La stanza dei ricordi

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Tempo di lettura: 4 minuti
di Alessandro Secchi @alexsecchi83
29 Luglio 2019 - 13:57
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Per quanto si possa provare a chiudere in un angolo il proprio passato da tifoso, lasciando spazio il più possibile alla razionalità, all’oggettività, al vedere le cose nel modo più distaccato possibile, ci sono e ci saranno sempre occasioni nelle quali sarà impossibile restare indifferenti.

Continuo personalmente a pensare che, per l’immagine del piccolo Schumi in quanto pilota in fase di crescita, eventi come questo non siano il massimo come tempistica. Per tantissimi è ancora sempre e solo “il figlio di” e, fino a quando non convincerà delle sue doti in pista, l’alone di pregiudizio lo accompagnerà. Forse sarà così sempre, perché il palmares che arriva dall’alto è quasi impossibile da replicare. Per quanto il cognome sia pesante e riconducibile ho trovato anche l’approdo in FDA piuttosto prematuro, detto sinceramente. Per carità, prima o poi sarebbe successo: forse, però, sarebbe stato meglio tergiversare ancora un attimo. Sarà spirito di protezione, non so, oppure semplicemente non ne capisco nulla. 

Detto questo, rivedere e soprattutto risentire una F2004 girare – la 234, quella delle prime cinque vittorie – in questo caso ad Hockenheim, dalle mani del figlio di chi mi ha dato tantissimo è troppo anche per me. Cerco da mesi, dalla pubblicazione del magazine su Michael, di contenermi nella ripetitività di una storia che ho raccontato troppe volte. A tratti sono stato anche noioso, probabilmente. D’altro canto non posso dimenticare – sarebbe impossibile farlo – l’importanza che quel periodo ha rappresentato per la mia crescita; un qualcosa di fondamentale, profondo, che va al di là del senso sportivo e delle gesta. Ecco, questo è un argomento che non ho mai voluto appronfondire e non ho intenzione di farlo, almeno non ancora. Forse lo terrò per me.

E, per quanto sia ormai cresciuto e concentrato nel separare quello che è stato da quello che è, Mick, la Ferrari e la F2004 sono riusciti per un attimo a riportarmi indietro, in questo caso, di quindici anni. Mi viene quasi da dire che non sia solo una questione di immagini ma, forse, soprattutto di suono. Di foto di quel periodo ne ho viste e ne vedo talmente tante da poterle ormai riconoscere tutte. Ma il sound è un’altra cosa, è il segno distintivo di quel periodo: più che gli occhi sono le orecchie a spedirmi indietro di tre lustri, più lo ascolti e più alzi il volume per farti avvolgere, stordire. Qui non è questione di Schumacher o Ferrari, ma di qualsiasi motore dell’epoca che cantava a squarciagola su questa o quella pista.

In questo caso tutto si unisce a ricomporre un mosaico, accolto piacevolmente dalle tribune di Hockenheim. Lei, purtroppo, non è più quella di una volta, ma la macchina del tempo per tornare al 2001 purtroppo non ce l’abbiamo.

https://twitter.com/IMTonyKenny/status/1155496965691625472

E poi sì, arrivano le immagini. Il sound del V10, che si fa sentire sin dall’altra parte della pista, si mescola con il rosso e quel casco, che una curva è Mick e quella dopo è Michael, e poi ancora giallo e rosso, presente e passato, figlio e padre tra la Mercedes Arena, la Sachs ed il rettilineo del traguardo. Il tutto in una qualità video che mi sarebbe piaciuta avere ai tempi invece che su un tubo catodico e che mi ricorda quanto, tutto questo, sia solo una magnifica illusione. Un tuffo in una piscina ghiacciata, il gettare lo sguardo in una stanza piena di ricordi, che tieni sempre chiusa a doppia mandata per far finta che non esista, perché sai che se entri poi è un problema uscirne.

Un paio d’anni fa era stato il turno della B194, questo weekend della Ferrari più forte di sempre. Ora fermatevi un po’, per favore. Perché rivivere per un attimo tutto questo è bello, sì. Ma, sotto sotto, fa un male cane.

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