Pagelle del GP della Cina 2014

F1GP CinaGran PremiLe Pagelle
Tempo di lettura: 12 minuti
di shalafi81
22 Aprile 2014 - 21:22
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Rieccoci. C’è chi sportella al via, chi sventola bandiere a scacchi in anticipo, chi si sdoppia, chi lotta, chi le dà e chi le prende. E chi, in tutto questo casino, fa Shanghai e domina, ovvero Lewis Hamilton. Una superiorità disarmante, quella dell’inglese, che strapazza tutti a partire da Nico Rosberg. Torna sul podio la Ferrari, con Alonso, mentre Ricciardo ha ancora la meglio su Vettel. Buona lettura!

Sebastian Vettel: 5 – Le prende in qualifica, risponde al via, le prende -sonoramente- in gara. C’è chi dice che quest’anno, con aderenza inferiore e macchine più nervose, il suo compare Ricciardo vada più forte perché più abituato a remare in condizioni difficili. Boh. Quattro campionati del mondo non si vincono per caso. Ma adesso fa fatica. Ed è nervoso, tanto nervoso. Del resto nelle sue condizioni lo saremmo anche noi. Bocciato ma guai, guai, guai a darlo per morto. Ferito.

Daniel Ricciardo: 9 – La forza dei nervi distesi. Lo vedi lì, con quel sorrisone stampato a 32 denti 24 ore al giorno, e non capisci se ti prende in giro o se davvero è felice. Poi lo guardi correre e capisci che sì, sta vivendo un sogno. Di quelli da nuvoletta rosa, angioletti che suonano felici l’arpa e uccellini che cinguettano. Va forte, non ha timori reverenziali, e dopo un inizio che avrebbe steso un bufalo -come risultati, non come prestazioni- rifila più di 20” al caposquadra anche stavolta. Come sopra: guai a dare Seb per finito. Ma bravo, bravo, bravo. Entusiasta.

Nico Rosberg: 5,5 – Okay la telemetria che non va. Okay la qualifica difficile [ma perché solo per lui?], okay la speronata subìta da Bottas, okay tutto. Ma anche stavolta, diciamocelo, prende una paga sonora dal Nero che tremare il mondo fa. Alla fine acchiappa un secondo posto che è il risultato minimo, con una Freccia d’Argento così. E alla fine, sempre in virtù del ritiro australiano di LH, mantiene la testa del campionato. Ma se non inverte la tendenza in fretta si fa sempre più dura. In termini di prestazioni e in termini di rispetto e considerazione in seno al team. Più tempo passa peggio è. E nel retro podio gli abbracci e i gesti di complicità con Lewis sembrano evaporare… Nervoso.

Lewis Hamilton: 9,5 – GP di Spagna 1998. Conferenza stampa. «Mika, the perfect flags to lights victory. It looked very easy, was it?» Risposta dell’indimenticato Häkkinen «Oh yeah, it was so easy, you can’t believe it……………. No it wasn’t». Ecco: già quella volta non ci credevamo, figuriamoci ora quando Lewis ti va a raccontare che no, non è mai semplice e che sì, la macchina andava bene ma non sei mai tranquillo. L’unico brivido ce l’ha al penultimo giro, quando è convinto di aver finito la corsa e invece mancava ancora una tornata. Per il resto gira con un braccio fuori dal finestrino. Al 70% del potenziale, a occhio. Ragion per cui evitiamo il 10. Mezzo punto in più, però, per la pole, da paura. Questo campionato, ad oggi, può solo perderlo. Spietato.

Fernando Alonso: 9 – Torna sul podio, e onestamente non se lo aspettava nemmeno lui. E’ terzo nel mondiale, e per com’è andata finora è un lusso. E c’è tanto di suo, nella prestazione cinese. Vedasi alla voce Räikkönen. Certo, per guadagnare posizioni deve fare a sportellate al via e sì, quando Rosberg lo riprende non può che opporre una cerbottana al bazooka del pilota McLaren. Ma resiste, bene, al ritorno di Ricciardo. E porta a casa punti pesanti per il morale e per la classifica. Un bel regalo a Mattiacci -a proposito, benvenuto- senza però dimenticare il buon Domenicali. Ma servirà di più, per tornare a vincere. E lui lo sa bene. Irriducibile.

Kimi Räikkönen: 5 – Non ci ha capito quasi niente. Okay, i problemi nelle prove libere lo condizionano non poco. Ma il distacco vicino al minuto rimediato da Alonso, in condizioni normali e senza imprevisti, è difficilmente spiegabile se non con un feeling con la vettura che ancora non c’è. E dire che alla vigilia del mondiale le nuove regole, sulla carta, parevano agevolarlo. E invece no, no, no. Alla Ferrari, però, serve anche lui. Speriamo che non lo lascino indietro, come uno di quegli studenti poco attenti che alla terza lezione hanno già perso il treno dei migliori. Ma dipende tanto anche da lui. Confuso.

Romain Grosjean: 8 – Quando gli dicono di non mettere più la quarta non capisce neanche lui se il suo ingegnere sta scherzando o fa sul serio. E come faccio, s’interroga? Prima ancora che gli arrivi la risposta, perde anche tutte le altre. E quindi saluta la compagnia. Peccato perché con una vettura a dir poco instabile stava lottando per la zona punti. E poteva realisticamente anche farcela. Difficile davvero fare di più. Trasformato rispetto al pilota-kamikaze di due anni fa, adesso che lui c’è al 100% è la macchina che non lo asseconda. La classica coperta corta. Per la quale, in questa fase, non ha colpe. Se non quella di provarci lo stesso. Leone.

Pastor Maldonado: 6,5 – Paga pegno per il botto nel deserto con Gutierrez e parte buon ultimo. Chiude quattordicesimo. Chi è causa del suo mal pianga se stesso. Ma, al netto dell’ammenda, conduce una gara regolare, senza troppi guizzi, portando a casa un unico sorpasso ai danni di Gutierrez. E dire che l’anno scorso guidava per la Williams, che quest’anno vola. Sarà mica lui a portare sfiga? Battute a parte, sufficienza abbondante anche se miracoli in Cina, ahinoi, non se ne fanno. Stratega.

Jenson Button: 7,5 – Continuiamo a credere che sia un gran pilota. E che non abbia perso lo smalto, né strategico [il Maestro è sempre il Maestro] né velocistico. Ma sembra che guidi sul ghiaccio, tanto la sua McLaren scoda e balla sia in frenata che in accelerazione. Fa quel che può, ma vederlo sputar sangue [senza successo, peraltro] per rincorrere Kvyat fa un po’ tenerezza ed è lo specchio del momento attuale del team di Woking. Altro che Australia. Lui comunque è ancora in prima linea, e la faccia ce la mette sempre. Leader.

Kevin Magnussen: 6 – Sufficienza, anche se un po’ stiracchiata, perché in fondo resta un deb ed è facile andar forte quando le cose vanno bene, decisamente meno se la tua macchina non va neanche a calci. Rispetto a JB emerge la differenza di cultura tecnica ed esperienza, quella che permette al britannico di galleggiare e che invece manca al danese. Sarà dura, quest’anno. E dire che a Melbourne aveva illuso – la McLaren, non lui. Anche in Cina però prende paga da Button, e chiude tredicesimo. E -paradossale ma vero- deve fare il tifo perché il compagno s’inventi qualcosa. Qualcosa che dia la sveglia agli ingegneri su a Woking. Illuso.

Sergio Pérez: 7 – Fa casino in qualifica ma in gara è bravo, bravissimo a tornar su, da brava formichina, senza eccessi e senza errori. Partire sedicesimo e arrivare nono non è banale, nemmeno se guidi una Force India in forma smagliante. Certo, Nico torna a batterlo, e l’impressione resta quella che a Sergio manchi continuità, da gara a gara ma anche nell’arco del weekend. Perché la prestazione c’è, eccome. Alti e bassi sudamericani contro continuità teutonica. Alla faccia degli stereotipi. Altalenante.

Nico Hülkenberg: 8,5 – Lui invece non sbaglia un colpo, c’è sempre, implacabile come una moneta falsa che spunta sempre fuori. In realtà, dopo l’harakiri di Massa, fa gara abbastanza solitaria e deve solo preoccuparsi del ritorno di Bottas a fine corsa. Troppo poco per perderci il sonno. Chiude sesto, altri punti pesanti, pesantissimi per la squadra. La consapevolezza di essere nel lotto dei big. E il terrore di far la fine della Sora Camilla: tutti -i top team- lo vogliono, ma nessuno se lo piglia. Chissà. Snobbato.

Esteban Gutierrez: 5,5 – Con tutta la buona volontà, e tutte le attenuanti che saremmo anche disposti a concedergli, alla sufficienza non ci arriviamo. La macchina mangia le gomme, il che lo obbliga a passare a una strategia sulle tre soste. Il che imporrebbe una velocità che né lui né la Sauber hanno, nemmeno lontanamente. Vedersi al proposito la sverniciata rimediata dalla Lotus di Maldonado [!!!]. Risultato: 16mo, davanti solo a Marussia&Caterham, dietro pure a Felipe Massa. Non solo colpa sua, intendiamoci. Ma -come già detto- con tutta la buona volontà la sufficienza non ci sta. E beccatevi pure la rima. Lento.

Adrian Sutil: sv – Mai realmente in gara, il motore rende l’anima dopo pochissimi giri. Tutto sommato, forse meglio così. Riprovaci.

Jean Eric Vergne: 5 – Anche qui, il libro delle scuse recita «partenza a rilento e conseguente arretramento nella pancia del gruppo». Nemmeno fossimo alla visita militare. Da lì è dura tornar su, e infatti non lo fa. Quel che fa specie, però, e da qui arriva la bocciatura, è vederlo soffrire così tanto un ragazzino di nemmeno vent’anni, quel Kvyat che anche in Cina fa Shanghai -bella questa, vero?- andando a punti e vincendo la lotta infinita con JB. Viene da pensare che scegliendo Ricciardo e non JEV la Red Bull abbia avuto le sue buone ragioni. Battute a parte, non è accettabile vederlo subire ancora il baby russo. Urge riscatto. Bastonato.

Daniil Kvyat: 8 – Meraviglia delle meraviglie: ancora una volta davanti a JEV, ancora una volta a punti, ancora una volta consistente, veloce e impeccabile. Ci ha preso gusto. E gioca pure al gatto con il topo con un certo JB per tutta la corsa. Strappa un altro punticino con la sicurezza dei grandi e la tranquillità dei veterani. E dire che non ha ancora vent’anni. Se non si perde, questo è uno tosto. E Vergne pare sempre meno sorridente. Luminoso.

Felipe Massa: sv – Erano anni che sognava quel momento, fare a ruotate con Alonso senza il terrore che qualcuno dal box lo licenziasse al momento. Sportellata dura, senza paura, dopo uno scatto al via semplicemente mitologico. Cattivo, deciso, tosto fino alla prima sosta. Da dove, in pratica, non riparte. O meglio lo fa, certo, ma dopo più di un minuto. Perché una ruota non si trova. Nemmeno Eddie Irvine al Nuerburgring nel lontano 1999. Ingiudicabile, su tutta la linea. Ma encomiabile perché mentre è ai box si limita a scuotere la testa invece di scendere e prendere a sganassoni la sua crew. Sempre un signore. Ma un’altra occasione persa non per colpa sua. Jellato.

Valtteri Bottas: 7,5 – Anche lui -chissà poi perché- decide che il via del Gran Premio della Cina è il momento perfetto per testare la resistenza delle Williams, e lo fa silurando Rosberg in maniera chirurgica. La FW36 resiste bene e lui, da lì, tira dritto, come un fuso, fino alla bandiera a scacchi. Regolare, forse anche troppo: chiude a poco più di un secondo dalla Force India di Hülkenberg e, con un pizzico di grinta in più, forse l’attacco si poteva provare. Ma visto il patatrac capitato a Felipe, capisce saggiamente che non è il momento della lotta ma quello del fieno in cascina. E allora un 7mo posto val bene una passeggiata -si fa per dire- fino al traguardo. Gente concreta, i finnici. Vagli a dire qualcosa. Inappuntabile.

Max Chilton: 6 – Vince la platonica battaglia con la Caterham di Marcus Ericsson ed è già qualcosa. Non fa danni e non si fa vedere nei doppiaggi, ed è ben più di qualcosa. Taglia però il traguardo a un’enormità da Bianchi, o giù di lì. Bocciarlo no, insomma, ma anche dargli di più ci pare troppo. Il biondo riccastro inglese fa quel che può. Nelle giornate buone va anche forte, a sprazzi. In quelle meno buone è parecchio lento, ma mai falloso. E in quelle normali, come a Shanghai, galleggia, le prende da Bianchi ma con dignità. E scusate se è poco; mica corre con la Ferrari, del resto. Imperturbabile.

Jules Bianchi: 7 – Sbuca fuori da non si capisce bene dove all’ultimo giro, quando è in lotta matta e disperatissima con la Caterham di Kobayashi. Tutto bello, spettacolare, ancorché inutile per il pasticcio dei commissari che sbagliano a sventolare la bandiera a scacchi e di fatto congelano l’ordine d’arrivo a due giri prima. Quando cioè Jules era ancora davanti. Paradossale, ma tant’è. Lui fa buon viso a cattivo gioco e porta a casa la gara degli altri. Staccando Chilton di una vita e mezza, ma non è una novità. Sagace.

Marcus Ericsson: 5,5 – Eravamo tentati di dargli la sufficienza, giuro. Ma non ce la siamo sentita, visto il distacco che rimedia a fine gara. Non è tanto il problema di arrivare ultimo, ma il come. Forse la peggiore apparizione del 2014. Il setup è sbagliato, la macchina di suo già non è un granché e la corsa diventa un calvario fino alla bandiera a scacchi. Che nel suo caso, a differenza di Kamui, non influisce sullo scadente risultato finale. Urge voltar pagina. Affaticato.

Kamui Kobayashi: 8 – In preda alla più devastante trance agonistica mai vista su un autodromo negli ultimi 10 anni si sdoppia da Vettel, passandolo come se fosse fermo e beccandosi un solenne vaffa dal quattro volte campione del mondo. Certe impennate d’orgoglio si pagano: a fine gara raggiunge Bianchi, in preda alla trance di cui sopra lo attacca e lo passa, spietato. All’ultimo giro. Peccato che i commissari gli avevano sventolato la bandiera a scacchi -sbagliando- due giri prima, vanificando tutto. Un po’ come i giapponesi sulle isolette del pacifico, convinti che la seconda guerra mondiale non sia mai finita. Dàlli, allo Yankee, il grido di battaglia. Dàlli, a Bianchi, urla lui. Invano. Paradossale, ma protagonista assoluto. La maggior parte dei piloti due perle come quelle collezionate da Kamui a Shanghai non le collezionano neanche in un’intera -lunga- carriera. Superstar.

Manuel Codignoni
www.passionea300allora.it

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