Lode agli Immortali

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Tempo di lettura: 3 minuti
di Alessandro Secchi @alexsecchi83
27 Gennaio 2020 - 14:07
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Ci sono uomini che vanno oltre lo sport che praticano. Lo capisci, al di là dei risultati, dalla loro popolarità, dal carisma. Lo capisci, soprattutto e purtroppo, quando lasciano questo mondo.

Non vi dirò che sono un appassionato di basket e che seguo l’NBA da quando sono nato. Da qualche anno mi ci sono avvicinato ma gli orari, lo sapete, sono per lo più proibitivi. Ricordo la finale del sesto anello di Michael Jordan, ho avuto la possibilità di vedere le Finals con cui Cleveland, trascinata da LeBron James, ha battuto Golden State. Ho seguito, nell’anno del suo addio, il rispetto che ogni campo esterno ha dedicato a Kobe Bryant. Un tributo lungo un anno.

Ho nominato Michael Jordan. Dubito che siano molti quelli che, pur non sapendo nulla di basket, al nominare di questo nome non abbiano a mente quella lingua penzoloni, il 23 rosso su casacca bianca dei Chicago Bulls o, magari, le Nike che portano il suo marchio.

Ci sono, appunto, nomi che trascendono il loro sport. Quando si è più grandi del proprio mondo, quando il tuo sport viene riconosciuto attraverso te e non più il contrario significa che sei una leggenda, un gradino sopra tutti. Non ho mai visto una partita di Golf in vita mia ma Tiger Woods so riconoscerlo piuttosto facilmente. Chi non ha mai seguito il tennis, in un modo o nell’altro, sa sicuramente chi è Roger Federer. E potrei continuare con una lunga lista: Maradona, Valentino Rossi, Michael Schumacher, LeBron James. Sai quanti.

Leggende in vita, ancor di più quando ci lasciano. E qui capisci ancora di più quale sia stato il loro impatto sulla terra, al di là del loro sport. Kobe Bryant da ieri sera è entrato nel gruppo degli Immortali. Di quegli sportivi che, scomparsi improvvisamente in alcuni casi, hanno superato l’ultimo gradino che porta alla gloria.

Ogni anno ricordiamo Ayrton Senna. Pochi giorni fa ho fatto lo stesso con Marco Pantani. Sono quei personaggi che riscuotono interesse, empatia, sostegno anche da chi non si era mai avvicinato prima a quel determinato sport. Quando è l’atleta a far conoscere lo sport, a diventarne testimonial universale, vuol dire che la metamorfosi è completa. Cosa sarebbe stato il basket senza MJ? E la Formula 1 senza Senna? Inutile dire che sarebbero andati avanti lo stesso. No, sarebbero stati sicuramente più poveri.

E non è nemmeno questione di risultati in sé. Nel nostro amato mondo dei motori abbiamo un esempio su tutti, quello di Gilles. E, vedete, basta pronunciare il nome senza il cognome per sapere a chi mi riferisco. Sei vittorie, soltanto sei ma il suo settantesimo compleanno, a quasi 38 anni dalla sua scomparsa, è stato celebrato nel mondo come se lui fosse ancora qui.

Sarà lo stesso con Kobe Bryant. Il cordoglio che leggo da ieri sera per questo dramma, che dobbiamo ricordare riguarda più famiglie – non oso pensare alla sua, che ha perso anche la piccola Gianna – fa crescere la pelle d’oca. E mi fa pensare che non è oggi né domani che la sua eredità si manifesterà. Saranno il tempo, le dediche, i riconoscimenti e tutto quello che verrà a rendergli onore, facendo sì che con “Kobe” – se mai c’è stato disguido – d’ora in poi non ci potrà essere più dubbio. Ce ne sarà soltato uno, com’è giusto che sia.

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