1992 Hooters 500: one for the ages [Parte 2]

NASCARStoria
Tempo di lettura: 8 minuti
di Gabriele Dri @NascarLiveITA
22 Dicembre 2017 - 14:00
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Abbiamo lasciato Bill Elliott in testa alla gara davanti ad Alan Kulwicki. Davey Allison, in quel momento 8°, ha un vantaggio virtuale in classifica generale di soli 2 punti su Elliott e Kulwicki. Kyle Petty è 12° e a un giro, Harry Gant 17° a 2 giri mentre la gara di Mark Martin è già finita per la rottura del motore. Il debutto di Jeff Gordon è terminato presto, ma si è fatto notare; anche Richard Petty è fuori per incidente, tuttavia la sua vettura è ai box e fervono i lavori. Siamo al giro 200 di 328, mancano ancora 200 miglia alla bandiera a scacchi.

Il gran finale: gioie e dolori

Una lunga fase di “green flag” termina al giro 204, quando Dale Earnhardt, in lotta per non essere doppiato, finisce a muro in curva 2. Nuovo giro di soste e finalmente Allison può riparare il secondo danno ricevuto, ma così perde un paio di posizioni e – per la prima volta nella gara – la leadership del campionato, passata ad Elliott, appaiato a Kulwicki, mentre Davey è staccato di 6 punti. Questa caution sarà il punto di svolta della gara.

Alla ripartenza infatti Kulwicki sorpassa Elliott e si porta in prima posizione, sia in gara, sia in campionato. Elliott sugli short run non è veloce e scivola in quarta posizione, mentre Kulwicki vola. Anche Allison recupera qualche posizione e, quando ritorna settimo, è di nuovo virtualmente in testa al campionato, seppur per un misero punto. Durante un altro break pubblicitario, il saggio Ned Jarrett in cabina di commento fa notare ai colleghi come i 5 punti bonus per chi completerà in testa più giri potrebbero essere decisivi. Non si sbaglierà.

Kulwicki infatti continua a macinare giri in testa e recupera il ritardo in questa classifica speciale rispetto a Bill Elliott, nel frattempo di nuovo secondo. A 80 giri dalla fine un’altra caution riporta tutti ai box, ma è troppo lontana dal traguardo per essere l’ultima sosta. In uscita dai box, a causa dei problemi citati, Kulwicki riparte a rilento ma resta in testa alla gara per un pelo. Quando la situazione sembra essersi stabilizzata, ecco un altro colpo di scena.

Un paio di giri dopo la ripartenza, Ernie Irvan fora in curva 4 e, nell’effetto pendolo, taglia la strada al suo grande amico Davey Allison: l’incidente è inevitabile. Allison prova a ripartire ma si è rotto un braccetto dello sterzo e la sua Ford viaggia solo in linea retta. Per lui il sogno di vincere il titolo è quasi finito ed è tenuto vivo solo da un possibile incidente fra Kulwicki e Elliott. Tornerà in pista per l’onore delle armi negli ultimi giri dopo una lunga riparazione ai box.

Kulwicki in un primo momento decide di rabboccare per provare ad andare fino in fondo, ma poi rinuncia; è un altro pezzo di questo puzzle che si sta pian piano componendo. Alla ripartenza Alan è sempre primo e virtualmente in testa al campionato con 10 punti su Elliott: la lotta per il titolo si riduce ad un duello mozzafiato che ormai dura da inizio gara. Al box di Elliott comincia a serpeggiare il nervosismo, dato che Kulwicki continua a macinare giri in testa. A Bill viene detto di passare Alan il prima possibile ma non ce la fa. Al giro 294, a 34 dalla fine, c’è il “sorpasso” nella classifica dei giri in testa: Kulwicki ruba i 5 punti di bonus a Elliott e si porta a +20 in campionato, ma manca ancora una sosta alla fine, tutto è ancora aperto. Intanto dai box giunge la buona notizia: le riparazioni che durano da almeno due ore sulla vettura di Richard Petty sono finite: “The King” tornerà in pista.

Elliott non riesce a mettere troppa pressione a Kulwicki, così Alan può anche risparmiare carburante. Il giro target per l’ultima sosta sembrerebbe il 307, tuttavia Kulwicki prosegue anche al 308 e al 309. Sul momento non si capisce il perché rischi così tanto, ma lui e il suo crew chief hanno tutto sotto controllo: Alan è al comando anche al giro n°310 e i commentatori non si rendono conto che grazie a questo risultato ha completato 103 giri in testa e nessuno può più sorpassare questo dato, solo Elliott può pareggiarlo.

Al giro seguente Kulwicki si ferma ai box lasciando la testa della gara a Bill Elliott. La sosta dura 3.4” e poi riparte a rilento, ma restando a pieni giri; tutto quello che poteva fare per conquistare il titolo è stato fatto, anche se resta il dubbio che lo “splash & go” sia stato troppo breve. Bill ha ancora un’unica chance per vincere il campionato: restare in testa fino alla fine pareggiando i 103 giri al comando di Kulwicki e vincere la gara. In tal modo, grazie al miglior risultato ottenuto, i 5 punti bonus andrebbero a lui e non ad Alan il quale, in caso di secondo posto, terminerebbe con gli stessi punti di Elliott perdendo il titolo per il minor numero di vittorie in stagione.

Giro 311, 312, 313: Elliott è costretto a proseguire, poi al giro 314 viene richiamato ai box per la sua sosta e tutti rimangono col fiato sospeso, ma tutto è perduto. Terry Labonte infatti rimane in pista, passa in testa al giro 315 e poi effettua il suo pit stop. Elliott ritorna in testa – data la sosta più veloce rispetto a quella di Kulwicki – ma il massimo che potrà raggiungere è 102 giri al comando, uno in meno di Alan. Al box #7 hanno capito tutto questo e dicono ad Alan di gestire gli ultimi 13 giri. Elliott può anche vincere la gara e lui può anche farsi sorpassare da Geoff Bodine, terzo e staccato da lui, ma col secondo posto il titolo sarebbe suo. Il finale si trasforma in una lunga attesa, fino a quando torna in scena il Re.

A due giri dalla fine la Pontiac blu #43 esce lentamente dai box senza praticamente tutto l’avantreno. Come dirà 14 anni dopo Saetta McQueen a Strip Weathers, “Il Re deve terminare la sua ultima gara” e così sarà. Richard Petty chiude la sua 1184esima e ultima gara 35° e staccato di 233 giri ma conta poco dato che riuscirà a fare il giro d’onore davanti a 160’000 tifosi venuti in gran parte per assistere a questo evento storico.

In gara intanto la passerella prosegue: Bill Elliott vince con 8″ di margine su Kulwicki che, nonostante le preoccupazioni per il carburante, riesce a chiudere la gara e conquista il campionato con soli 10 punti di margine, il più esiguo fino ad allora, su Elliott. Era dal 1979 che un team privato non conquistava il titolo (allora era il 7° e ultimo campionato di Richard Petty) e fino alla vittoria di Tony Stewart nel 2011, anche se il contesto era completamente diverso, l’ultimo.

Alan festeggia, come era solito fare lui, con il “Polish victory lap”, ovvero un giro di pista al contrario in modo da salutare da più vicino i tifosi. Quando lo fece la prima volta a Phoenix nel 1988 credettero che si forse perso nel tragitto verso la victory lane ma non era così. Elliott rende l’onore delle armi, ma il proprietario del team, il leggendario Junior Johnson, è furioso. A fine anno licenzierà il crew chief  Tim Brewer per la gestione del finale della gara: se Elliott si fosse fermato ai box il giro seguente, e – come si seppe in seguito – avrebbe avuto abbastanza carburante per farlo, sarebbe stato in testa per quel giro in più e avrebbe vinto il campionato, ma la Storia (o il Destino o il Fato) ha deciso diversamente.

Tra l’intervista post-gara e il banchetto ufficiale Alan Kulwicki fa un bilancio del percorso che lo ha portato fino alla vittoria del campionato, lui che era così fuori dagli schemi, lui che non era uomo del Sud ma del freddo Wisconsin, lui che non era solo pilota ma anche un ingegnere laureato, lui che era un perfezionista squattrinato. A inizio carriera Alan aveva venduto tutto per trasferirsi a Charlotte, ma nonostante i buoni risultati non aveva ottenuto da nessuno l’appoggio economico necessario e quindi aveva deciso di mettersi in proprio. Aveva persino rifiutato le offerte dei top team quando erano arrivate le prime vittorie, conscio che in quelle squadre avrebbe resistito poco.

Era anche consapevole di arrivare alla sfida decisiva da sfavorito, da underdog come dicono gli americani, contro i pezzi da novanta della Nascar, tant’è che rinominò la sua Ford Thunderbird “Underbird” coprendo le prime due lettere con degli adesivi di Topolino. La differenza non la fecero le vittorie ma la costanza di rendimento e il fatto di avere tutto sotto il suo diretto controllo. A quel banchetto ufficiale disse di sperare che in futuro la Nascar sarebbe stata fiera di avere avuto un campione come lui e ringraziò lo sponsor Hooters, così fuori dagli schemi come lui e con cui la collaborazione iniziò quasi per caso e che nel tempo divenne invece solida, con la speranza che quel legame durasse ancora a lungo. Tristemente non fu così.

(continua…)

Immagini: fonte Internet (Nascar.com; AtlantaMotorSpeedway; CarThrottle) – Per segnalare copyright info@passionea300allora.it

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