Lotte di classe

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di Samuele Prosino
5 Maggio 2018 - 09:30
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Dopo sole quattro gare nel campionato di Formula 1 2018, quasi tutti i piloti iscritti sono già andati a punti almeno una volta. Mancano solo Grosjean e Sirotkin, ma da come hanno dimostrato attraverso la velocità, arriveranno nei primi dieci a breve.

Il podio di Sergio Perez con la Force India, scuderia che dopo le prime tre gare sembrava la derelitta ex quarta forza del campionato, dimostra molte cose. A parte il dover sempre essere della partita, senza mollare un centimetro, c’è molta intelligenza in questo risultato. E fortuna. E, soprattutto, gomme giuste al momento giusto.

Che sia una Formula Gomme lo sappiamo, ma va anche detto che senza gomme non si arriva in fondo. E visto che secondo regolamento e secondo specifiche richieste, Pirelli ha messo in piedi mescole che possono durare molto e che si “sentono” in termini di differenza prestazionale, il risultato è che il fattore imprevedibilità è tornato a essere presente in Formula 1.

C’è un altro punto però che vorrei mettere in luce visto il risultato del buon Sergione, snobbato dalla Ferrari e scaricato dalla McLaren in tempi non più recentissimi. Quest’anno stiamo vedendo – probabilmente – la Formula 1 più interessante degli ultimi anni. Dalla 4a posizione nella classifica costruttori fino alla fine dell’elenco c’è un pacchetto di mischia sensazionale. I team sono tutti vicinissimi, ogni weekend c’è un outsider diverso capace di sorprendere. Elenchiamo: Perez 3° a Baku dopo scialbi piazzamenti, Gasly 4° in Bahrain per la gioia Honda, Magnussen 5° nella stessa gara a conferma del buon lavoro Haas e Leclerc 6° nell’ultima gara con una rediviva Sauber.

Uno potrebbe obiettare: Baku è stata una gara particolare, come del resto quella del Bahrain. Può darsi, ma comunque la velocità si vede in tutto il weekend. Per dire, Leclerc in qualifica sul circuito azero ha fatto una prestazione non da poco, vantaggio che poi ha sfruttato anche in gara.

Tutta questa lotta è spettacolare, e sulla carta si svolge a oltre un secondo di distacco dai tre top team. Un secondo che in gara può però diventare il nulla: basta una mescola diversa, un lungo, una safety car e le sorprese arrivano.

Ha davvero senso logico spendere tutte queste vagonate di denaro per perdere un podio da una Force India? Pare serio avere un budget faraonico per arrivare dietro a una tigre ferita come la McLaren in un pomeriggio di marzo australiano? La risposta è ovviamente no. Tuttavia è anche evidente che da qualche anno a questa parte vincono sempre le stesse scuderie, e dunque anche i budget faraonici sembrano avere qualche utilità…

A questo punto ripescherei le frasi che diceva in continuazione Flavio Briatore, quelle che spiegavano come “la gente” non ha interesse a vedere un nuovo dettaglio sull’ala anteriore a ogni gara. E riprenderei anche la recente esternazione di Steiner, che invece diceva come la F1 non deve diventare un monomarca come la Indycar pur di cercare a tutti i costi la randomizzazione. E allora dove sta la verità? Nel classico mezzo. Si può raggiungere in molti modi, standardizzando elementi delle auto che non sono particolarmente visibili o che sono difficilmente distinguibili tra le varie vetture: la centralina, l’alettone posteriore, il diffusore. Sono esempi, si intende.

Si può esportare dunque il modello delle squadre di seconda fascia (a parità di budget) all’intera F1, per ridonare qualche exploit e per rendere il gruppo dei possibili vincitori molto più ampio? Sì, ovviamente. Il problema è che probabilmente nessuno che conta ha voglia di farlo.

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