La Ferrari sbagliata

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di Alessandro Secchi @alexsecchi83
22 Settembre 2019 - 20:29
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C’era una volta in cui il tifoso ferrarista, in genere, era un po’ come quello del calcio: si tifa la squadra e poco importa dei suoi componenti, l’importante è il risultato finale. 

Oggi la Ferrari ha portato a casa una doppietta, roba che non succedeva da Budapest 2017. Soprattutto l’ha fatto in un posto dove un 1-2 rosso era probabilmente fuori scommessa; tra chi non ci avrebbe messo nemmeno un centesimo ci sono sicuramente anche io. So di essere in buona compagnia, ma dopo Spa e Monza mi sarei aspettato un ritorno ai monologhi della Mercedes senza troppi dubbi. In questo va dato atto alla Ferrari di aver azzeccato a quanto pare una serie di update sulla macchina, in una Formula 1 dove recuperare è solitamente improbabile a meno di eventi eccezionali.

Eppure, nonostante l’inaspettata vittoria e l’inaspettata doppietta, c’è da discutere anche per l’inaspettato vincitore. Perché il tifo ferrarista, che non è più quello di una volta, invece di godersi un successo non previsto in un’annata drammatica fino a tre settimane fa è spaccato in due per i soliti discorsi, con Vetteliani da una parte e Leclerchiani dall’altra. Il motivo del contendere è il fatto che, per i secondi, Charles avrebbe dovuto ottenere quasi in dono il successo da parte del compagno di squadra, dopo essersi trovato incredibilmente alle sue spalle al rientro dalla sosta ai box. Il problema sarebbe proprio la sosta anticipata di Vettel rispetto a Leclerc, necessaria a coprirsi da Verstappen pronto a sua volta a rientrare. Complotto, favoritismo nei confronti del tedesco e via dicendo.

Poco importa che Vettel – questa volta finalmente – in gara non abbia sbagliato nulla, compiendo un giro di uscita fantastico dal suo pit ed annullando tre secondi e mezzo di svantaggio da Charles al termine del giro precedente alla sosta nonostante questa sia stata più lenta (3 secondi contro 2.4 di Leclerc). Poco importa che una volta trovatosi davanti chi non si era ancora fermato abbia effettuato sorpassi rischiosi – su Gasly in primis – ma più incisivi rispetto al più giovane. Poco importa che abbia dovuto gestire tre ripartenze dalla Safety Car dopo aver preso margine. Oggi, per gran parte del tifo ferrarista, la gara doveva essere di Leclerc e chi se ne frega se l’altro non vinceva da oltre un anno e se, oggi, ha vinto meritatamente in pista, senza rubare nulla come si cerca di far intendere.

Poco importa, soprattutto, che le due vittorie di Leclerc di Spa e Monza siano state ottenute rispettivamente con un tappo – a posteriori fondamentale – dello stesso Vettel nel ruolo di uomo squadra ai danni di Hamilton in Belgio e con lo sgarbo molto furbo in qualifica (“Oggi sei perdonato”, ricordate Binotto?) da parte del monegasco in Italia, che ha mandato in palla il tedesco – ancora una volta – il giorno dopo. La F1 non è uno sport per i gentiluomini e per la riconoscenza, al contrario di quello che il politically correct ci vuole raccontare. Verissimo. La gara di oggi, però, conferma ancora una volta quanto questa sia una coppia che non può stare in piedi se, ogni volta, ci si trova in queste condizioni. Già all’inizio dell’anno si erano sprecati fiumi di parole per chi doveva arrivare quarto invece che quinto. Detto questo il futuro di questa squadra non può che essere Leclerc, uno su cui si scommette da anni, ma con un buon secondo al suo fianco e non un iridato o un altro pari grado. Un buon pilota quale può essere un Bottas, un Albon, un Hulkenberg – sebbene lo reputi più forte di questi – o chi preferite. Ogni altra soluzione è potenzialmente deleteria: basti rivedere il Ricciardo in Red Bull con Max e – anche se qui siamo più al limite – un Rosberg con Hamilton.

Leclerc è il nuovo che avanza così come lo era il Vettel del 2015, la stella nascente autoprodotta, il simbolo del vivaio. Si vede chiaramente nel suo pretendere via radio – calmierato prima di andare alle interviste – nell’essere sostenuto e sponsorizzato, nell’avere dalla sua parte l’opinione pubblica tanto da dover sentire parlare, in un mondiale già chiuso a quattro mandate, di speranze iridate mitigate dai sette punti persi oggi per non essere stato avvantaggiato. Scherziamo, vero? Sinceramente credo che, come al solito, si stia esagerando per semplici questioni di convenienza e visibilità. 

Inutile che ripeta quanto ho scritto in passato perché non voglio diventare noioso, ammesso che non lo sia già. Questa situazione era ampiamente prevista e tutto quello che sta accadendo è esattamente in linea con un modus operandi visto e rivisto. Il problema, almeno mio, è che tutto questo mi inorridisce umanamente, ma mi rendo conto di essere in minoranza. I piloti sono sempre gli stessi indipendentemente dalla tuta e, prima di tutto, sono uomini: il tiro al piccione quando sbagliano, senza cercare di capire qualcosa in più, è la soluzione più semplice per creare audience, così come l’esaltazione ed il salto sul carro di chi vince. Un uccellino dopo i primi test di Barcellona mi disse, mentre in giro già si elogiava la SF90, che Vettel non si trovava col posteriore. In base a chi si trova al volante questa è una colpa o della macchina o del pilota. Dipende da tante cose: dal carattere di chi guida, dal suo potere mediatico, dall’essere social o meno, dalla personalità per capirci. Fosse successo nel 2015, quando Vettel era il nuovo Schumacher, si sarebbe parlato di un catorcio. Oggi, con Seb che come allora ha appeal mediatico pari a meno dieci, è un problema ovviamente suo, ampliato da un Leclerc che invece riesce ad adattarsi o semplicemente trova la macchina più adatta a lui. La verità sta sempre nel mezzo, ma tendenzialmente in questo mondo basta cambiare la prospettiva e cambiano i pareri al netto degli eventi.

In questi anni ho difeso a più riprese le cappellate di Verstappen quando questo era il nemico numero uno dei ferraristi, ho cercato di mettermi nei panni di un Bottas costretto a fermarsi in mezzo alla pista a Sochi per doveri di squadra e per contratto di dipendenza, ho sostenuto un Raikkonen sul cui sedile è stato messo tutto il parco piloti del mondo per almeno tre anni per poi vederlo vincere ad Austin ed ho preso a cuore la questione Vettel perché sputare addosso a chi sbaglia è facile, semplice, sbrigativo, è lo sport prediletto da chi non ha la minima voglia di cercare di capire qualcosa di più, le motivazioni, cosa sta dietro l’errore. Così come esaltare il vincitore di turno è il modo migliore per essere sempre sulla cresta dell’onda mediatica. Il problema è che poi la ruota gira, i tempi cambiano e si capisce quando l’appoggio è stato programmato. Leggasi: se Leclerc dovesse incappare in una stagione no, non si aspetti un trattamento diverso rispetto a chi l’ha preceduto.

La sensazione che oggi abbia vinto la Ferrari sbagliata, che il festeggiamento sia stato meno vigoroso, che con Leclerc la vittoria sarebbe stata più vittoria, che il clamore sia stato quasi azzoppato perché ha vinto il cavallo sbagliato si annusa nell’aria, si legge, si ascolta. In questo c’è tutto il cinismo di chi ha bisogno che vinca il nuovo che avanza per continuare con la propaganda a colpi di slogan fini a se stessi, perché non c’è bisogno di inventare nulla per vedere che Leclerc sarà un futuro campione. Per questo, indipendentemente dalla vittoria di oggi, credo che sarà sempre più difficile per Vettel continuare quest’avventura. La Ferrari gli è scappata di mano anche per colpa sua ed è il primo a saperlo, ma che da tantissimi sia scaricato dalla Singapore di due anni fa pare più che palese, almeno a me. Lui ha da tempo il dovere di non sbagliare più una virgola, ma probabilmente succederà ancora.

Anche Charles ha lo stesso dovere: all’interno della sua squadra, in questo momento, ha l’esempio perfetto di cosa succede quando si è portati in palmo di mano e cosa, invece, quando si è passati di moda. E spero per lui che sappia gestire qualsiasi situazione gli presenterà il futuro, perché ci vuole davvero poco a passare dal paradiso all’inferno. Prima lo capisce, meglio è.

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