Lewis e la pioggia che lava tutto. Anche i fantasmi

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di Alessandro Secchi @alexsecchi83
23 Luglio 2018 - 13:28
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“Qui è impossibile superare”. Finisce con questa frase in ottica gara il sabato di Lewis Hamilton dopo il 14° posto in qualifica. Una sentenza che sa di metto le mani avanti dopo un problema tecnico inaspettato che l’ha spedito indietro in griglia. Una paraculata, per intenderci. Perché quando guidi una Mercedes sai benissimo che recupererai terreno.

Il tutto dopo l’ennesima scena pro TV, una delle tante a cui ci ha abituati. Dopo aver spinto per metri e metri, azione degna di chi non vuole mollare, la sua W09, con una teatralità che ormai lo segue e lo consiglia evento dopo evento, instagrammata dopo instagrammata, si inginocchia sconsolato al fianco della sua monoposto che lo ha abbandonato. Scuote la testa, si fa consolare da un commissario, devastato. In qualifica, con tutta la gara da disputare. Ad Hockenheim, con una Mercedes che non è certo una Toro Rosso. La mette sul mistico, Lewis, come capita spesso, quasi sempre, in quelle poche occasioni in cui si trova in difficoltà. Dicono che si stia opponendo al farsi intervistare da Rosberg. Non so quanto sia vero: se lo è trattasi di un altro punto a sfavore di una personalità che fatico a comprendere.

Eppure, per assurdo, proprio da quel guasto del sabato nasce la resurrezione della domenica. Perché Lewis si ritrova in fretta nei primi cinque come ampiamente prevedibile anche da lui, in cuor suo. Perché la Mercedes è la Mercedes e chi è più lento si fa passare senza troppi problemi, perché al giorno d’oggi rischiare una staccata in più significa bruciarsi una gomma. E così si trova dietro i primi con le gomme soft, quelle montate dal suo 14° posto per allungare il più possibile mentre davanti sono con le ultrasoft. Le coccola le sue gomme, le mantiene magistralmente per 42 giri, la prima parte di capolavoro, prima di effettuare la sosta e ribaltare il colore della spalla con i suoi avversari, ora su soft. La sfiga del sabato torna da lui sotto forma di pioggia, che gli bacia il casco e gli rende i piedi fatati. E qui si compie l’altra metà del miracolo, con Lewis che approfitta delle gomme più morbide e calde, ci mette il carico da 90 del suo piede destro e recupera tutto lo svantaggio della sosta su chi è davanti.

In dieci giri il mondo si ribalta e si passa dalla vittoria “a casa sua” di Vettel al trionfo storico di Lewis. Il tedesco sbatte, la Safety Car esce, lui si salva da un ingresso ai box che l’avrebbe fregato. Si trova primo. L’impossibile diventa possibile, il colpo di scena per il titolo cambia colore in 24 ore, le previsioni della vigilia sono sconfessate. Da meno otto a più diciassette. La magia della Formula 1.

Sul podio la pioggia aumenta, diventa torrenziale, lava letteralmente tutti ma soprattutto lui, l’eroe del giorno, Lewis. Lo spoglia della sua negatività e ce lo consegna fiero, raggiante, smagliante con un trofeo tanto incomprensibile esteticamente quanto bello nel valore simbolico, quello di una delle più belle vittorie della sua carriera.

Un trofeo che, se vogliamo, lo rappresenta in pieno. L’estetica sono le sue parole, il valore il suo piede. Discutibile spesso fuori dalla macchina, inappuntabile quando ne fa parte nella maggior parte dei casi. Ed allora sovviene una domanda: sono necessari teatralità, misticismo, fantasmi, quando poi hai un piede così? Forse questo giocare con il suo ruolo da star fa parte di sé, ma quanto cinico sarebbe nel vincere senza appellarsi a misteri, introspezioni, complotti…

Sarebbe un altro Lewis, certo, ma sarebbe più vero. Ne guadagnerebbe anche lui.

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