Libri | “Nascar’s next generation”, generazione di fenomeni

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Tempo di lettura: 8 minuti
di Gabriele Dri @NascarLiveITA
12 Gennaio 2018 - 10:00
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Ogni viaggio riserva delle piacevoli sorprese e anche la mia vacanza a Milano ne ha avuta più di una. Rimanendo all’ambito sportivo, ho scoperto grazie a Edoardo Vercellesi, commentatore degli highlights della Nascar su Sportitalia e già ospite di “Stop&Go”, la “Libreria dell’automobile”, un’autentica miniera d’oro per gli appassionati di motori. Qui ho trovato un libro del 2003, intitolato “Nascar’s next generation”, focalizzato su dieci talenti che – secondo l’autore – avrebbero influenzato gli anni successivi della Cup Series. Dopo 15 anni questa generazione è ormai sul viale del tramonto ed è interessante verificare se le previsioni di Larry Cothren si siano dimostrate valide.

Nota: i piloti sono presentati in ordine alfabetico, così come sul libro

Greg Biffle

Biffle ha appena vinto nel 2002 il titolo della Busch (ora Xfinity) Series, due anni dopo aver trionfato nei Truck e si appresta a debuttare a tempo pieno in Cup Series sulla #16 del Roush Racing. L’esplosione definitiva arriverà nel 2005 quando Greg vinse sei gare e arrivò secondo in campionato dietro a Tony Stewart. Da allora molti su e giù fino al 2016 quando, in assenza di sponsor, il suo team chiuse e a 47 anni si è trovato senza sedile; non ha ancora annunciato ufficialmente il ritiro. Maestro dell’ovale di Homestead (tre vittorie consecutive), non sapremo mai cosa avrebbe potuto ottenere col format attuale del campionato.

Kurt Busch

L’allora unico fratello Busch era sulla rampa di lancio: con la #97 del Roush Racing aveva vinto tre delle ultime sei gare del 2002, campionato concluso al terzo posto. Il 2003 fu un anno in chiaroscuro ma il titolo arrivò nel 2004. Il passaggio al team Penske sembrava un passo in avanti, ma rischiò di terminare la sua carriera dato il rapporto burrascoso con la squadra. Dopo aver posto le basi del Furniture Row, ora vincente con Truex, ha vinto la Daytona500 nel 2017 con il team di Tony Stewart ma anche per lui l’età avanza, tant’è che nel 2018 sarà il pilota attivo con più gare in Cup Series.

Dale Earnhardt Jr.

Il figlio di Dale Sr. aveva un fardello pesante da portare avanti ma in quel 2003 ci fu l’occasione in cui si avvicinò di più al titolo, concludendo il campionato in terza posizione. Nel 2004 arrivò anche la vittoria nella Daytona500 ma il rapporto col team fondato da suo padre e – soprattutto – con la matrigna che lo gestiva si incrinò sempre di più e a fine 2007 ci fu il divorzio. Il passaggio al team Hendrick ha portato altri alti (compresa la seconda Daytona500 nel 2014) e bassi ma mai la vittoria del campionato. Si è ritirato dall’attività a tempo pieno da pochi mesi e il vuoto che lascia è incalcolabile. 

Kevin Harvick 

Chi aveva un fardello più pesante di Junior era Harvick, chiamato a sostituire direttamente Dale Earnhardt dopo la sua morte. Dopo un 2001 esaltante ci fu un 2002 sottotono mentre il 2003 fu la stagione che delineò il profilo di Kevin, un pilota dai risultati ottimi e costanti. La sua parte di carriera al Richard Childress Racing – conclusasi nel 2013 – è stata ricca di vittorie, compresa la Daytona500 nel 2007, pur senza conquistare titoli. Con il passaggio allo Stewart-Haas Racing è arrivato subito il campionato e in altre due occasioni si è qualificato al gran finale di Homestead. A 42 anni non sembra ancora intenzionato a ritirarsi. 

Jimmie Johnson 

Per Johnson il discorso è molto semplice: nel 2001 era un giovane prospetto, ma non si riteneva che fosse il migliore della sua generazione. Tre vittorie nella sua prima stagione completa – il 2002 – lo misero in luce. Nel 2006 arrivò il primo di cinque titoli consecutivi seguito dal sesto nel 2013 e il settimo – che lo mette sullo stesso livello di Richard Petty e Dale Earnhardt – nel 2016. Ora è aperta la caccia all’ottavo campionato che gli permetterebbe di ritirarsi da leggenda assoluta, tuttavia viene dalla stagione peggiore della sua carriera. 

Matt Kenseth

Anche lui proveniente dalla fucina del Roush Racing, vinse – se vogliamo anche a sorpresa – il campionato del 2003 ottenendo una sola vittoria, la goccia che fece traboccare il vaso e portò all’introduzione della Chase nel 2004. Dopo 2 Daytona500 vinte è passato nel 2013 al Joe Gibbs Racing dove ha corso le ultime stagioni prima di essere sostituito dal giovane Erik Jones. A 45 anni ha annunciato che il 2018 sarà un anno sabbatico che potrebbe diventare anche un ritiro definitivo, ma almeno ha lasciato a Phoenix la firma su una carriera più che degna di nota.

Jamie McMurray

Da sostituto di Sterling Marlin a fine 2002 vinse la sua prima gara appena alla seconda apparizione in Cup Series, ma fu un fuoco di paglia. Dopo tre stagioni a secco passò al Roush Racing per sostituire Kurt Busch. Altre quattro stagioni in chiaroscuro prima del ritorno da Ganassi con cui vinse al debutto la Daytona500 del 2010. Diventato uno specialista dei superspeedway, ha recentemente dichiarato di voler proseguire la propria carriera per altre cinque stagioni fino ai 45 anni.

Ryan Newman

Nel 2002, alla prima stagione completa, conquistò ben sei pole position ottenendo il soprannome di “Rocket Man”. L’anno successivo ottenne ben otto vittorie ma anche sette ritiri che lo relegarono al sesto posto in generale. Lasciò il team Penske nel 2008, non prima di aver regalato a Roger la sua prima Daytona500, tra l’altro nel 50° anniversario della classica della Florida, per passare allo Stewart-Haas e poi al Richard Childress. Dopo quel biennio stellare l’unica stagione degna di nota è il 2013 quando – a sorpresa – arrivò secondo in campionato beneficiando del nuovo format ad eliminazione.

Elliott Sadler

Proveniente dal vivaio del Wood Brothers e vincitore a Bristol nel 2001, Sadler passò nel 2003 al team Yates che – però – iniziava la sua fase discendente. L’unica stagione positiva per lui fu il 2004, in cui concluse al nono posto. Da lì una serie di prestazioni altalenanti fino alla decisione di ritornare nel 2011 a tempo pieno nella Xfinity Series. Nonostante abbia girato quattro big team, Sadler non è mai riuscito a vincere il campionato, conquistando per ben quattro volte il titolo di vice-campione. 

Dei dieci piloti selezionati dall’autore, questi nove possiamo dire che hanno soddisfatto le attese, chi più e chi meno, ma comunque hanno segnato una generazione. A deludere invece è stato l’ultimo.

Scott Wimmer

Quattro vittorie nelle ultime otto gare del 2002 nella Busch Series e il terzo posto finale in campionato. Il biglietto da visita ideale per il 2003, ma per Scott non fu così. Quell’anno fu l’inizio della discesa per lui e neanche il debutto in Cup Series a tempo pieno nel 2004 lo risollevò. Resta negli annali un terzo posto nella Daytona500 di quell’anno e poco altro. Dopo il ritiro nel 2011, ma l’oblio era iniziato molto prima, ha contribuito come coach e spotter all’ascesa di Cody Coughlin nella Truck Series fino alla termine della collaborazione a fine 2016. Da allora non ci sono sue notizie di rilievo.

Non era facile individuare dieci giovani talenti in grado di segnare la categoria per i 15 anni successivi. L’autore nel complesso ha scelto bene, ma, se fosse possibile riscrivere l’ultimo capitolo, chi sarebbe dovuto finire nel libro al posto di Wimmer? Analizzando le statistiche della Cup Series è ovvio dire che il nome giusto sarebbe dovuto essere quello di Kyle Busch, ma allora aveva solo 17 anni e aveva disputato solo qualche gara – seppur degna di nota – nei Truck. Chi aveva appena debuttato nei Truck era anche Carl Edwards, il quale tuttavia era molto fuori dai radar. Solo Jack Roush ebbe fiducia in lui; schivo e riservato, si è ritirato a sorpresa esattamente un anno fa.

Nel libro non potevano esserci piloti come Kahne e Truex, che si affacciarono sul palcoscenico della Nascar in quel 2003, o Keselowski e Hamlin, i quali avrebbero debuttato l’anno successivo mentre Logano aveva solo 13 anni. A mio avviso l’unico candidato credibile per entrare nel libro è Johnny Sauter, il quale nel 2002 vinse una gara della Busch Series e per il 2003 venne scelto da Richard Childress per fare il grande salto. Per lui l’avventura in Cup Series durò metà stagione prima di essere licenziato per lo scarso rendimento. Neanche la seconda chance con il team Haas nel 2007 andò bene, così Johnny ridiscese le categorie fino al ritorno a tempo pieno nei Truck. Da allora 17 vittorie e un titolo conquistato nel 2016 per una carriera che non durerà ancora molto, ma che ha segnato una generazione, anche se non nella Cup Series.

Questo inverno sarebbe stata l’occasione ideale per scrivere l’edizione aggiornata di questo libro, data la quantità di giovani che hanno alle spalle una o due stagioni in Cup Series e che sono sulla rampa di lancio: Kyle Larson, Chase Elliott, Ryan Blaney, Erik Jones, Daniel Suarez, William Byron, Alex Bowman, Bubba Wallace e chissà chi altro. Anche io come Larry Cothren mi troverei in difficoltà nel trovare tutti e dieci i nomi da inserire. La lezione che ho imparato da questo libro è proprio questa: è molto difficile fare il talent scout, bisogna conoscere tutti i retroscena senza lasciarsi illudere dai numeri perché sotto risultati non eccellenti potrebbe nascondersi un campione e dietro a vittorie esaltanti ci potrebbe essere il flop del decennio.

Immagini: fonte Internet (racing-reference.info e altri). Per segnalare copyright info@passionea300allora.it

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