Oltrepassare il limite

BlogParola di Corsaro
Tempo di lettura: 10 minuti
di Alyoska Costantino @AlyxF1
30 Marzo 2018 - 09:00

L’amore è un sentimento molto particolare e strano, quasi infido. In grado di far stare al settimo cielo come, anche solo nel giro di poco tempo, di lasciare col morale sotto i tacchi, oltre a spingere ad azioni fuori dal comune che in nessun altro caso una persona cosciente farebbe. Ecco il potere che ha questa emozione umana, di gran lunga la più potente tra tutte.

E quali sono le già citate azioni che si potrebbero fare se spinti da questo sentimento? Percorrere viaggi di chilometri pur di vedere persone uniche nella nostra vita, passare ore e ore ad aspettarle a un appuntamento con tanto di pioggia e gelo a far da compagnia, oppure stare al fianco della persona giusta per tutta la vita, purché si tratta di lui/lei e di nessun altro. E nel caso il nostro affetto sia per qualcosa e non per qualcuno, vorremmo che questa sia plasmata alla perfezione e che non abbia nemmeno una virgola fuori posto. Purtroppo ciò che amo e di cui parlerò oggi vive una realtà ben diversa.

Io amo e ho sempre amato la Formula 1. Se mi dovessero chiedere il perché io abbia cominciato a seguire delle macchine che girano a zonzo per chilometri attorno alla stessa pista senza apparente motivo, piuttosto che guardare il calcio o il basket o perché no lo sci (…), una risposta vera non la saprei dare. Non furono di certo i miei genitori a indirizzarmi verso questa via, poiché non sono mai stati molto favorevoli. Certo, meglio la F1 che un programma ultra-violento X… però allo stesso tempo non l’apprezzavano.

Probabilmente fu la velocità, la sensazione che provavo e provo immedesimandomi nei piloti, pensando a ciò che uno qualsiasi di loro doveva compiere per tenere in strada quei mostri, leggerissimi e potentissimi. Sorpassi, fermate ai box, partenze, incidenti… tutte azioni che un pilota vive in OGNI weekend, e non solo una volta nella vita. Per non parlare poi della Ferrari: quella macchina rossa, su cui spiccava il numero 1, era perfetta. Aggraziata, veloce, vincente, che diventava dominatrice grazie al tedesco che ci stava dentro. Da piccolo a malapena riuscivo a trascrivere il suo nome… si trattava di Michael Schumacher.

Fu l’inizio del mio amore per quella disciplina, un amore genuino e sano, che m’impegnava ogni domenica cascasse il mondo. Non importava se da un’altra parte del paesino un mio amico stesse dando una festa in patronato, perché io avevo la mia TV, la mia Ferrari vincente con Schumacher e il mio divano su cui stare comodo a festeggiare. O almeno a farlo quelle volte che Schumi vinceva, dato che raramente succedeva qualche sventura al Kaiser e alla sua Rossa.

Tutto era perfetto… ai tempi. E lo sarebbe ancora se tutto fosse rimasto come in quel caso. Ma, come si dice, il tempo cambia le cose e spesso lo fa in peggio. Sono passati quasi quindici anni e il mio amore per la Formula 1 ora vacilla come non mai; non si tratta più di un sentimento genuino e piacevole, ma occuparsi il sabato e la domenica per questa F1 ora pare più una perdita di tempo, e una vittoria della Ferrari non è più abbastanza per rallegrarmi. Che sia un semplice disinteresse per la categoria? Forse, ma a cosa è dovuto? Questa è la domanda cruciale.

Nel giro degli ultimi nove anni io e tutti gli appassionati della massima categoria del motorsport abbiamo tenuto botta a tutto: vetture tremende per l’aspetto, KERS, DRS, gomme esplosive al minimo cenno di uno sguardo intenso, regole “no sense” e sistemi di punteggio altamente rivedibili (e come dimenticare il format di qualifica peggiore della storia, con i conti alla rovescia). Per un amante dell’orrido ce n’era per tutti i gusti, ma per un fan di Formula 1 si trattava di un semplice stringere i denti e tapparsi le orecchie alle dichiarazioni sempre più ridicole riguardanti “il taglio dei costi”. In poche parole, la pazienza sulla carta si sarebbe rivelata la virtù dei forti, ed era solo una questione di tempo.

E così pareva, quando si è arrivati al 2017. Liberty Media e Chase Carey avevano spodestato Bernie Ecclestone andando al comando della F1 e i passi avanti c’erano stati da subito. Finalmente le monoposto tornarono a essere più grintose e piacevoli da vedere, oltre che maggiormente veloci; l’equilibrio tra i primi tre top team si era appianato vedendo gare più combattute; le gomme Pirelli finalmente non avevano più un consumo esagerato e i piloti potevano permettersi di spingere di più. Sembravano dei decisivi miglioramenti alla F1, in procinto a tornare sulla giusta via. Ma è bastato poco per azzerare totalmente quelle speranze.

In autunno viene annunciato l’obbligo di Halo sulle vetture 2018, il nuovo dispositivo di sicurezza made in FIA a forma d’infradito per proteggere la testa dei piloti. Un brutto passo falso, che dimostra l’impazienza della Federazione a rilasciare un elemento ancora acerbo e che mostra evidenti limiti di protezione stessa e visibilità. L’inverno poi aggiunge altre due mazzate mica da ridere, come l’aggiunta di due nuove mescole nella gamma Pirelli per la F1 (ok…) e la limitazione alle componenti del motore ibrido, ridotte a un massimo di tre (alcune a due) per tutta la stagione. Perché per “limitare i costi” continuare sulla strada dell’ibrido per altri tre anni (almeno) e dover limitare esageratamente i motori nella potenza pur di ricercare l’affidabilità è la scelta giusta, chiaro.

La mazzata più devastante però è per noi italiani, che vediamo la fine della F1 sull’emittente Rai, a favore di Sky che decide di prendersi i diritti in esclusiva anche per le differite, lasciandoci il gusto di appena quattro round in diretta su TV8 su 21 appuntamenti. Una diminuzione drastica e a dir poco inconcepibile per chi era abituato (come me) a vedere solo qualifiche e gara ma tutto in diretta, che lascia per strada già due milioni di spettatori nel primo Gran Premio. Certo, c’è chi potrebbe ribattere dicendo che “questi soggetti potrebbero anche condividere la visione ai bar durante la gara tutti insieme”, ma credete seriamente che una cifra tale di soggetti adotterebbe questa soluzione? Io, per primo, non lo farei.

Ma qual è il vero problema di questi cambiamenti? Io credo che essi siano arrivati proprio nel momento in cui meno ce lo si aspettava, cioè nell’anno dell’assunzione di Ross Brawn come responsabile sportivo della Formula 1, nonché dopo il 2017 che aveva mostrato decisi passi avanti per la categoria dopo anni di buio pesto. E invece tutto è parso andare in malora, generando una tempesta perfetta di odio e critiche di cui anche quest’articolo fa parte. Ed entrando un attimo nella questione Brawn… d’accordo, l’ex-direttore tecnico della Ferrari ha sempre parlato di un approccio cautelare e rivolto a un futuro più lontano (con il 2021 come anno X, in particolare per i motori) ma dall’altra parte i primi segnali di vita e di ripresa bisognerebbe mostrarli ora, passo per passo e anno per anno, perché dubito che nel 2021, a meno di un miracolo divino, si possa sistemare tutta questa lista di punti con un semplice schiocco di dita.

A tutto questo discorso tutti voi potreste ribattere dicendo: “Ma Alyoska, se hai tutti questi problemi a seguirla perché semplicemente non guardi altro e ignori la Formula 1?”. E probabilmente avreste ragione. Mi basterebbe semplicemente non accendere la TV se non fossi più interessato alla F1. Le alternative ci sono, e promettono tutte molto bene, sia che si tratti di corse su pista o meno, sia che siano con meno di quattro ruote. Però, ve lo dico con il massimo dell’onestà, non è una cosa facile.

Nei primi paragrafi ho esordito parlando dell’amore verso qualcuno o qualcosa. Come detto, io amo tuttora la Formula 1, e rompere di netto così questo “rapporto” con essa dopo quindici anni è pressoché impossibile. Che sia chiaro, non è la prima volta che mi trovo in questa situazione: nel 2016, col nuovo format vergognoso di qualifiche, avevo deciso di mollare totalmente la visione riguardo il sabato pensando solo alla domenica, ma fortunatamente la FIA si accorse della stupidaggine in tempo e ricambiò prontamente il format. Questo per dirvi che abbandonare lo sport che è stato parte integrante della propria infanzia per quasi due decenni non è uno scherzo, affatto. È il prezzo che si paga essendo dei (vecchi) nostalgici, e la nostalgia spesso è un’infida arma a doppio taglio.

Forse dovrei cominciare a guardare questa categoria con occhio meno nostalgico e più obiettivo. Penso a cosa sia rimasto della vecchia Formula 1, quella che amavo senza se e senza ma, ma l’unica risposta che mi do è questa: il nome. Perché se si chiamasse GP1 oggi credo che, con molte probabilità, la differenza non si noterebbe molto. Non si tratta di un monomarca Dallara, ma non darei nulla per scontato oramai sui possibili cambiamenti che questa F1 sarebbe in grado di attuare.

Fortuna ha voluto che quest’articolo sia uscito ventiquattro ore dopo quello del buon Samuele Prosino, che mostra per molti versi una netta contrapposizione rispetto al mio. Ci mancherebbe che non si abbiano idee contrapposte, è sacrosanto e non è nemmeno la prima volta che tra noi dello Staff ci sono pareri differenti. Però Samuele ha esplicato una visione di una Formula 1 che dovrebbe essere “complicata” per lo spettatore ma che non lo è in realtà, oltre che a delle opinioni fornite “dal vivo” da poche persone che sono in netta contrapposizione con i classici pareri leggibili su un forum piuttosto che su Twitter/Facebook.

Dal canto mio posso dirvi che ciò che vedono i miei occhi durante i weekend di gara non è qualcosa di complicato: io capisco perfettamente ciò che sta succedendo in pista e nei turni di prove, tra gomme di colore diverso, parco chiuso, DRS e quant’altro; però io non sto parlando di complessità, ma di bruttezza vera e propria. L’arma vincente è la semplicità (come scritto nella bloggata della rubrica Motorcronico), ma non vuol dire che vedendo una corsa io debba spegnere il cervello a forza e far finta di niente quando vedo un pilota già più veloce di suo col ritmo sverniciare un avversario sul rettifilo grazie al DRS. Non sto mica guardando Pacific Rim, eh!

Riguardo al discorso delle opinioni che si susseguono in rete non mi dilungo molto, ma vorrei farvi ragionare su una cosa: chi usa Internet è di certo un pubblico con un’età media non altissima, e allo stesso tempo si tratta di un pubblico “chiassoso”, che riesce a far sentire maggiormente la propria voce rispetto a quella degli altri. Ma è un pubblico anche molto ingannevole, perché dubito che tra tutte queste persone, tra tutti i commenti pro-Ferrari sputati fuori senza osservare criticamente la gara, non ci siano persone invece capaci e intelligenti, che se dicono che questa Formula 1 non piace non è per seguire una strana e malsana sorta di moda, ma lo fanno perché è davvero così.

Probabilmente il 2018 sarà l’ultima annata che guarderò in toto, un’ultima chance che il campionato ha per redimersi. Gliela devo in fondo, tutti la meritano. E per ciò che la Formula 1 mi ha fatto provare, quest’opportunità è strameritata. Vediamo se riuscirà a sfruttarla bene.

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Un Commento su “Oltrepassare il limite”
Lucifero Regazzoni dice:

La prima questione che mi preme toccare è che il rammarico disfattista contro qualcosa che ci sembra cambiato in peggio, non è necessariamente il modo più realistico con cui vedere le cose.
Molte persone, pur avendo a cuore la F1, ne parlano come un sport decadente e lontano dagli allori del passato (allori diversi in base a quando sei nato). Forse hanno il diritto di sentirsi delusi da come si presenta oggi, e giustamente sono tristi perché le corse che amavamo da bambini appaiono stravolte. Tuttavia questo è un approccio eccessivamente emotivo e sentimentale, a mio avviso sbagliato, con cui leggere l’evoluzione attuale della categoria.
Non sembra nemmeno una critica alla Formula uno, quanto uno slancio contro le cose che cambiano, un’esternazione della difficoltà ad accettare la novità, se questa rompe i nostri schemi o modifica l’aspetto del mondo che siamo abituati a vedere. È il ricatto della nostalgia: un doloroso amore del passato che ci fa odiare il presente.
Tutta la storia della Formula uno è sempre stata caratterizzata dal cambiamento sistematico. Non si è mai trattato di uno sport come il calcio, che ha sempre avuto più o meno sempre le stesse regole e medesime modalità di gioco. Quindi non sono stati certo gli ultimi anni ad “oltrepassare il limite”, semplicemente l’attuale declinazione è diversa da quella che piaceva all’autore dell’articolo. Che, per inciso, è liberissimo di non guardare più i gran premi, spinto da un distacco poco lucido e puramente emotivo. Anche io, del resto, ricordo con struggimento i gelati a forma di Pantera Rosa, gioioso retaggio della mia infanzia…
Tuttavia già al tempo di Schumacher la F1 era qualcosa di molto variabile. Anzi, credo che ai tempi ci siano stati molti più cambiamenti di oggi, tutti con un maggior potere di stravolgimento.
Analizziamo a spanne cosa è successo durante la carriera di Michael: è partito con motori aspirati, evitando la prima era dei turbo. Ha visto l’avvento del cambio al volante. Elettronica sì, poi elettronica no. Gomme slick, gomme più strette, gomme con le scanalature. Campionati con più fornitori di pneumatici, e altri monomarca. Parco chiuso sì, parco chiuso no. Warm up? Motori V12, V10 e V8. Annate in cui ogni scuderia poteva decidere quanti cilindri usare: lui iniziò in Benetton, con motore Ford V8, mentre Ferrari e McLaren usavano un V12. In Ferrari è arrivato col V10, per poi lasciar Maranello con un V8, nel 2006. Telemetria bidirezionale? Traction control? Michael ha iniziato con un sistema di punteggio e finito con un altro. Passando da qualifiche ove ogni pilota aveva un numero di giri, a svariati format, come quello del giro secco, o quello in cui dovevi provare a fare la pole con la monoposto piena di benzina. Muletto sì, muletto no. È partito con due alettoni, uno anteriore e uno posteriore, e ha finito con monoposto dall’aerodinamica complessa, con mille alette e deflettori, alcuni tanto importanti da produrre inchieste e processi sportivi. Pit stop classici, e soste senza cambio gomme o senza rifornimento carburante. Diverse velocità pit lane, in base all’anno o alla pista. Abolizione test? Ordini di scuderia? Svariato numero di motori disponibili a seconda delle regole stagionali. E, nel 2011, DRS, ebbene sì, ha tastato con mano anche questo.
Ora, onestamente, se mi metto a riflettere a tutto ciò che è cambiato ed e è stato stravolto nella carriera del mio beniamino Schumi, se penso a tutti i ribaltamenti regolamentari che ha vissuto solo lui, senza guardare alla F1 prima di Michael o a quella dopo, allora, davvero, non ce la faccio a crogiolarmi in un’ipocrita delusione antimodernista, in cui sentirmi indignato da quello che il mio sport preferito è diventato. Come se mi avessero rotto un giochino durato decenni, quando in verità ho sempre giocato con un nuovo giocattolo ogni anno…
La verità è che la Formula 1 ha sempre avuto declinazioni diverse. E quelle che ho vissuto amando alla follia questo sport al tempo di Schumacher, non si nobilitano solo perché quello era il momento più glorioso per me. Anche al tempo c’erano cose che odiavo, eppure erano i miei tempi d’oro, quindi ho mandato giù tutto, digerendo. Adesso uno può anche far fatica nella digestione del presente, un po’ fatico anch’io, lo ammetto. Ma siamo sicuri che la colpa sia della F1?

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