1992 Hooters 500: one for the ages [Parte 3]

NASCARStoria
Tempo di lettura: 10 minuti
di Gabriele Dri @NascarLiveITA
23 Dicembre 2017 - 14:00
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Alan Kulwicki ha vinto il titolo della Cup Series del 1992 battendo mostri sacri come Bill Elliott e Davey Allison. Nel 1993 Mark Martin, Harry Gant e Kyle Petty vorranno mantenersi ad alti livelli, mentre cercheranno la rivincita Dale Earnhardt, che in effetti comincerà la stagione alla grande, Rusty Wallace e Darrell Waltrip. Il 1993 sarà anche la prima stagione senza Richard Petty che, dopo la gara di Atlanta, si è ritirato dopo una carriera leggendaria durata più di 30 anni. Ma, come detto nella chiusura della seconda parte, non sarà una stagione felice.

1993: la fine di un’epoca

No, non era un pesce d’aprile di dubbio gusto né un brutto scherzo, era la realtà: Alan Kulwicki era morto in un incidente aereo. Il 1° aprile del 1993, appena quattro mesi dopo la conquista del titolo, il piccolo aeroplano che trasportava Alan e tre dirigenti della Hooters si schiantò di ritorno da una apparizione pubblicitaria. A Bristol la notizia si sparse velocemente e la tristezza scese sullo short track del Tennessee. A onorarne la memoria ci pensò Rusty Wallace che festeggiò la vittoria alla maniera di Alan.

La triste stagione purtroppo non era finita. Il 12 luglio Davey Allison si recò a Talladega per seguire un test del figlio del pilota Neil Bonnett. In fase di atterraggio l’elicottero pilotato da Allison si schiantò al suolo e Davey riportò ferite alla testa molto gravi; morì il giorno seguente in ospedale. Incidentalmente Neil Bonnett, che già aveva avuto un gravissimo incidente nel 1990 e che provò a salvare Allison dal relitto dell’elicottero, morì nelle libere della Daytona500 del 1994 in una delle ultime chance che gli erano state fornite per tornare dietro ad un volante.

In pochi mesi due talenti se ne erano andati in circostanze tragiche fuori dai circuiti, ma un’intera epoca stava per finire. I piccoli team singoli che avevano segnato gli anni ’80 pian piano divennero organizzazioni sempre più grandi, professionali ed esigenti dal punto di vista economico. Alan Kulwicki era una mosca bianca e il suo team privato personale non sopravvisse senza il suo fondatore e pilota. I team più organizzati cominciarono ad assorbire le altre squadre e si ingrandirono fino a iscrivere, come il Roush Fenway negli anni 2000, addirittura cinque vetture per il campionato. Tra l’altro, a 25 anni da quella gara, l’unica vettura restata immutata è proprio la #6 del team Roush, allora in mano a Mark Martin ed ora a Trevor Bayne.

A segnare la fine di un’era, nel giugno del 1992 era mancato anche Bill France, colui che nel 1948 fondò la Nascar e costruì l’ovale di Daytona. Morì in una domenica in cui la sua creazione era in pista a Sonoma e quel giorno vinse Ernie Irvan. Suo figlio Bill France Jr., che ereditò il comando negli anni ’80, morì 15 anni dopo anche lui in un giorno di gara; a Dover era lunedì e nella corsa rinviata il giorno prima per pioggia ci fu la prima vittoria in Cup Series di Martin Truex Jr., l’attuale campione in carica.

La sorte degli altri protagonisti di quel giorno

Come in un film corale hollywoodiano, nei titoli di coda è sempre bello vedere cosa ne fu in seguito degli altri attori, protagonisti e non:

Bill Elliott non vincerà un altro titolo dopo quello conquistato nel 1988. L’apice della sua carriera era alle spalle, ma si toglierà ancora qualche soddisfazione come la vittoria alla Brickyard400 nel 2002. Chiuderà la carriera nel 2012 con 44 vittorie ed un posto nella Hall of Fame, ma soprattutto 3 anni dopo quella gara ad Atlanta nascerà un figlio che si chiama William come lui, ma che passerà alla storia con il nome di Chase Elliott. Il ragazzo deve ancora vincere in Cup Series, ma come suo padre è destinato a diventare il pilota più popolare della categoria.

Kyle Petty alla gara successiva a quella di Atlanta, ovvero la Daytona500 del 1993, partì dalla pole. Quella stagione fu anch’essa ad alto livello e si concluse con lo stesso risultato del 1992, ovvero il 5° posto, ma anche per lui furono le ultime gioie di una carriera che durò a lungo fino al 2008. Per Kyle purtroppo gli anni successivi non furono semplici, dato che nel 2000 il figlio Adam morì provando una vettura della Busch Series in New Hampshire. Ora è uno schietto e rispettato commentatore per la NBC.

Harry Gant, nonostante i buoni risultati a metà anni ’80, si scoprì un campione solo nel 1991, quando a 51 anni fece cappotto a settembre vincendo 4 gare della Cup Series e 2 della Busch. Per “Mr. September”, come divenne noto a tutti, quella in Michigan del 1992 fu l’ultima vittoria in carriera e si ritirò a fine 1994.

Mark Martin era sulla cresta dell’onda. Nonostante avesse perso molti anni a inizio carriera per la mancanza di fondi, sembrava destinato a vincere e anche tanto. E invece, malgrado 40 vittorie parziali, Martin sarà l’eterno secondo della storia della Cup Series, dati i ben cinque titoli di vicecampione, l’ultimo nel 2009 a quasi 20 anni dal primo. Per lui la carriera si è conclusa nel 2013 come sostituto dell’infortunato Tony Stewart ed ora è già nella Hall of Fame.

Richard Petty non tornò mai sui suoi passi e si ritirò alla fine del 1992 da unico sette volte campione e detentore del record di 200 vittorie. Tornò in macchina in una competizione solo una volta, ma l’occasione era troppo ghiotta: ad aprile del 1993 fu annunciato che dal 1994 per la prima volta la Nascar avrebbe gareggiato a Indianapolis. “The King” non si lasciò scappare l’occasione e nel primo test ufficiale dell’agosto 1993 scese in pista per un gesto simbolico. Dopo quattro giri tornò ai box e donò quella vettura storica al museo del circuito. Come suo sostituto fu scelto Rick Wilson. “Chi?” direte voi. Domanda più che lecita, visti i risultati ottenuti. Da allora la #43 ha vinto solo 5 volte, due con Bobby Hamliton e John Andretti e una con Almirola. Dal 2018 sarà in mano a Bubba Wallace.

Dale Earnhardt dopo un anno storto ritornò ad essere “The Intimidator”. Col nuovo crew chief Andy Petree, negli anni precedenti con Harry Gant, vinse i titoli del 1993 e del 1994 che gli permisero di eguagliare Richard Petty a quota sette. Sulla Chevy nera #3 del Richard Childress Racing si tolse poi la soddisfazione di vincere finalmente la Daytona500 nel 1998 e di vedere le prime vittorie di suo figlio Dale Jr. in Nascar. Ci ha lasciato purtroppo nel 2001 a causa di un’incidente nel giro finale della Daytona500. Lascia tutt’oggi un vuoto incolmabile nei cuori dei tifosi.

Jeff Gordon era solo un debuttante quel giorno, ma gli occhi di tutti erano già su di lui. Gordon con il crew chief Ray Evernham e quella “banda di incompetenti” vincerà 4 titoli facendo nascere una rivalità bellissima con Dale Earnhardt. L’ultimo titolo arrivò nel 2001 e sarebbero potuti essere di più, ma Jeff non ha mai digerito il sistema dei playoff introdotto nel 2004. Dopo 93 vittorie e 797 gare consecutive, tutte sulla #24 del Team Hendrick, si è ritirato a fine 2015 per diventare commentatore della FOX, ma non seppe resistere alla chiamata di Rick Hendrick e ritornò per qualche gara l’anno successivo per sostituire l’infortunato Dale Jr.

Ned Jarrett, già due volte campione, era ormai un commentatore TV affermato della ESPN ma quel giorno ad Atlanta si fece sentire poco a causa di una laringite. Si rifece molto presto entrando nella storia della TV sportiva americana alla Daytona500 del 1993 quando commentò il cosiddetto “Dale & Dale show”, ovvero la vittoria di suo figlio Dale Jarrett su Dale Earnhardt.

Dale Jarrett concluse 10° la gara di Atlanta ma praticamente non fu mai in corsa per la vittoria, tuttavia il team in cui correva era appena al primo anno. Pochi mesi dopo tutti conoscevano il nome di quella squadra: Joe Gibbs Racing. Dopo aver lasciato il team, Dale Jarrett passò al team Yates, ereditando non direttamente l’auto di Davey Allison; vincendo il campionato nel 1999 colmò la delusione rimediata dalla squadra ad Atlanta nel 1992. Robert Yates ci ha lasciato qualche settimana fa, a pochi mesi dall’ingresso nella Hall of Fame.

Ernie Irvan probabilmente si sentì in colpa per essere stato involontariamente la causa dell’incidente che privò la conquista del titolo al suo amico Davey Allison. Si può solo immaginare quello che provò dopo la sua morte; quello che sappiamo è che insistette per essere il suo sostituto sulla Ford #28. Un anno dopo, ad agosto del 1994, fu anche lui vittima di un’incidente in Michigan. Arrivò in ospedale con danni al cervello e il 10% di probabilità di sopravvivere, ma recuperò e tornò al volante. Nel 1997 un’ultima commovente vittoria proprio in Michigan; nel 1999 un altro incidente, sempre sulla stessa pista. Ancora danni al cervello, ma questa volta optò per il ritiro per riprendersi del tutto, come in effetti avvenne.

Dave Blaney quel giorno ad Atlanta non si qualificò per la gara e non ritornò in Cup Series per molti anni. Non guidò mai una vettura di un buon team e non vinse mai nella top class. Poco più di un anno dopo quella mancata qualifica nacque un figlio chiamato Ryan. La carriera di Dave in Cup Series si chiuse nel 2014, lo stesso anno in cui Ryan debuttò in Kansas in una gara one-off con la #12 del team Penske con cui invece correrà full-time dal 2018. Avrebbero potuto fare la storia diventando un’altra coppia padre – figlio a correre nella stessa gara, ma anche quel giorno Dave non si qualificò e non ci furono più occasioni per riscrivere il libro dei record.

Morgan Shepherd c’era quel giorno ad Atlanta ed andò molto forte sulla #21 del Wood Brothers malgrado un problema tecnico che gli fece perdere tre giri. Pochi mesi dopo, sempre ad Atlanta, conquistò la quarta ed ultima vittoria in Cup Series, la terza sull’ovale della Georgia. Poche settimane fa Morgan ha annunciato che sarà ancora in pista nel 2018 con la vettura del suo team in Xfinity Series. Il piccolo dettaglio è che Morgan ha 76 anni e riscrive di settimana in settimana i record di longevità della Nascar.

Larry McReynolds era il crew chief di Davey Allison, al quale era legato da una profonda amicizia. Dopo la sua morte guidò prima il team di Ernie Irvan e poi addirittura quello di Dale Earnhardt nella già citata Daytona500 del 1998. Ora è commentatore tecnico della FOX.

Tony Gibson era il responsabile della vettura di Alan Kulwicki in quel 1992 e al pit stop effettuava il rifornimento. Per cinque minuti si temette che quel rabbocco fosse stato troppo breve ma alla fine andò tutto bene e Kulwicki trionfò. Dopo la morte di Alan passò al team di Bill Elliott, proprio lo sconfitto di Atlanta, e poi a quello di Jeff Gordon. Nonostante avesse guidato molti team vincenti non era mai riuscito a vincere la Daytona500, la gara di casa per lui, essendo nato a Daytona Beach. Il sogno di una carriera si è esaudito nel 2017 da crew chief di Kurt Busch.

Lo sponsor Hooters, che tanto sostenne Alan Kulwicki, pian piano ridusse il suo impegno in Nascar fino a uscire dalla categoria nel 2003. Il ritorno in forze sulla scena è datato 2017 con Chase Elliott, proprio il figlio del pilota sconfitto da Alan Kulwicki nella corsa che loro sponsorizzavano e che ora rimane nella storia quasi settantenaria della Nascar come la gara più bella di sempre. Come diceva Giambattista Vico, questi sono “corsi e ricorsi storici”.

(fine; trovate qui la prima e la seconda parte di questa lunga storia)

Immagini: fonte Internet (Nascar.com, CarThrottle, e altri) – Per segnalare copyright info@passionea300allora.it

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