Mick, tra eredità e realtà

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di Alessandro Secchi @alexsecchi83
2 Novembre 2016 - 12:45
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L’ho osservato e scrutato più con i miei occhi che con la lente della reflex per due giorni. Perché la digitale ferma un’immagine mentre gli occhi sanno anche leggere.

Se non sapessi chi è, se non lo conoscessi, guardandolo in foto faticheresti ad associarlo a chi gli ha dato nome e, soprattutto, cognome. Svestito del suo abbigliamento da corsa, oggi, passerebbe quasi inosservato se avesse deciso di fare altro nella vita. Non è lui, infatti, quello che a prima vista ti fa crescere la pelle d’oca sulle braccia. Cercate una foto recente di Gina Maria: stessi occhi, nel colore e nel taglio, di papà. Stesso leggero strabismo quando guarda di lato, stesso mento. Gina è papà con i capelli lunghi e il volto leggermente più pacioccone.

Mick Schumacher somiglia più a mamma Corinna che a papà Michael. Fino a quando lo guardi così, staticamente. Fino a quando gli scatti una foto. Fino a quando non inizi a leggerlo. Perché è lì, che viene il bello. Sono le espressioni, i gesti, il modo di porsi, di camminare, di correre (a piedi), di parlare (la voce, ancora in divenire, quasi spiazza da quant’è simile) che trasformano Mick in un mini Michael, anche se il volto magari ti tradisce. È il suo essere che somiglia, più che il suo apparire.

È timido, molto. Ci si dimentica spesso che lui e i suoi colleghi sono giovanissimi. Tanto da farti capire che il tempo è passato in fretta: tanto che loro, quasi, potrebbero vederti come un vecchietto a confronto. Per chi tifava un pilota più anziano di 14 anni, trovarsi di fronte il figlio più giovane di 16 fa un certo effetto.

Venerdì è giornata tranquilla, fatta di prove libere e momenti free senza troppa gente intorno. Tutti i piloti vengono chiamati per una foto sulla sopraelevata e si ritrovano insieme nel paddock, in attesa dei mini van. È lì che riesco ad osservare Mick da pochi metri di distanza e rendermi conto di quanto somigli pur non somigliando. Più che la sua figura è il casco che lo smaschera: sebbene di colore e grafica completamente diversi da quello di papà, quelle sette stelle sulla calotta giallo / verde sono un chiaro segno distintivo, come a volerci dire “ce l’ho sempre in testa”.

Domenica arriva un po’ più di ressa. La prova che Mick non sia proprio una copia di Michael me la fornisce il fatto che basta un altro biondino, Juri Vips, compagno di squadra in Prema, a confondere i curiosi. Alcuni dei quali si accorgono di aver sbagliato pilota solo quando lo confrontano con l’immagine nella cartolina istituzionale del team. Lui si ferma più volte durante l’arco della giornata a firmare cartoline, cappellini (del papà), foto, e a scattarne altre con i tifosi. Disponibile ma, appunto, timido.

In pista va come va: il titolo lo vince l’argentino Siebert in gara 2. Gara 1 e gara 3, invece, sono due delle più belle della stagione di Mick. Al mattino, partito terzo, passa in mezzo ai primi due, gira primo, e vince con più di 10 secondi di vantaggio. Alla sera, parte terzultimo (posizione ereditata dal finale di gara 2) e arriva secondo, concludendo in bellezza la sua seconda e probabilmente ultima stagione in F4. Secondo sia nel campionato italiano che quello tedesco.

Non mi addentro in questioni tecniche o in pareri sulle abilità di guida. In tv e dal vivo ho visto cose buone e meno buone, ma qui è troppo presto per parlare. Il 2017 dovrebbe essere l’anno del salto in F3. Comunque vada, l’importante sarà viverlo sereno come, mi pare, abbia fatto fino ad ora. Il resto, verrà di conseguenza.

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