Buona lettura!

Sebastian Vettel: 8 – Non è questione di essere sleali o meno. I campioni veri per essere tali devono essere figli di puttana quanto basta, ce lo insegna la storia e se qualcuno fa finta di dimenticarselo mente due volte, prima a se stesso poi a chi lo legge o lo ascolta. Se un pilota vuole vincere, non è un team radio, l’oroscopo o un asteroide a impedirglielo, a meno di spegnergli la macchina dai box. E non è nemmeno questione di cattiveria agonistica. Qualche anno fa a Budapest Barrichello fece un sorpasso simile ai danni di Michael Schumacher, e tutti contro il crucco che lo aveva stretto contro il muro. Il sorpasso è duro, da urlo, da applausi. Il punto è un altro. Caro Seb, non venirci a raccontare cazzate. «Sì, ho ignorato gli ordini, ma non l’ho fatto apposta». Seb, questa potevi risparmiartela. Soprattutto nei confronti del tuo compagno di squadra, cornuto e mazziato. Avresti dovuto dire «Sì, mi han detto di non attaccare, ma io corro per vincere sempre e comunque, punto e basta». Ne saresti uscito da eroe, anziché da falso. E adesso, gettando benzina sul fuoco, c’è il rischio che questi due si facciano male sul serio. Speriamo di sbagliarci. Detto questo, la prestazione è buona, non killer come in altre occasioni ma di fatto concreta quanto basta. Il voto è deliberatamente più basso di quanto avrebbe meritato in pista per il comportamento tenuto dopo. Vigliacco.

Mark Webber: 9 – E in tutto questo noi stiamo con Mark. Perché per una volta azzecca una grandissima partenza -tenete d’occhio il cielo, si annunciano eventi astronomici impensabili-, perché sceglie il momento perfetto per la prima sosta e perché domina tre quarti di gara con un’autorità che non gli vedevamo esibire da tempo immemore. Poi, dopo l’ultima sosta, dal muretto gli dicono che è fatta. Lui ci crede, sbagliando. E prova a spingere Seb proprio verso quel muretto che gli aveva assicurato che sarebbe finita così. Lasciando -piccolo particolare- comunque lo spazio per passare. E’ lotta dura per mezzo giro, poi il crucchetto se ne va e lui in due giri perde quattro secondi, come a dire GAME OVER. Al di là del fatto che la posizione in pista la perde comunque lui, gli va riconosciuto il carattere di aver denunciato la cosa pubblicamente, il talento per aver comunque condotto bene una gara complicata, e il buon senso per non aver sbattuto fuori del tutto Sebastian al momento del sorpasso decisivo. Speriamo solo -come già detto sopra- che la cosa non degeneri ulteriormente. I due non si sono mai sopportati troppo, la cosa si fa incandescente. Furioso.

Fernando Alonso: 4 – Una coglionata pazzesca. E scusate la terza parolaccia in appena tre pagelle, ma diversamente non riusciremmo a definirla, la cazzata [ops, c’è scappata pure la quarta, abbiate pazienza] combinata da lui e dal suo muretto. E gli va anche bene. Perché dato per scontato che l’ala si sarebbe staccata, punto sul quale ci pare siano concordi tutti anche senza scomodare il senno di poi, quantomeno il distacco arriva in una zona con una via di fuga ampia. Perché poteva anche farsi male, tra l’altro. Ma al di là di questo, buttare una corsa per un azzardo tanto improbabile quanto ingiustificato grida vendetta al cielo. Non si capisce se la decisione finale sia arrivata dal muretto o dal pilota. Ma in entrambi i casi la colpa è di Fernando, perché al volante c’è lui e solo lui. Chissà quanto rimpiangerà questi punti. Folle.

Felipe Massa: 6,5 – Stupisce nuovamente in qualifica, ma ridimensiona se stesso e le sue ambizioni con una gara altalenante. Al via resta imbottigliato e nel saggio tentativo di non far danni scivola indietro fino alla sesta posizione. E da lì, non si capisce bene come, sparisce. E’ un numero che gli riesce particolarmente bene nelle sue giornate meno brillanti, e Sepang 2013 non fa eccezione: Forse sente su di sé il peso di dover reggere da solo la baracca rossa, chissà. Riemerge miracolosamente nell’ultimo quarto di gara, quando con gomme fresche inizia ad andare come un treno e recupera secondi a vagonate sulle due Lotus, passando in pista sia il suo ex compagno di squadra finlandese che il ben noto sfasciacarrozze [con affetto, beninteso] franco-svizzero. E taglierà il traguardo in quinta posizione, dietro alle due coppie in blu e argento. Non sarebbe neanche male, in realtà, ma ci aspettavamo -e gli chiedevamo- dell’altro. Per cui sufficienza abbondante ma nulla più. Gli fanno difetto cattiveria e costanza, tende ancora a perdersi quando le cose non filano per il verso giusto o si mettono male in corso d’opera. Gentile.

Jenson Button: 9 – Il Maestro è sempre il Maestro, c’è poco da fare. Quando c’è da amministrare, da usare il bilancino per gestire le gomme, quando c’è da sfruttare anche il minimo spiraglio per dare un senso a una prestazione condizionata da una macchina indecente, lui c’è sempre. A partire dal via, dove schizza immantinente in quarta posizione. Troppo bello per essere vero. E infatti non lo è. Ad uno ad uno lo infilano [a memoria] Rosberg, Hülkenberg, Webber e Hamilton. Ma è comunque in corsa per un piazzamento prestigioso nei punti, onestamente più di quanto a Woking potessero aspettarsi alla vigilia. E anche qui, di nuovo, troppo bello per essere vero: all’ultima sosta, forse storditi dalle bellezze malesi in giro per il paddock, forse elettrizzati dall’idea di essere in testa momentaneamente alla gara [!!!], si dimenticano di fissargli l’anteriore destra. Ma al Maestro -non a caso lo chiamiamo così- non la si fa: si accorge ben presto dell’accaduto e si ferma nella pit lane. Provano a metterci una pezza ma lo rispediscono in pista dopo una vita. E il danno è oramai fatto: a poche tornate dalla fine lo fanno fermare definitivamente, troppe vibrazioni. Peccato. Ma nulla da rimproveragli, anzi, grandissima gara. Azzoppato.

Sergio Pérez: 7 – Lui un paio di punticini li porta a casa, invece, ma ha ancora parecchia pastasciutta da mangiare se vuole conquistarsi lo status di top driver. Va però detto che il confronto con un volpone come JB in gare come queste è decisamente arduo, e se andiamo a spulciare la sua corsa di spunti interessanti in effetti ce ne sono. A partire dalla furiosa resistenza che oppone a Räikkönen, decisamente più veloce di lui ovunque ma non nei due rettilinei. Ecco, a pensarci bene pure lui viene inquadrato solo in occasione di sorpassi subiti, praticamente un po’ da tutti. Eppure, zitto zitto quatto quatto, la sua onestissima gara la fa, ed ha pure il suo scampolo di gloria quando, dopo un pit stop al penultimo giro -a nono posto oramai acquisito- strappa il giro più veloce in gara. Buono per le statistiche, certo, ma soprattutto per il morale degli uomini di Woking, abbattuti anzichenò da un inizio di stagione degno di un film di Dario Argento. Poi, oltretutto, se alla tua seconda gara in McLaren il pilota che hai sostituito trova il tempo di passare al tuo box a salutare i vecchi amici, ti rendi conto che hai ancora bisogno di tempo per far capire chi sei e cosa puoi dare. Per oggi, comunque, a noi sta bene così. Umile.

Kimi Räikkönen: 5 – Stranamente poco lucido, impreciso e poco incisivo, stavolta non c’è piaciuto. Rimedia una penalizzazione in qualifica e parte decimo, si incasina un po’ al via, finisce poi largo e cede la posizione a Grosjean. Ma, soprattutto, perde una marea di tempo ogni qualvolta si trovi a dover sorpassare qualcuno. Colpa di un assetto troppo carico o di una settima troppo corta, forse, ma anche di una giornata non esaltante. Ci mette una vita a liberarsi di Pérez e ne impiega molte di più per aver ragione di Hülkenberg, che difende la posizione nemmeno fosse Davy Crockett a Fort Alamo. Anche oltre le righe, secondo alcuni, ma non secondo noi. Tenta la carta, come a Melbourne, della sosta in meno, ma l’artificio non funziona e quando arriva Massa deve farsi da parte con il più classico dei “prego, s’accomodi, gradisce un tè? dei pasticcini? un aperitivo? qualcosa di più forte?”. Insomma, poca roba. Non crediamo che abbia risentito della pressione dovuta alla vittoria in Australia, semplicemente perché non ci pare il tipo. Però ha subìto la gara, ha subìto diversi colleghi e ha subìto anche il vicino di box. Un po’ poco per lasciargli la sufficienza, no? Appannato.

Romain Grosjean: 7,5 – Mezzo punto in più perché GrossoGianni pare avere sette vite come i gatti. Prendete l’anno scorso: infila una serie di incidenti al via mai vista prima, becca pure un Gran Premio di squalifica, eppure si riguadagna la riconferma per l’anno successivo. E prendete il 2013: il suo compagno di squadra vince la prima gara mentre lui lotta nella seconda metà del gruppo, tutti lo danno per spacciato, schiacciato da un ingranaggio più grande di lui… eppure nell’appuntamento successivo si dimostra più efficace, cattivo, concreto e porta a casa più punti. Gli vogliamo bene anche per questo. Passa Kimi in pista a causa di uno svarione del finlandese, poi la differenza di fatto la fanno i sorpassi, nello specifico quelli a Pérez e Hülkenberg. A Romain riescono, al finlandese no. Al traguardo i due saranno separati da una posizione, sesto e settimo, e da 12 secondi. Bastano per giustificare una differenza di voto così evidente? Per noi sì. Gli esami non finiscono mai, si diceva una volta, e di sicuro non per GrossoGianni, per cui un sette e mezzo può aiutare a strappare una media migliore alla fine dell’anno. Instancabile.

Nico Rosberg: 8 – Sapete cosa pensiamo? Che questa può essere la gara della svolta, per Nico. No, non siamo scemi, anche se tutto sembra suggerire il contrario. O meglio, siamo scemi ma non necessariamente per questo. Il punto è: a Sepang per impedire a Rosberg di lottare all’ultimo sangue con Hamilton, universalmente riconosciuto come uno dei più forti in circolazione, c’è stato bisogno di un ordine di scuderia. Ergo: a Sepang Nico valeva quanto e forse più di Lewis. Punto. In passato abbiamo più volte scritto come nella carriera del figlio di Keke [che poi in realtà si chiama Keijo Erik, puntualizzazione tanto inutile quanto saccente] sia sempre mancato quel salto di qualità che lo qualificasse tra i top driver di nome e di fatto. Secondo noi quel momento è arrivato oggi. Tallona il compagno di squadra per buona parte della gara, alla fine lo raggiunge, i due fanno a cazzotti un paio di volte, prima che la vocina imperiosa di patron Brawn gli dica «smetti di lamentarti, così state e così rimanete. Punto». Perché io so’ io, diceva qualcuno, e voi non siete un cazzo. Lui accetta, a torto o ragione non sta a noi dirlo, ma di certo pianta un paletto importante sulla sua stagione e sulla sua carriera. Benvenuto.

Lewis Hamilton: 8 – La scena madre è ovviamente il suo ingresso in pompa magna al box della sua ex squadra, con il solerte meccanico della posteriore destra che gli fa segno di circolare, nemmeno fosse un vigile urbano. La forza dell’abitudine, certo. Di sicuro il buon Freud avrebbe avuto molto da dire, su questo simpatico svarione. Ma la sua gara è anche e soprattutto altro. A partire da un terzo posto conquistato nei primi metri e conservato per tutta la gara. A un certo punto riesce addirittura a sopravanzare Vettel ai box, prima che il tedesco si riprenda imperiosamente la posizione. Tutto bene finché non arriva Rosberg, che ha un passo nettamente superiore al suo. I due lottano, sgomitano, LH si salva prima grazie al DRS poi in virtù dell’imperioso team radio del mangiabanane inglese che induce a più miti consigli Nico il Biondo. Un terzo posto ottenuto così ha un valore ambivalente. Da un lato mostra che l’inglese nelle gerarchie di squadra è sicuramente ben messo, ma dall’altro dimostra che non ha affatto una superiorità netta nei confronti del compagno di squadra. Di questo -a parer nostro- la squadra terrà conto eccome. E magari il team radio potrebbe a lungo termine addirittura rivelarsi un boomerang. Chissà. Per ora intanto il terzo posto, alla seconda gara con le Frecce d’Argento, è in saccoccia. Precoce.

Nico Hülkenberg: 8 – Come Fort Alamo, come l’assedio di Leningrado e Stalingrado messi assieme, come e forse di più. L’Incredibile Hülkenberg si trasforma, per l’occasione, nell’Irriducibile. Probabilmente lady Kaltenborn lo paga un tanto a sorpasso, e soprattutto gli scala una percentuale dello stipendio per ogni posizione persa in pista. Fatto sta che Nico, dopo una splendida partenza e una memorabile prima parte di gara in cui fa fuori anche le due McLaren, si produce in una serie di difese a oltranza nei confronti di Räikkönen da far impallidire l’autoscontro del Luna Park. Niente di palesemente scorretto, intendiamoci, ma comunque parecchio oltre le righe. Tant’è che i due team radio che la regia internazionale ci propone a distanza ravvicinata hanno dell’esilarante, con Nico che dice «this guys are too fast, I’m pushing like Hell», che suona più o meno come «questi ragazzi van troppo forte, sto spingendo come un demonio» e dall’altra il buon Kimi, solitamente pacato e taciturno, che si lamenta incazzato come un’ape delle manovre del tedeschino. Alla fine cederà l’agognata posizione, ma chiuderà comunque ottavo, ripassando Pérez a pochi giri dalla fine. Tosto, cattivo, esagerato. In una parola: Bravo.

Esteban Gutierrez: 5,5 – Lui invece fa fatica. E’ chiaro che il valore della Sauber è forse a metà tra quanto espresso dai due piloti, ma a Sepang è pur vero che tanto Nico è debordante quanto Esteban è timido e impaurito. Lo si nota solo quando a metà gara va largo, consentendo alle due Force India di Sutil e di Resta di passarlo senza problemi. E a fine corsa taglierà il traguardo in dodicesima posizione, staccato di più di cinquanta secondi dal caposquadra. Okay, è un deb. Okay, deve ancora farsi le ossa. Okay, il primo obiettivo è quello di non far danni. Però francamente ci pare un po’ pochino, per poter arrivare alla sufficienza. Il cinque e mezzo che gli rifiliamo gli serva da stimolo. Non gli si chiede di far danni, beninteso, ma di tirar fuori almeno un guizzo, un lampo, un qualcosa che dia un senso alla gara al di là del risultato. Se c’è stato, noi a Sepang non l’abbiamo visto. Evanescente.

Paul di Resta: 8 – Potenza della spending Review: in Force India hanno quattro pistole contate. E di conseguenza se se ne inceppa anche solo una l’unica soluzione è mandare tutti a casa. Quanto accaduto a Sepang ha del grottesco, tanto che ci troviamo in oggettiva difficoltà nel valutare le gare dei due piloti del team indiano. Dei due -a scanso di equivoci- lo scozzese è quello che c’è piaciuto di più. Sbaglia la qualifica, vero, ma in gara lotta come un leone, recupera, sconta doppiamente il primo pit stop lento di Sutil in quanto in coda come dal gommista, riparte, raggiunge e passa il compagno di squadra, sopravanza anche Ricciardo e si avvia a lottare per la zona punti. Poi il patatrac. Un peccato, davvero. Ma anche una nuova dimostrazione che la vettura -contrariamente a quanto emerso dai test precampionato- c’è. E se si riuscisse a comprare un paio di pistole nuove… Allucinato #1.

Adrian Sutil: 7,5 – Del disastro ai box abbiamo già detto, inutile spendere altre parole per una delle situazioni più allucinanti che chi scrive questi sproloqui abbia mai visto in Formula 1. Di Adrian diciamo che si qualifica bene e che, sgomitando e lottando, mette assieme una prima parte di gara decisamente notevole. Poi, nel secondo stint, fa più fatica tanto che viene raggiunto e superato dal compagno di squadra, ma i due procedono di conserva [quanto ci manchi, Poltronieri, quanto ci manchi…] fino al fatidico, inesorabile momento del pit stop. Pare che si stiano cercando nuovi sponsor per le attrezzature tecniche. Qualcuno si facccia avanti, è come una campagna di Pubblicità Progresso: «Dona anche tu una Pistola alla Force India». Punti gettati al vento. Peccato. Allucinato #2.

Pastor Maldonado: 5 – Se la coerenza ha un valore, Pastor deve essere decorato con la medaglia al valor civile e militare. Perché per la seconda gara di fila, pur di dimostrare al mondo che la sua vettura è effettivamente inguidabile, come da lui dichiarato alla vigilia della stagione, continua a far visita alle vie di fuga con costanza e applicazione. A meno che -questa l’altra spiegazione- non voglia prendersi un master in materia, in viedifugologia o qualcosa di simile, ed allora le sue escursioni avrebbero un fine didattico-culturale. Certo è che, a parte gli scherzi, non ci siamo. Stavolta gli va parzialmente bene, nel senso che si limita a sfasciare l’ala anteriore, deve fermarsi a cambiarla ma può proseguire. Ma la sostanza è che non è sereno, resta veloce -fino all’errore è ben davanti a Bottas- ma troppo incostante. Lui è così, prendere o lasciare, a Maldonado non si guarda in bocca. Ma il guasto al Kers che lo mette fuori gioco gli fa più un favore che un dispetto. Comprensibile la delusione per una vettura finora inferiore a quella dell’anno scorso, meno giustificabile tutta questa serie di errori. Nervoso.

Valtteri Bottas: 6 – Lui il suo errore -poi qualcuno ci spiegherà perché gli uomini di sir Frank debbano avere l’handicap ad ogni gara- lo fa al via, quando è in lotta con una Caterham e, per evitarla, mette due ruote sull’umido precipitando in fondo alla classifica. Da lì prova a risalire, passa senza troppi patemi le Caterham e le Marussia e poi punta tutto su ritmo e strategia correndo spesso da solo per coprire -pare che quelli bravi dicano così, boh- i suoi avversari nelle soste ai box. Il sistema pare funzionare, tanto che recupera diverse posizioni e alla fine chiuderà undicesimo, ai piedi della zona punti, staccato di appena un secondo e quattro dal suo primo punticino in Formula 1. A fine gara dice che con qualche giro in più avrebbe potuto farcela. Ci siam presi la briga di studiare il cronologico dei tempi, e in realtà alla fine girava più o meno come Vergne, che lo precedeva e lo precederà sotto la bandiera a scacchi. Ma gli si può perdonare, in fondo. La sua gara è regolare, senza acuti ma anche senza ottusi [okay, non ci veniva il contrario di acuti e abbiamo puntato sulla geometria, capiamo che non è il massimo ma abbiate ancora una volta pazienza]. Pur conteggiando l’errore in partenza -stiamo pur sempre parlando di un deb- la sufficienza ci può stare. Rimontante.

Jean-Eric Vergne: 7,5 – Come se i momenti improbabili non fossero mancati, in questa gara [box Force India modello Benny Hill, LH che si dimentica di aver cambiato squadra e così via] anche il buon JEV decide di contribuire, seppur involontariamente, alla causa. Il botto con la Caterham di Pic nella corsia box è tanto assurdo quanto pericoloso e, per certi versi, inevitabile da parte dei piloti. Se ti fanno segno di partire, tu parti. A lui han fatto cenno di partire, è partito. Ed è andata come tutti ricordate, tutto sommato anche bene perché il francese se la cava con un cambio d’ala e può ripartire. Alla grande, peraltro. In Malesia le Toro Rosso vanno che è una meraviglia, e JEV nonostante il tempo perso riesce ad aggrapparsi alla zona punti artigliando un punticino che muove la classifica e soprattutto fa morale. C’è da recriminare, certo, ma non ci pare il caso di colpevolizzare il pilota, autore di una gara senza errori, pulita e concreta. Se poi migliorasse anche in qualifica… Scontrato.

Daniel Ricciardo: 6 – In realtà fa una gran gara, all’inizio lotta con i migliori, al termine del primo giro è decimo -partiva molto indietro- e lotta come un leone con Grosjean, Räikkönen e di Resta. Perché, allora, direte voi, gli date a malapena un sei? Perché -come con molta onestà il nasone australiano ammette a fine gara- il ritiro per via di uno scarico rotto è colpa di un suo improbabile errore nel giro di formazione. Quando, cioè, prima ancora del via, esce di pista alla curva tre finendo nella ghiaia e rovinando il fondoscocca e altri elementi tra cui appunto lo scarico. Imbarazzante, a dir poco. Ci scoccia liquidare così la sua prestazione, per il resto tecnicamente impeccabile, ma d’altro canto è pure fortunato a non uscirsene con un’insufficienza. Chissà se e quando la Toro Rosso si presenterà così competitiva, o quantomeno in grado di portare a casa punti che potrebbero rivelarsi pesantissimi. Distratto.

Charles Pic: 7Per fortuna che c’è Pic, recitava un noto spot anni ’80 che chi ha qualche anno sulle spalle ricorderà con piacere. Reclamizzava una siringa con un particolare ago dalle proprietà miracolose in termini di soppressione del dolore. Quasi a sfidare la legge dell’impenetrabilità dei corpi, a minimizzarne l’effetto. Ecco, al Pic che corre in Formula 1 questo non riesce. Quando si trova a rientrare ai box e la sua strada si incrocia con quella della Toro Rosso di Vergne, quella legge brutta e antipatica di cui parlavamo prima non ne vuol proprio sapere di far finta di niente e fa sì che entrambe le macchine ci rimettano l’ala anteriore. «E dovete pure ringraziare -ha aggiunto- di essere già ai box, altrimenti avreste fatto la fine di quel tipo con la barba di tre giorni e l’aria un po’ sbruffoncella che guidava quella macchina rossa finita nella sabbia. Come si è permesso, di ignorarmi? Ben gli sta». Detto questo, e bando alle stupidate, il buon Charles fa quel che può con una vettura che sembra la Marussia che guidava lo scorso anno, nervosa e instabile. Si tiene dietro Van del Garde, a un certo punto lo passa pure Chilton, ma è bravo a riprendersi la posizione e a chiudere con un dignitoso 14mo posto. Certo, sperava di aver fatto un passo in avanti, passando al team di Tony Fernandes, ma chi lascia la strada vecchia per la nuova… Impenetrabile.

Giedo Van Der Garde: 6,5 – Becca appena otto secondi da Pic, e tutto sommato non è male. Non fa danni, e neppure questo guasta. Tiene dietro Chilton, e salva l’onore della squadra. A un certo punto è addirittura 14mo, quando però non ci sono ancora stati ritiri. E soprattutto è autore di un numero alla Houdinì a metà gara, quando il gruppetto di testa sta arrivando a doppiarlo. E’ in lotta con Chilton, da dietro arriva Webber come una furia… e lui semplicemente sparisce. Non si capisce dove sia finito, se ai box, se in una via di fuga, se in un’altra dimensione, se abbia beccato uno Stargate, non si sa. Il regista lo cerca invano, il telecronista resta senza parole. Niente. Cercasi Giedo disperatamente. Poi dopo un paio di giri ricompare, apparentemente senza danni. Magia. Anzi, Escapologia, l’Arte della Fuga, quella di cui appunto il grande Houdinì era maestro indiscusso. E addirittura più tardi ci riprova, ma non gli riesce. Forse perché dietro di lui non c’è più Webber ma Grosjean, che peraltro lo manda bellamente a quel paese. Alla fine tutto questo basta, per la sufficienza. E’ anche lui un rookie. E ci vuol pazienza. Esoterico.

Jules Bianchi: 8 – Bando alle ciance: bravo, bravo, bravo. Qualifica da urlo, gara coriacea nonostante una partenza così così che lo spedisce alle spalle delle Caterham. Dopo la prima tornata di soste si riprende la posizione che gli compete, viaggia a distanza tutto sommato accettabile da Maldonado [prima che il venezuelano vada per campi] e alla fine chiuderà 13mo, primo dei nuovi team, ruolo che sta ereditando dal fu Kovalainen e che quest’anno crediamo ricoprirà più volte. Alla seconda gara in Formula 1 dimostra maturità, velocità e freddezza. Testimonianza ne è il fatto che nei doppiaggi non si nota mai, segno che non crea mai problemi. Un po’ come l’arbitro in una partita di calcio: più è bravo, meno si nota. Difficile dire se la Marussia sia effettivamente più veloce della Caterham, certo è che lui se le lascia dietro mentre Chilton se le ritrova davanti. Qualcosa vorrà pur dire, no? Per ora bene, avanti così. Ci sono spazi per far belle figure. Brillante.

Max Chilton: 5,5 – Da Bianchi becca un minuto. Un po’ troppo, francamente. Al via è opaco, poi dà la colpa prima alle Caterham che lo bloccano [ma poi se le ritroverà davanti anche al traguardo] e quindi se la prende con le troppe bandiere blu che gli impediscono di trovare il giusto ritmo di gara. Per essere un novellino ha già imparato molto bene la Nobile Arte della Scusa. Della serie, Lauda docet, «apre il libro delle scuse a pagina 97 e dice…». E’ autore di frazioni buone, come quando si trova in lotta con Pic, ma poi ha la tendenza a perdersi, a finire indietro. E il tempo lasciato per strada, ahinoi, con una Marussia non si recupera. Chiuderà ultimo, staccato di due giri, palesemente insoddisfatto. Che dire, se non è contento lui figuriamoci noi. Serve più costanza, più continuità e più regolarità. Non per vincere le gare, beninteso, ma per non sfigurare nella lotta con un compagno di casacca che dopo due gare è già diventato scomodo e pesante. Urge inversione di rotta. Timoniere.

Manuel Codignoni
www.passionea300allora.it

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6 Commenti su “Pagelle del Gran Premio della Malesia 2013”
farina88 dice:

buonasera a tutti…è la prima volta che scrivo su questo forum,benchè è già dalla stagione passata che vi seguo. Vi faccio i complimenti e,in questo caso,li faccio a Codignoni…davvero belle le sue pagelle,detto sinceramente le migliori,non si limitano all’andamento della gara e aggiungono un tocco d’originalità…

stefff dice:

A me queste pagelle piacciono proprio perché non si limitano alle solite tre righe con un riassunto della gara del pilota, ma vanno oltre, commentano, ragionano, creano parallelismi, spaziano anche fuori dalla Formula 1.

Bar93 dice:

adoro le tue pagelle!!!! =))) le leggo di mattina prima di andare al lavoro perche’ sono sempre un risollevamento di morale!!.. poi oggi hai menzionato Rubens e che bei ricordi!

Giuseppe92 dice:

Pagelle perfette, alcune in linea con il mio pensiero.

piccola critica: pagelle un po lunghe, alle prossime dire di mettere qualche spazio in più o qualche immagine

AleMans dice:
mammamia dice:

ottime e abbondanti come sempre Manuel !!!

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