La fine dell’agonia, l’inizio del ricordo: ciao Jules Bianchi

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Tempo di lettura: 4 minuti
di Alessandro Secchi @alexsecchi83
18 Luglio 2015 - 13:30
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Cos’è la speranza? Un sentimento, in fondo. Per molti è l’attesa di una notizia positiva, il sacrificio di lasciare correre il tempo fino a quando non deciderà di lasciarci sorridere. E’ l’attesa di un bambino nello scoprire se il Natale gli porterà i doni richiesti. Quella di uno spasimante per la ragazza che occupa ogni istante dei suoi pensieri. Per Jules, la speranza era quella di calarsi nell’abitacolo della Ferrari in un weekend di gara e non in una noiosa sessione di test. Quella di diventare un pilota titolare.

La speranza, però, sa essere devastante quando si trasforma in agonia. Quando ti abbraccia con l’illusione di rassicurarti e si stringe intorno a te sempre più forte. Prima per catturare il tuo cuore, poi per soffocarlo giorno dopo giorno, sicura ormai che non ti allontanerai da lei perché proprio in lei riponi fiducia. La speranza è agonia quando ti costringe a vivere in sua funzione, a diventare schiavo di un’attesa che non sai per quanto tempo si protrarrà e per quanto non ti lascerà dormire la notte.

Philippe Bianchi, mamma Christine, il fratello Tom e la sorella Melanie hanno incontrato l’agonia sulla strada della loro vita il 5 ottobre 2014, durante il 43° giro del Gran Premio del Giappone. Abbiamo, tutti e giustamente, sostenuto Jules e la sua famiglia in questi mesi: con dei messaggi di sostegno, con l’hashtag #ForzaJules sul web, con gli stickers sulle monoposto. Ma dobbiamo, ora, essere onesti con noi stessi. L’agonia non ha preso il posto della speranza sostituendosi a lei, perché questa non c’è mai stata fin dall’inizio. Jules Bianchi è morto il 5 ottobre 2014, non oggi. Oggi è solo terminato un incubo.

Il signor Philippe, proprio qualche giorno fa, si era lasciato andare ad un grido di dolore che in realtà nascondeva un messaggio chiaro, diretto a quell’agonia che da nove mesi soffocava lui e il resto della famiglia: “per me è più terribile che se fosse morto”.  Avevo letto tra quelle righe la resa di un padre distrutto, dilaniato dall’attesa di un risveglio che al tempo stesso ci si augurava essendo consci che non sarebbe mai arrivato. Un limbo che ti svuota lentamente e progressivamente, ti allontana dal mondo, ti rende impotente. Non sono solito credere al destino, ma svegliarmi con questa notizia a soli cinque giorni dalle parole di papà Philippe mi rincuora. Quella che per noi appassionati e tifosi era egoisticamente una lotta al sostegno, per la famiglia di Jules era ormai diventata tortura.

Non era giusto che Philippe, Christine, Tom e Melanie continuassero a soffrire e a morire dentro, anch’essi, giorno dopo giorno. Prima che piloti questi ragazzi sono uomini, figli, fratelli. Ed è bene per loro che sia finita. Noi, in questo momento, non contiamo. Per l’immensa sofferenza che segnerà sempre la loro vita, sarebbe stato meglio che l’agonia non iniziasse nemmeno. Dopo nove mesi il tempo avrebbe già fatto in parte il suo corso, trasformando in cicatrice una ferita che resterà comunque indelebile.

E il fatto che non sia finita subito è stata anche la fortuna di qualcuno. Jules Bianchi aveva 25 anni quando la Marussia numero 17 ha terminato la sua corsa contro una gru, nel corso di una gara che poteva essere gestita diversamente. Non dimentico quanto di scandaloso è avvenuto nei primi giorni del dramma. L’indagine portata avanti con l’unico obiettivo di autoassolversi da parte della direzione gara. La fretta di colpevolizzare il pilota, che tanto non avrebbe potuto difendersi, da parte dei vertici di uno sport a cui sono legato ancora per il nome che porta. Colpa di Jules, che non ha alzato abbastanza il piede quando per anni lo stesso atteggiamento non è mai stato sanzionato dalle stesse persone. E poco importa alla direzione gara che lei stessa abbia permesso di correre sotto il diluvio con il buio che calava su Suzuka, grazie alle partenze in orari adatti unicamente alle televisioni e i loro maledetti interessi. Voglio augurarmi che alcune persone, in questi momenti, si astengano dall’inviare messaggi di cordoglio che suonerebbero totalmente fuori luogo.

Di Jules resterà l’immagine di un ragazzo pulito, dal sorriso sempre disponibile per tutti. Rimarranno i due punti conquistati con la Marussia a Montecarlo che hanno fatto gridare al miracolo. Rimane proprio la Manor, che su quei due punti ha basato la sua esistenza in questa stagione. Rimarrà il sogno di vincere in Formula 1 con la Ferrari, che poi è il sogno di tutti i piloti o anche di chi non lo diventerà mai. Ma deve restare, soprattutto, l’insegnamento che spesso ricordiamo: dal primo all’ultimo, tutti questi ragazzi devono essere rispettati per quello che fanno. Per il regalarci emozioni che ci fanno amare uno sport prima di tutto rischioso, al di là di qualsiasi livello di sicurezza. Per la facilità con cui fanno quello che, per noi, sarebbe impossibile. Rispettiamoli di più, perché quando succede qualcosa ci accorgiamo di quanto ci manchino.

Ciao Jules.

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2 Commenti su “La fine dell’agonia, l’inizio del ricordo: ciao Jules Bianchi”
Monica dice:

Come sempre arrivi dritto al cuore!
Ciao Jules!

Alessandro Secchi dice:

Grazie, anche se avrei voluto scrivere altro ieri…

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