Nozze d’argento

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Tempo di lettura: 6 minuti
di Alessandro Secchi @alexsecchi83
12 Dicembre 2016 - 18:30
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Cara Formula 1, tu non lo sai ma nel 2017 ricorrerà il 25° anniversario del nostro rapporto. Non che te ne possa importare molto: di questo, sia chiaro, ne sono assolutamente conscio. D’altronde, la tua particolare poligamia investe milioni di persone in tutto il globo, molte delle quali hanno memorie che risalgono a tempi ben più lontani della mia nascita, quando ancora i colori delle vetture dovevi inventarteli, che il bianco e nero appiattivano tutto.

Venticinque anni, comunque, sono tanti. Almeno, lo sono per me. Tre quarti dell’intera vita. Se penso a com’ero, chi ero e cosa mi aspettavo dal futuro quando le tue prime immagini iniziavano a salvarsi nel mio piccolo hard disk interno (o forse, visti i tempi, dovrei chiamare in causa i floppy da 3.5″), mi è chiaro che di tempo ne è passato davvero tanto. Erano anni in cui la spensieratezza la faceva da padrone, nonostante comunque abbia dovuto imparare in anticipo a formarmi un po’ di carattere. Con le macchinine giocavo da tempo, con i videogiochi anche. Tra computer e consolle erano già anni che mi dilettavo: ho imparato a scrivere con la tastiera prima che con la penna. I primi ricordi indelebili sono del 1992: i baffoni di Mansell, il casco giallo di Ayrton, il volo di Patrese all’Estoril, un tedesco di nome Schumacher che vince la sua prima gara a Spa. Appena scoperto il gioco per il Megadrive su Ayrton, in due settimane conoscevo tutte le piste a memoria. Che poi, bastava andare sempre dritti e il giro si faceva senza problemi. Dettagli.

Nel mio immaginario pensavo che le monoposto fossero grandissime: non avevo il senso delle proporzioni, credevo fossero soprattutto alte. Forse, ero ancora troppo piccolo io. Vedevo i piloti come degli eroi inavvicinabili. Io ero un bambino e loro erano adulti, avevano più o meno l’età di mio papà. Erano pazzi, invincibili. Almeno credevo fosse così, fino alla maledetta Imola. La morte in diretta, in faccia, al sabato prima e alla domenica poi. Avevo 11 anni: tremo ancora a pensarci. Credevo che quel weekend mi avrebbe allontanato subito da uno sport che mi aveva già assorbito i pensieri. Già disegnavo la Ferrari, la Williams, la Mclaren e la Benetton sugli A4 della Fabriano. Nessun allontanamento, anzi. Quel weekend così paradossale mi fece capire che quella era la mia passione, che chi rischiava la vita per vincere meritava rispetto.

E così, di gara in gara, di anno in anno, sei stata compagna fedele. Come portavoce, legato a doppio filo, per tanti anni mi hai consegnato Michael. Lui ma anche Mika, David, Jacques, Damon, Eddie, e poi Juan Pablo, Jenson, Felipe, Fernando, Kimi e tutti gli altri che si sono susseguiti al volante di una monoposto. In 25 anni, su oltre 400 gare, credo di averne saltate un paio. Per il resto, non mi sono perso un singolo attimo. Non sono mai stato un tipo da accessi: anzi, ripensando all’adolescenza sono stato forse diverso dai miei coetanei, meno incline a fare il casinaro. Mai provata una sigaretta, mai andato in discoteca: ho sempre creduto che quello sia un posto per ballare. Ed io non sono capace di ballare. Ho sempre preferito cuffie e musica spaparanzato sul divano: oppure, ai tempi, fare un salto a Radio Deejay a vedere live il Deejay Time di Albertino.

Nella mia giovane, tranquilla età, mi sono dedicato quindi alle cose che mi appagavano e mi interessavano. Tra queste, c’eri tu, cara la mia Formula 1. Ora, rileggendo potrei passare per uno sfigatissimo nerd, ma in realtà non era proprio così. Giocavo a calcio e passavo pomeriggi interi in bicicletta a respirare lo smog più chic d’Italia, sulla circonvallazione di Milano. Crescendo, man mano, ho iniziato a vedere i piloti con un occhio diverso. Più passavano gli anni più la mia età si avvicinava a quella di chi esordiva: ed io pensavo “cavolo, io sono qui alla TV, passo ore a giocare a GP2 mentre loro in pista ci vanno veramente”. Mi sembrava un mondo parallelo, quello dei miei coetanei che correvano in F1 mentre io, al massimo, prendevo in discesa i 70 all’ora con il cinquantino.

Il primo ritiro di Schumi mi ha mandato in crisi, ma ho continuato a seguirti perché le radici erano, dopo 14 anni, ben piantate. Ho fatto bene, perché mi hai accompagnato per altre dieci lunghe stagioni… sempre più lunghe a dire il vero. Anche troppo. Guardarti e basta, ad un certo punto, è diventato limitante. La fortuna di essere vicino a Monza mi ha portato finalmente ad ascoltarti, e che suono meraviglioso, quello dei motori che ancora strillavano. Mica come adesso. E poi, un giorno ho voluto provare a scrivere di te e così ho scoperto, o meglio dato sfogo, all’altra mia grande passione, ovvero quella per la scrittura. Che mi ha portato, quest’anno, l’enorme soddisfazione di pubblicare il libro su Michael e che ogni giorno, da quattro anni, mi porta qui, a questo editor che riempie un sito a te dedicato, realizzato grazie alle cose da nerd (o sfigato, vedi te) che ho imparato sin da piccolo. Nel frattempo, mentre da te passavano piloti, piste, gare fantastiche e tentativi di distruggerti, mi sono sposato con una persona meravigliosa. La sua prima immagine di me è con il casco in testa. Sembra quasi uno scherzo. 

Sono passati 24 anni ed ora, a quasi 34, i più giovani piloti che arrivano in F1 si avvicinano sempre più a quella differenza di età che, se un tempo li poteva vedere tutti dei miei potenziali padri, ora potrebbe farli sembrare miei figli. Se ci penso, mi rendo conto di quanto sia cambiato tutto. Io, loro, la F1 stessa. Le monoposto sono molto più sicure e facili da guidare. Facili per loro, che lo fanno di mestiere. Non certo per me o tutti quei fenomeni che credono di poterci salire ed andare senza problemi. A proposito: poi, col tempo, le misure vere le ho viste, e su una tua parente minore… molto… un giretto ce l’ho fatto. Che meraviglia infilarsi in abitacolo, col sedere per terra, sdraiato esattamente come quando mi metto a dormire sulla penisola del divano sognando di essere invece al volante. Tornassi indietro… 

In tutto questo tempo ho assistito a qualsiasi tipo di gara: fantastica, nauseante, emozionante, da picchiare la testa al muro, da incrociare le dita per qualcuno, da rimanere a bocca aperta per spavento o incredulità. Ti ho criticata tanto negli ultimi anni: non è colpa tua, ma di chi vuole cambiarti identità, e questo non lo perdonerò mai.

Nonostante tutto, però, resti sempre tu: le radici sono quelle, i ricordi anche, il filo continua ad intrecciarsi. L’anno prossimo sono 25: auguri a te, a me, a chiunque, a modo suo, ti vive nello stesso modo.

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Un Commento su “Nozze d’argento”
Boscagoo dice:

Bell’articolo, complimenti! 🙂

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