NASCAR | Hamlin vince la Daytona500 per sé e per JD Gibbs!

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Tempo di lettura: 16 minuti
di Gabriele Dri @NascarLiveITA
18 Febbraio 2019 - 11:45
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La 61esima edizione della Daytona500 è stata segnata da tre fasi e da tre emozioni distinte che l’hanno resa una delle migliori gare disputate sull’ovale della Florida negli ultimi anni. Il prima è stato contraddistinto dal pessimismo cosmico derivato da come si erano svolti in settimana “The Clash” e i Duel, segnati da una lunga processione in fila indiana, il durante invece dallo spettacolo assoluto durato per gran parte della gara, escluso il solito finale ricco di incidenti quando si accende la miccia, e che ha smentito ogni peggiore previsione della vigilia, e infine il dopo, quando Denny Hamlin ha tagliato il traguardo da vincitore e il ricordo di JD Gibbs, figlio di Joe, scomparso lo scorso mese a soli 49 anni per una malattia neurodegenerativa, e mentore dello stesso Hamlin al suo debutto nel team ormai quasi 15 anni fa, ha preso il cuore di tutti.

La gara

Come detto, la vigilia è carica di pessimismo. “The Clash”, i Duel e infine la gara della Xfinity Series non hanno regalato grande spettacolo e il grande protagonista è stato il gruppo in fila indiana con nessun volontario a prendersi rischi uscendo dalla scia perché il gioco non vale la candela. Sembra quasi che la Nascar si stia giocando ancora una volta la reputazione e il nuovo pacchetto aerodinamico deve ancora debuttare.

In un clima grigio (stavolta solo d’umore perché a Daytona è tornato il sole) prende il via la gara con Byron dalla pole position affiancato da Bowman. Ma bastano i primi giri per smentire anche i peggiori gufi: il gruppo viaggia a lungo 2-wide, i rimescolamenti in vetta alla classifica sono continui e non si capisce quale corsia prevalga. Dall’interno però arrivano i successivi due leader della gara. Stenhouse passa in vetta al 3° giro e al 7° gli succede Matt DiBenedetto, grande protagonista della gara tant’è che alla fine sarà il pilota con più giri in testa.

Il gruppo viaggia compatto, gli unici che si sono staccati sono i compagni di squadra McLeod e Ware (ma li ritroveremo più tardi), e dunque l’11° giro diventa un bellissimo momento per ricordare JD Gibbs dato che quello era il suo numero preferito. Nel plotone però pian piano si stanno riorganizzando le Ford dato che sia Bowman che Byron hanno perso le prime posizioni; al 16° giro i piloti dell’ovale blu passano DiBenedetto ma immediatamente dopo si fermano compatte ai box. Cinque giri più tardi, prima del completamento del giro di soste, esplode l’anteriore sinistra di LaJoie, che ha sul cofano la sua faccia – idea del suo sponsor – e così Matt e gli altri si devono fermare ora perdendo molte posizioni lasciando la vetta a Stenhouse.

Alla ripartenza si forma effettivamente la fila indiana, ma dura ben poco; ad organizzarsi stavolta sono le Toyota e la rimonta riesce dato che Kyle Busch in 12 giri passa da 31° a primo. In questa corsia che si è creata ci sono le vetture di JGR e team Hendrick e man mano che il tempo passa è chiaro che è nata una “santa alleanza” tra le squadre principali di Toyota e Chevy con l’obiettivo di battere lo squadrone Ford. La collaborazione funziona talmente bene che parte una fuga a sette con Ky.Busch, Hamlin, Bowman, Jones, Byron, Elliott e Johnson; Blaney prova a ricucire il piccolo gap, ma il problema è che dietro di lui per una decina di giri ci sono Kurt Busch e Stenhouse che hanno deciso di farsi più le scaramucce reciproche che pensare a guidare dritti, rallentando così gli inseguitori.

E – a forza di dispetti – al giro 51 Kurt Busch chiude un po’ troppo la porta in curva 1 a Stenhouse, il quale toglie l’aria dallo spoiler della Chevy #1 (o lo tocca leggermente, nemmeno dalla moviola lo si capisce) mandandolo in testacoda; nel parapiglia che ne consegue Reddick tampona Wallace e da questo nascerà anche una breve discussione su Twitter. A 10 giri dalla fine della stage non tutti si fermano ai box (ad esempio i sette di prima rimangono in pista) e dunque Kyle Busch guida la ripartenza fino al traguardo intermedio, ma i grandi protagonisti di questa fase sono Logano e Suarez che, in quanti compagni di marca adesso, collaborano e recuperano moltissime posizioni fino a rientrare nella top5.

I leader ora devono per forza rientrare ai box (ed Hamlin vivrà per tutta la stage problemi al sistema di rifornimento) e dunque Logano prende la testa della gara ma appena si apre la finestra per la sosta, così come prima, le Ford ne approfittano e vanno in gruppo in pit lane; Logano è protagonista di un pit stop non eccezionale – non sarà l’unico della gara e questo condizionerà molto la sua posizione in pista – e Suarez è virtualmente leader, ma lo sarà per poco.

DiBenedetto torna così in testa alla gara e, dopo che la maggior parte del gruppo si è fermata ai box, in sei della santa alleanza decidono di seguire la strategia opposta (dividere la stage da 60 giri in due stint da 50+10 anziché da 10+50 come le Ford). Così Matt, seguito da Ky.Busch, Bowman, Byron, Jones ed Elliott, non solo proseguono, ma guadagnano anche sulle Ford! Il loro vantaggio passa da 35″ a 45″, tant’è che raggiungono in fretta la coda del gruppo, finendo però così nel traffico e rischiando molto. Ed è proprio in questo plotone confuso composto da leader, gruppo che sta per essere doppiato e piloti già staccati, Kligerman cambia corsia senza accorgersi che sta arrivando Mears molto più veloce e il contatto manda Casey in testacoda per un’altra caution.

Il tentativo dei sei di “eliminare” quanti più piloti possibile è lodevole, ma alla fine nessuno dei big finisce nella trappola e quasi tutti ne approfittano per un’altra sosta. Non si fermano solo in quattro (Blaney, Keselowski, Preece e Larson) e nei nove giri che mancano alla fine della stage nessuno è in grado di passare il pilota della Ford #12.

Dopo le ulteriori soste, alla partenza della stage finale, a 75 giri dal traguardo in testa c’è Byron e per la prima volta è in quella posizione a suo agio dato che non è stato messo lì da una strategia azzardata come nella sua stagione da rookie, ma perché lo ha meritato ed è stato guidato bene da un crew chief esperto come Chad Knaus. Il gruppo intanto alterna fasi di fila indiana e 2-wide con protagonisti Byron e Johnson e Harvick, che finora si è fatto vedere poco, dietro di loro che cerca di tenere separati i due compagni di squadra. La tensione comincia a salire in vista delle soste e Knaus è il primo a rompere l’alleanza, dato che dice a Byron di fermarsi con le Ford. E quando il gruppo viaggia in fila indiana pronto per andare ai box, Logano dal nulla riapre la corsia esterna e ciò fa cambiare al volo le decisioni strategiche.

Alla fine a 42 giri dalla fine i leader entrano in pit lane, ma poco più dietro Ware non si accorge del rallentamento di McDowell e Reddick e manda in testacoda il compagno di squadra McLeod e poi travolge Reddick che a sua volta finisce contro Johnson distruggendo il suo retrotreno e toccando pure Stenhouse. La miccia per il gran finale è stata accesa e da qui in poi gli incidenti non mancheranno.

A passare al comando – nonostante il muso ammaccato nell’incidente di Kurt Busch – è così Jamie McMurray, che si era appena fermato ai box ed è in testa alla sua (probabile) ultima Daytona500, se non gara finale in Cup Series. Dai box e dalla moltitudine di strategie diverse però sono usciti davanti Kyle Busch e Denny Hamlin cambiando 2 e 0 gomme: sarà la mossa decisiva, ma lo si scoprirà solo due ore più tardi.

Alla ripartenza a 34 giri dalla fine c’è un 3-wide ancora prima della linea del traguardo ma Elliott, a differenza di Gragson il giorno prima, non viene penalizzato perché – pare – è stato forzato all’ultimo ad uscire dalla fila, ma i dubbi restano per cinque minuti, poi l’attenzione torna sulla competizione ed Hamlin sorpassa il compagno di squadra Busch. Le Ford provano a riorganizzarsi e Bowman tenta il sorpasso a Denny ma non riesce e così in terza posizione si porta Jones, tuttavia la green dura poco e arriva una caution per detriti.

Ormai chi è in testa non si ferma più ai box per non cedere la posizione, mentre chi è nelle retrovie, come Logano e Preece, ne approfitta. Alla ripartenza le posizioni sono immutate, però Jones rimane senza pressione della benzina e rientra lentamente ai box; sembra la fine della sua gara, ma non è così dato che poco dopo Larson fora in curva 3 per un’altra caution ed Erik, dopo un rapido intervento dei meccanici, perde solo un giro. Rientra in corsa anche Logano, dato che in appena tre giri – fortunato per non essere nella corsia rallentata all’improvviso da Jones – passa da 27° a 10°.

Si riparte ai -16 con la strategia JGR (Hamlin che parte all’esterno e Kyle Busch che alza il piede per permettere a Denny di mettersi davanti e mantenere le due vetture in prima e seconda posizione) in vigore, ma passano tre giri e a forare stavolta a forare è Keselowski che in pratica mette fine così ad un altro febbraio orribile e deve rinviare di un anno il sogno di vincere per la prima volta la Daytona500.

10 giri alla fine e ancora una volta l’accordo funziona per i primi metri, ma poi ovviamente entrano in gioco anche gli altri piloti che non stanno a guardare. DiBenedetto guida la corsia esterna e lancia l’attacco ad Hamlin che è costretto al blocco di cui ne approfitta all’interno Kyle Busch che lo passa all’interno. Intanto Menard continua a spingere Matt fino all’ingresso in curva3, dove DiBenedetto è ovviamente costretto a modificare la traiettoria, la spinta non è più centrata sul paraurti e la #95 finisce in testacoda creando così il temuto big one che Logano e soprattutto Preece evitano per un pelo. La bandiera rossa serve per fare il conto delle vittime (21 auto) e dei superstiti (poco più di una dozzina) e riordinare le idee.

Si riparte a sei giri dalla fine stavolta con Kyle Busch in testa; il pilota della #18 non vince in Cup Series su uno superspeedway dal 2008 (quando vinse in primavera a Talladega e a luglio a Daytona) e dall’incidente del 2015 in cui si ruppe una gamba non è più stato lo stesso qui. L’unica occasione in cui è stato competitivo era la Daytona500 del 2016, quando giunse terzo dietro a Hamlin e Truex. Alla bandiera verde l’accordo in JGR prosegue e la #18 si mette davanti alla #11 ma non si riesce neanche a completare un giro dato che Larson non si accorge che Stenhouse si è infilato fra lui e Harvick e arriva un altro incidente che mette ko lo stesso Kevin.

Ci si riprova a due giri dalla fine, ma a questo punto prevalgono le ragioni personali e l’accordo termina. I dubbi di Busch sono tanti: mettersi davanti a Logano, ottimo “spingitore”, ma poi venire fregati da Joey, oppure usare McDowell sapendo che la spinta non sarà dello stesso livello; alla fine Kyle sceglie per la seconda opzione che non si rivela buona dato che a metà del rettilineo opposto Hamlin gli ha rimesso il muso davanti appena prima del secondo big one della serata che manda tutti all’overtime. In questa occasione il colpevole è Bowyer che si sposta sulla destra quando ha McDowell sul paraurti; da notare anche il secondo momento da “Giorni di Tuono” di Ryan Preece.

Alla ripartenza la classifica vede Hamlin davanti a Kyle Busch, Logano, McDowell, Preece, T.Dillon, Jones, Larson, Bowman e – incredibilmente – Johnson. Dopo un’altra lunga bandiera rossa, finalmente si può ripartire e Hamlin, come prima Busch, si mette davanti a McDowell ma solo perché dai box hanno imposto di nuovo l’accordo al restart. E così Denny si mette tranquillamente davanti a Kyle, e solo dopo potranno duellare. Il penultimo giro passa tranquillo, poi alla bandiera bianca Logano con la collaborazione di Preece attacca e sorpassa Busch e sul rettilineo opposto ha nel mirino Hamlin. Qui il gruppo si disunisce: Preece deve bloccare Jones e quindi Busch ritorna sul paraurti di Logano che sta cercando il varco per sorpassare Denny. La #18 e la #22 sono affiancate in curva 3 e dietro di loro McDowell sceglie di seguire Busch e non il compagno di marca, mossa che infastidirà molto Logano. Per Joey le possibilità di vincere finiscono qua – non solo per questo – e così Hamlin può viaggiare tranquillamente verso la bandiera a scacchi.

Come detto è un trionfo (il secondo a Daytona dopo quello al photofinish del 2016) emozionante per Denny Hamlin. Perché è la prima gara dopo la scomparsa di JD Gibbs, un uomo di cui il paddock ha sempre detto delle bellissime parole, scomparso troppo presto (lasciando tra l’altro moglie e quattro figli) lo scorso mese. Il #11 era quello preferito da JD e per questo Denny quando debuttò in Cup Series nel 2005, grazie proprio a lui, scelse in pista quel numero, lo stesso che ha portato in victory lane. Ma non è finita qui, perché dietro alla #11 ci sono la #18 di Kyle Busch e la #20 di Erik Jones per il primo 1-2-3 in Cup Series del Joe Gibbs Racing, fatto che emoziona ulteriormente l’ex allenatore dei Washington Redskins. Gli altri accettano così a cuor più leggero la sconfitta: Logano è quarto davanti a McDowell, completano la top10 Ty Dillon, Larson (coinvolto in tre caution in appena 25 giri), l’ottimo debuttante Preece, Johnson (nonostante sia senza mezzo paraurti) e Chastain, che da unico iscritto a tutte e tre le gare riesce pure a completarle indenne (10°, 13° e 3° per 431 giri complessivi su 431).

Doveva essere un disastro annunciato, invece è stata una bellissima Daytona500, una delle migliori degli ultimi anni nonostante il solito finale pieno di incidenti. Speriamo che sia un indizio di come andrà il 2019, stagione iniziata con le stesse premesse nefaste riguardo il nuovo pacchetto aerodinamico che debutterà (parzialmente) domenica prossima ad Atlanta.

Le altre categorie

Nelle due categorie minori due prime volte di due piloti che erano accusati unicamente di essere portatori di dollari freschi per i team.

Xfinity Series

Nella Xfinity Series prima vittoria in carriera per Michael Annett, negli anni scorsi accusato di essere solo un pilota pagante per il team di Dale Jr. e di non ottenere risultati decenti (con una vettura da titolo l’anno scorso non si era addirittura qualificato ai playoff). La gara è riassumibile come una lunga processione in fila indiana in cui solo in occasione delle ripartenze c’è stato un po’ di movimento. Dopo la pole conquistata da Reddick, il campione in carica, ma subito ceduta a Jeffrey Earnhardt per una foratura lenta in qualifica, il nipote d’arte ha condotto tutta la prima stage fino all’ultima curva quando l’attacco coordinato dei compagni di squadra Haley e Chastain ha permesso al primo di vincere il traguardo intermedio.

Nella seconda stage, dopo un po’ di rimescolamento in vetta fra Bell, Earnhardt, Cindric e Brandon Jones, alla fine il comando lo prende Chastain e lo mantiene fino al break. Due le caution nella stage finale, la prima per il roof flap della vettura di Keselowski che vola via, e che ancora una volta manda a secco Brad a Daytona, e la seconda per il solito Ray Black Jr., mandato in testacoda da J.Earnhardt. Dopo i pit stop (e le penalità a Cindric in pit lane e per Gragson per una ripartenza 3-wide), a prendere il comando dopo l’ultima sosta a 45 giri dalla fine è Annett seguito dal compagno di squadra Allgaier. Alla bandiera verde si forma un gruppo in fila indiana di 16 vetture in cui succede ben poco; Elliott ci prova come sempre ma nessuno lo assiste e i risultati sono ben pochi. Ci provano dal fondo della fila anche Reddick, Bell e Gragson ma non succede nulla fino all’ultimo giro. Sul rettilineo opposto Allgaier ci prova una volta, ma Annett si difende bene e le emozioni non hanno neanche il tempo di nascere. Michael vince e ottiene il primo posto ai playoff davanti a Allgaier, B.Jones, Sieg e Cindric.

Truck Series

Nella gara della Truck Series, al termine di un demolition derby infinito, prima vittoria in carriera per Austin Hill, il quale alla prima occasione utile mette a tacere le voci che lo descrivevano unicamente come pilota pagante scelto dall’Hattori Racing per i suoi soldi al posto del campione in carica Brett Moffitt. Bastano i numeri per descrivere questa gara: soltanto nove i piloti giunti al traguardo (sui 32 al via), nove incidenti, due big one, due overtime e ben 2h40′ per completare le teoriche 250 miglia (alla fine saranno 277.5, la gara più lunga della storia della Truck Series).

Che sia una gara movimentata lo si capisce sin dal via, quando qualcuno perde pezzi in pista e le forature sono ben tre, due per i compagni di squadra David Gilliland e Natalie Decker (la cui vettura prende pure fuoco); la prima stage procede poi tranquillamente con Sheldon Creed che conquista i primi punti stagionali. Nella seconda stage, escluso un incidente nelle retrovie, si viaggia tranquilli; nel finale Todd Gilliland prende un discreto margine, anche troppo dato che in curva 4 viene ripreso dal gruppo che lo sorpassa a velocità doppia, scivolando in una decina di secondi dal primo all’ottavo posto e lasciando i 10 punti a Sauter.

All’inizio della stage finale arriva subito il big one: in curva 4 Jordan Anderson, per una foratura o per una spanciata, si allarga leggermente e quando subito dopo torna in linea trova lì già Creed e le vittime eccellenti sono Moffitt, Sauter e Snider. Con un gruppo sfoltito e dalla classifica rivoluzionata le emozioni sono dunque solo all’inizio: prima Eckes va a fuoco (pure lui) come conseguenza del big one, poi Roper va a muro da terzo, segue poi il sempre troppo esuberante Todd Gilliland che manda a muro il compagno di squadra Burton (entrambi protagonisti di una gara sull’altalena) e infine c’è il contatto fra Greenfield e Peters.

In tutti questi giri si sono alternati in testa Hill e Ben Rhodes e il duello prosegue anche nel finale, quando il blocco deciso di Ben su Austin rallenta il gruppo e nella confusione che ne segue avviene il secondo big one che manda tutti all’overtime. Al primo tentativo Gerhart finisce a muro con Friesen e rimangono in corsa – appunto – sole nove vetture. Alla ripartenza Crafton (che ha evitato miracolosamente il big one) non riceve la spinta necessaria e così riemerge all’improvviso il suo compagno di squadra Enfinger (che aveva perso due giri nel primo big one), ma Hill, nonostante i timori di rimanere a secco, vince la gara di apertura più che meritatamente, conquistando molto probabilmente anche un posto ai playoff. Da notare anche l’ottavo posto di Angela Ruch, la seconda top10 di una donna nella storia della categoria (dopo Jennifer Jo Cobb, sesta qui a Daytona nel 2011, beffando così la ben più talentuosa Natalie Decker).

I risultati odierni

La classifica della Daytona500

La classifica generale

Così in campionato dopo 1 gara

I prossimi appuntamenti

Nel prossimo weekend la Nascar sarà ad Atlanta. Sabato correranno prima i Truck e poi la Xfinity Series e domenica la Cup Series.

Immagine: GettyImages per nascar.com

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