Nel nome di MICK Schumacher

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di Alessandro Secchi @alexsecchi83
13 Ottobre 2018 - 22:49
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“Per ora, mi tengo l’emozione. Se arriveranno un giorno anche i risultati sarà tanto di guadagnato e sarà ancora meglio.”

Scrivevo così quasi tre anni fa dopo aver visto in azione, per la prima volta dal vivo, Mick in monoposto. Era il 12 novembre 2015 a Monza, durante una sessione di test F4, la prima per lui con il team Prema. La foto è di quel giorno, quando mi arrivò una soffiata: “Mick sta girando a Monza”. Reflex, scooter, volata e via.

Oggi un risultato è arrivato, perché Mick è diventato campione europeo di Formula 3. È necessario ribadire europeo, visto che si sprecano i “campione del mondo” da parte di chi ha un cognome da scrivere ma, occupandosi probabilmente solo di altro, non sa nulla di tutto il resto. Storia vecchia ma sempre fastidiosa.

Ho, abbiamo seguito questo ragazzo negli anni tra streaming e pista, quando possibile, senza scriverne nulla. Nel libro ho espresso i dubbi per una carriera che sarà sempre e comunque in salita, indipendentemente dai risultati che Mick otterrà. La voglia di emergere l’ha sempre avuta: nel 2016 si è smazzato due campionati F4 in contemporanea, tedesco ed italiano, per un totale di oltre 40 gare in una sola stagione, con il secondo posto finale sia da una parte che dall’altra. Poi il passaggio in F3: un primo anno difficile con diciotto arrivi a punti in trenta gare ed un solo podio. Il 2018 partito con altri arrivi in top ten e due podi nella prima metà di stagione, poi la virata. Da Spa in poi una cavalcata verso il titolo, giunto oggi ad Hockenheim. 

Così come successo tre anni fa, anche oggi ho sentito la carta d’identità invecchiare nel vederlo conquistare il suo primo campionato; non credo valga solo per me ma per chiunque abbia memoria per almeno vent’anni, inutile ricordarne i motivi. È il primo grande traguardo della sua carriera, dal quale derivano onori ed oneri. Una felicità immensa, la realizzazione di un primo obiettivo importante, ma la prima cosa che ho pensato quando ha tagliato il traguardo di Gara 2 oggi pomeriggio, diventando così campione, è stata “Ragazzo, da adesso la vita si fa dura”. Perché cerco sempre di guardare avanti e se penso al futuro prossimo di Mick non potrà che essere così. Il prossimo step sarà presumibilmente quello della Formula 2, il che significa condividere gli stessi tracciati della Formula 1, iniziare a respirarne l’ambiente e, soprattutto, diventare ben più visibile di quanto non sia stato fino ad ora.

Non sarà più il tempo di correre con un cognome “leva pressione” o in categorie che conoscono e seguono in pochi ma di iniziare a vivere l’atmosfera finale, quella nei piani sin dagli inizi. Questo è comunque il meno: perché il vero problema sarà quello di confrontarsi col mondo circostante, fatto di gente che ha vissuto e respirato Michael per due decenni e si troverà di fronte l’erede naturale, quello di sangue. Gente che sarà prontissima a catturare ogni espressione, camminata, sorriso per analizzare i tratti somatici, le somiglianze. Gente che aspetterà il primo lungo, la prima toccata a muro, il primo risultato negativo per partire con le ramanzine sul “figlio di”

Non avrà pace, Mick. Come non l’ha avuta Bruno Senna, che per tre stagioni è stato letteralmente bersagliato da scherni e denigrazioni vergognose per un paragone con lo zio che sarebbe difficile da affrontare non solo per lui, ma per il 98% almeno dei piloti professionisti presenti e passati. Non avrà pace perché potrà vincere quanto vorrà, glielo auguro, ma l’asticella di riferimento sarà sempre e comunque quella là e non basterebbe nemmeno la metà di quanto fatto dal papà per non sentirsi dire “non vale quanto lui”.

Insomma, Mick nello scegliere di essere pilota professionista ha incluse nel “contratto” tutta una serie di complicazioni che non molto hanno a che fare con il volante e due pedali, quanto con cognomi e paragoni. E, sebbene il cognome stesso possa aiutare nella crescita, si arriva ad un punto nel quale da sostegno può diventare incubo, zavorra. Bene ha lavorato chi, fino ad ora, l’ha protetto dai media. Ora, però, il gioco si fa duro, durissimo. Se il futuro si chiamerà F2 e Mick avrà la capacità per emergere, sarà merito suo più che dell’eredità. Perché il papà, 25 anni fa, aveva tutto da guadagnare. Lui, “il figlio di”, per molti avrà solo tutto da perdere. 

È come partire dalla pitlane, tutte le volte. Se ce la farà, sarà solo e soltanto nel suo nome.

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