Ma come, non era un maggiordomo?

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Tempo di lettura: 3 minuti
di Alessandro Secchi @alexsecchi83
11 Maggio 2019 - 19:45
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È questa la domanda che vorrei porre a tutti quelli che, nell’anno 2018 (ed anche, a tratti, nel 2017) hanno sperculato, insultato, umiliato, deriso, offeso e ritenuto Valtteri Bottas una sorta di mercenario al servizio di Mercedes e Lewis Hamilton per elogiarlo e santificarlo ora che fa bene. Ma come? Prima era una specie di zerbino a 300 all’ora, utile solo alla causa dell’allora quattro volte campione del mondo, ed ora il nuovo Rosberg?

Ricordo come veniva photoshoppato al guinzaglio al posto del cane di Hamilton. Ricordo i meme (una delle più grandi stronzate del mondo social quando usati a sproposito) impegnati nel denigrarlo e dipingerlo come una nullità. Eppure si parla dello stesso uomo, prima che pilota, che ha infilato tre pole consecutive nei confronti di uno lanciato verso quota 100 e che non più di due settimane fa ha resistito in modo inaspettato agli attacchi di colui che, un anno fa, “disponeva di lui come se fosse uno schiavetto”.

Come la mettiamo, allora? Il problema, come sempre, si chiama rispetto: quello che manca da parte di chi crede che un pilota sia solo quello che guida in macchina e non quello che deve gestire pressioni, episodi, contratti. Quello che manca a chi “anche mia nonna farebbe meglio” e a chi passa da una bandiera all’altra in base a come cambia il vento.

Valtteri Bottas di rispetto nei suoi primi due anni Mercedes ne ha avuto praticamente zero. Non importava che fosse anche parecchio sfigato o, in ogni caso, un dipendente Mercedes. Quello che interessava era il tiro al bersaglio, giusto per trovare un capro espiatorio al quale scaricare qualche frustrazione per l’andamento del campionato. A volte non ha reso come ci si aspettava da lui, ma l’accanimento nei suoi confronti è figlio del mondo odierno, dove conta solo oggi e non il passato.

Sapete cosa penso, invece? Che non solo Mercedes ha gestito molto meglio Bottas nei confronti di Hamilton di quanto abbia fatto la Ferrari con Raikkonen in quelli di Vettel (Monza vi dice qualcosa?), ma ora è lo stesso finlandese a dimostrare con i fatti che prima di annientare un pilota a parole, da Twitter e Facebook, bisognerebbe sempre pensare e chiedersi cosa succederebbe se si fosse costretti a ripetere gli stessi insulti in faccia al tal pilota. 

Non so perché ma credo che molti ci penserebbero due volte. Oppure, in linea con il più grande paraculismo, riuscirebbero pure a chiedere un selfie sorridente. Non mi stupirei.

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