La fragorosa quiete di un box

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Tempo di lettura: 3 minuti
di Alessandro Secchi @alexsecchi83
9 Aprile 2019 - 10:15
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La visiera è semi abbassata. Attorno risuona il silenzio più totale in attesa di un cenno, di quel via che fa scattare una scintilla e mette in moto tutto: motore, pulsazioni, cervello, istinto, piede.

Gli attimi che precedono il via di una gara sono interminabili, solenni ed unici indipendentemente dal prestigio, dal tipo di corsa, dalla posta in palio. Abbassare la visiera vuol dire entrare in un altro mondo. Tu, la tua macchina, la pista e gli avversari.

Sabato ho avuto la fortuna e l’onore di assistere a tutto questo. Non era la prima volta: anni fa ero stato a Silverstone per la gara d’apertura del WEC, ed anche lì avevo provato la magia della griglia di partenza, degli sguardi dentro l’abitacolo, degli occhi spiritati, apparentemente assenti, forse già immersi in quell’altro mondo di riflessi ed istinti.

Questa volta è stato particolare perché il box era quello di Andrea, con il quale non ci eravamo ancora incontrati. Dopo settimane di audio, telefonate, scambi di messaggi e la sezione che abbiamo deciso di dedicargli qui su P300, l’occasione è arrivata con il suo primo weekend di gare a Monza. Ho così conosciuto lui, la sua famiglia, il team Monolite Racing e la sua (seconda, sia chiaro!) fidanzata, la Dallara #99 inconfondibile in griglia con quel giallo fluo misto al nero. Come le monoposto di Vettel anche lei ha un nome: si chiama Toruk. Chi ricorda il film Avatar potrà capire…

Ho potuto vederla completamente smontata con i ragazzi al lavoro, ed è sempre spettacolare osservare la meticolosità con la quale si prepara ogni minimo dettaglio in quel groviglio di meccanica sulla quale mi piacerebbe imparare di tutto mentre, ora, ci capisco proprio poco. 

E poi, infine, ecco il momento fatidico: dal sorridere e dedicare un momento a tutti si passa al lavoro. Andrea sveste i panni del ragazzo ed indossa quelli del pilota. Tuta, casco, guanti e si lascia calare all’interno del suo mondo: l’abitacolo. Il sedere è a pochi centrimetri da terra, tanto che anche inginocchiandoti lo puoi osservare dall’alto. Il silenzio attorno è fantastico: la concentrazione è alle stelle e solo un bacio mimato verso la mamma lo interrompe per un momento. Lo sguardo mi ricorda quelli di qualche anno fa: Andrea sembra assente ma non lo è, anzi. Gli occhi puntano un qualcosa che non riesci a scorgere, ma che lui ha evidentemente ben chiaro, più di tutti noi. 

Arriva il cenno atteso: è ora di uscire. La monoposto viene spinta fuori dal box. Le ultime indicazioni, gli ultimi dettagli e poi via al giro per schierarsi in griglia. Ed ecco altri momenti fantastici. I meccanici misurano la temperatura delle gomme. Si fa un segno sul muretto per avere un punto di riferimento e fermarsi nella piazzola corretta al termine del giro di ricognizione. Le ultimissime raccomandazioni e quella stretta di mano con papà prima di restare da solo, questa volta davvero. Come in tutte le altre piste del mondo il semaforo dà il via alle ostilità. Tu, la tua macchina e la pista, verso l’infinito ed oltre.

Sono tanti i dettagli che potrei ricordare di una giornata particolare: ho voluto raccontare quelli mi hanno colpito e che forse sono meno evidenti per chi, come me d’altronde, segue le corse da casa. Momenti intensissimi che rendono le corse una cosa meravigliosa: da vivere.

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