Lettera ad un ragazzo di 50 anni

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Tempo di lettura: 7 minuti
di Alessandro Secchi @alexsecchi83
3 Gennaio 2019 - 00:02
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Ciao Michael,

ne è passato di tempo. Hai idea di quanti ne farai sentire vecchi in questa giornata? Credo di no. Quanto dura una generazione? Sei, sette anni? Facciamo sette, dai: è un numero che mi pare adeguato. Tu ce l’hai stampato sulla bacheca, noi nella memoria, io sopra una caviglia. Ecco… Tu, ragazzo mio, di generazioni ne hai passate praticamente tre. C’è chi ti ha visto esordire per la prima volta con la verdona che io, quando ero piccolo piccolo, chiamavo “la Zup” (la Jordan sponsorizzata 7UP…). C’è chi ti ha visto trionfare nel mondiale per la prima volta con la Ferrari ed avrà pensato che sia stato tutto facile. Infine c’è anche chi ti ha notato, ormai in là con gli anni, mentre sgomitavi per una manciata di punti e magari, quel giorno a Monaco, si sarà detto “Hai capito il vecchietto, dev’essere stato forte da giovane”.  

Tutti noi, accostando il numero 50 al tuo nome, alla fine di questa giornata ci renderemo conto davvero di quanto sia trascorso dalla tua prima gara, dalla tua prima vittoria, dai tuoi trionfi. Sembra roba da non crederci. Anche perché, tanto sei stato longevo, pare ieri che hai smesso, manco a dirlo in posizione numero sette. L’ultima moda è rispolverare i videogiochi che usavamo, consumavamo, quando hai iniziato a correre tu in F1. Evidentemente c’era qualcosa di buono. I cellulari erano roba per ricchi: se volevi parlare con qualcuno “Alza la cornetta, Mondial Casa ti aspetta”. Internet non sapevamo cosa fosse: ultimamente non so dirti se è un bene o un male. Delle tue, vostre gesta, si leggeva solo dai giornali. C’era rispetto, vero e non di facciata. Sicuramente, 25 anni fa, non avremmo letto tante cazzate su di te ma pazienza, bisogna imparare a conviverci. 

Chissà se negli anni in Emilia, tra un tortellino ed uno gnocco fritto al Montana, ti hanno mai dato bonariamente dello sciocchino, del piparlòt o del patacca (anche se è più romagnolo). Perché lo sei stato, eh. Ne hai fatti arrabbiare un sacco in tutti quegli anni. Ma proprio tanti. Gli avversari, quando li passavi dove (per loro) non si poteva o ci mettevi un po’ troppa cattiveria. Ricordo quando Ayrton ti catechizzò davanti a tutti. Eh… sarebbe stato bello vedervi per più tempo insieme e contro. Per conseguenza diretta c’erano poi i loro tifosi, per i quali eri un incubo e di quelli peggiori, soprattutto quando arrivavi negli specchietti. Poi i giornalisti che aspettavano te per le conferenze stampa ed invece si trovavano davanti un registratore e restavano col cerino in mano. Infine, quelli che si lamentavano del fatto che non parlassi l’italiano mentre, sotto gli occhi, passavano tir pieni di coppe. Poi dai, diciamocelo. Facevi un pochino fatica, questo sì. Il problema è che fanno molta più fatica molti madrelingua, quindi… Sono sicuro che, in questo giorno di celebrazione, nessuno avrà da pensare a certe cose. Anzi, fa tutto parte della tua straordinaria storia: senza ciò che hai passato non saresti diventato tu. Vale per tutti.

Ogni anno è difficile trovare parole nuove per questa giornata che, da qualche anno, è un po’ più triste. Stavolta però è un po’ diverso perché quel cambio di decina, quel 5 lì, fa impressione. Tantissima. Apre un altro tempo, per te e per noi tutti. Cinquanta: tra un paio di mesi ne compirò 36 e tu, alla mia età, sfoggiavi già i tuoi sette allori. Ai tempi ti vedevo tanto grande e mi rendo conto solo ora che in realtà si ha ancora tantissimo da fare. Il bello è che poi, a 41 anni, stavi per rientrare! Fatico ancora a capirne i motivi esatti ma la cosa assurda è stata l’effetto di quei tre anni, quasi terapeutico per far digerire meglio, a tutti quelli che non ci erano riusciti, la prima carriera. Vuoi sapere cosa è successo? Beh, ci sono un sacco di persone che ti hanno apprezzato quasi più in quel triennio che quando vincevi bendato e su una gamba sola. C’è chi non ti ha mai sopportato per quanto hai fatto nel tuo primo tempo e poi si è emozionato per il secondo, per quel podio mancato in Canada, quella pole mai conteggiata a Montecarlo, quel terzo posto a sorpresa di Valencia. Strana, la vita, quando per farti notare devi perdere con onore dopo aver dominato anni.

Quando mi trovai davanti la notizia del tuo ritorno non sapevo cosa pensare: se mi chiedessero ora se avrei preferito che ti fossi fermato al 2006, risponderei con un secco no. Perché chi se ne frega se non hai aggiunto numeri ai numeri. Hai aggiunto umanità, umiltà, voglia di rimettersi in gioco, di lottare contro l’anagrafe e contro dei ragazzini. Digli niente, al giorno d’oggi. 

Ti ricordi la scena del casco replica a Monza? Io appiccicato alla transenna, te che lo guardi uscendo dal box mentre lo muovo con il piede e poi quell’italiano preciso “Scusa ma non te lo posso firmare, perché non è originale”. Certo, non te lo puoi ricordare ovviamente. Ma io sì. Ho in mente quei dieci secondi in cui ti sei fermato ad aspettare che estraessi la Smemoranda del piano B e quell’autografo che vedo se alzo gli occhi mentre scrivo. E, se ci penso, il male alle costole quasi quasi si fa ancora sentire…

Che dire d’altro? Ognuno ha i suoi idoli, i suoi punti di riferimento che siano nello sport, nella musica, nell’arte in generale. Praticamente tutti abbiamo assunto inconsciamente qualcuno nel ruolo di fratello o sorella maggiore. Un personaggio che ci ha accompagnato negli anni, magari partendo dall’adolescenza com’è successo a me e tanti miei coetanei, insegnandoci qualcosa. Qualcuno al quale ci siamo anche appoggiati idealmente, che ci ha sostenuti a sua volta senza saperlo indicandoci un modo di fare, portandoci via per qualche ora dai problemi di tutti i giorni e facendoci credere che, con l’impegno ed il duro lavoro, si potessero raggiungere degli obiettivi.

Sei stato l’esempio migliore che potessi avere. Non solo perché hai vinto tutto ma anche e soprattutto perché non sei stato sempre buono come nelle favole. Hai sbagliato più volte, sei caduto, ti sei fatto anche male, ma ti sei sempre rialzato ogni volta con sempre più fame, ogni volta con maggiore convinzione. E, alla fine, hai fatto il culo a tutti grazie ai tuoi meriti, al tuo modo di rispettare chi lavorava con te, al tuo modo di intendere il tuo lavoro, la tua vita.

Ne compi cinquanta, poi verranno i sessanta ed i settanta. Ma, mentre io crescerò a mia volta, nella mia testa resterai sempre il ritratto della gioia nella foto che ho scelto per aprire questa lettera. Il ragazzo che, dopo novantuno vittorie, non vede l’ora di trovare la successiva. Quello che una mattina di ottobre di tanti anni fa mi ha fatto capire una cosa fondamentale: non importa quanto tempo impiegherai per arrivare dove vuoi, l’importante è crederci. Sempre. 

Tengo a questo pezzo perché questa è l’ultima volta che scrivo pubblicamente su di te, almeno su questo spazio. Ho già fatto fin troppo in questi anni ed ora voglio tenere per me i pensieri, i ricordi e tutto quello che sei stato e sei. Ci sono fior di Social, in primis i tuoi, che ricordano le tue imprese senza bisogno del mio supporto. Ma, e questo lo voglio sottolineare, se ho iniziato a scrivere più di otto anni fa è stato anche grazie al tuo ritorno.

Durante questo mese pubblicheremo un Magazine interamente dedicato a te, sul quale stiamo lavorando incessantemente da settimane. Ci saranno le testimonianze di personaggi famosi, tante foto, ricordi. Avremmo voluto terminarlo in tempo per oggi ma sai com’è, hai avuto una carriera leggermente corposa… È il mio, il nostro modo per celebrarti e farti gli auguri. Che, in questo caso, sono giganti: quanto te.

Buon compleanno, Michael. E no, non te lo dico che manchi. Perché sei sempre qui.

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