Se la F1 viene salvata da un diciannovenne…

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Tempo di lettura: 5 minuti
di Alessandro Secchi @alexsecchi83
13 Novembre 2016 - 23:00
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Quando si prende in esame un pilota bisognerebbe (condizionale d’obbligo) riuscire a separare il pensiero emotivo, emozionale, da quello oggettivo. Questione assolutamente difficile, perché anche l’essere umano più obiettivo del mondo, in qualche modo, una simpatia comunque la prova. Siamo appunto umani, non robot.

Il nodo Max Verstappen è una rosa piena di spine, soprattutto in una stagione nella quale il suo nome è stato accostato, per le situazioni in pista, spesso e volentieri con quello dei ferraristi. Per la par condicio, sia Kimi che Sebastian hanno dovuto fare i conti con Max, a turno. È freschissima la ferita di due settimane fa del Messico, ed è abbastanza comprensibile il fatto che molti tifosi della rossa vedano lo stesso colore quando, negli scarichi o davanti, si presenta la Red Bull numero 33.

Nonostante questo non si può non riconoscere che quella di oggi è una gara alla quale, al pischello olandese, è mancata praticamente solo la vittoria. E forse solo per questo motivo non verrà ricordata come break point di questo sport.

La seconda parte di gara, iniziata con il sorpasso all’esterno della curva tre su Rosberg, è stata una meraviglia capace di cancellare la prima parte condizionata da tante, troppe contraddizioni di cui parlerò in separata sede. Dopo l’ultimo pit-stop (strategia Red Bull assurda con entrambi i piloti, questo va detto) Max ha sì avuto il vantaggio di gomme più fresche rispetto ai suoi avversari: ma trovarsi 16° per poi sorpassare i colleghi più esperti (o anche titolati) come birilli, l’inventarsi traiettorie inimmaginabili quando ci hanno raccontato che queste non sono più possibili, la decisione nel recuperare oltre 10 metri in frenata staccando più avanti fino ad arrivare 3° sono azioni che, senza essere blasfemo, in 25 anni di seguito della Formula 1 ricordo solo da parte di un paio di nomi e cognomi dal peso specifico enorme, che vorrei identificare con due eventi: Donington 1993 e Barcellona 1996.

Dato che quando si chiamano in causa nomi come quelli di Senna e Schumacher bisogna essere attenti alle parole che si usano, e dato che solitamente cerco di essere il più chiaro possibile, preciso che la mia intenzione non è quella di paragonare pari pari un diciannovenne che ha ancora tanta strada da fare (se non tutta!) a due carriere già terminate e scolpite nella storia della F1. Voglio soltanto sottolineare come alcune azioni di oggi, soprattutto portate a termine da un giovanissimo, mi abbiano riportato alla mente la magica irruenza e la fantastica incoscienza vista in Ayrton e Michael. Questo non significa assolutamente che il buon olandese diventerà come loro, vincerà quanto loro, strabilierà come loro in futuro. Una gara può suscitare ricordi, ma non fa una certezza. Su questo, ripeto, spero di essere stato sufficientemente chiaro. 

Che Max fosse un predestinato lo si diceva già da quando correva nelle categorie inferiori. Spesso questo termine, però, si usa a sproposito, un po’ come mossa di marketing motoristico: personalmente ricordo di non aver accolto di buon grado l’arrivo di un diciassettenne in F1. Così come mi ero detto scettico dello switch tra lui e Kvyat dopo il GP di Russia. Mi era sembrato forzato, pubblicitario, pericoloso per lo stesso Max, soprattutto dal punto di vista emotivo, con il rischio di bruciarsi in fretta. Evidentemente, il lavoro fatto sul suo io dal suo staff, capeggiato da papà Jos (che lo porta ad essere leggermente egocentrico e arrogante) è stato determinante affinché Max potesse fregarsene altamente del suo status di giovanissimo così come delle critiche piovute in qualsiasi situazione che l’ha visto protagonista, fino a 15 giorni fa. Con un’arroganza da prima donna navigata, ha sempre respinto le critiche, non lesinando a sua volta sberleffi morali a gente con pedigree ben più importante ed esperto. 

Ma, soprattutto, Max Verstappen ha dimostrato di essere non solo in grado di lottare in F1 a dispetto dell’età, ma anche di poterlo fare alla grande. La gara di oggi suggella una prima stagione da top nella quale l’olandese ha mostrato a più riprese di non avere timore reverenziale nei confronti di qualsiasi altro pilota e di saper gestire alla grande qualsiasi situazione gli si sia presentata davanti. Certo, a volte ci vuole anche un po’ di sano culo: il salvataggio della Red Bull là dove tanti altri sono dovuti scendere dalla monoposto ad Interlagos è un misto di abilità e dea bendata, e la fortuna aiuta gli audaci. Ma nei riflessi, nelle staccate, nella lotta corpo a corpo, in Verstappen abbiamo trovato un talento cristallino, probabilmente ancora un po’ grezzo e sopra le righe, che sicuramente ci farà divertire nei prossimi anni.

Arrivato al termine di una corsa senza fine, ho tirato le somme e quello che mi rimarrà non saranno tanto le due sospensioni con la bandiera rossa, le recriminazioni sull’assurdità del non poter lavorare sugli assetti in condizioni mutevoli o i fischi del pubblico di Interlagos. Saranno i sorpassi e l’incredibile lucidità di un ragazzo di 19 anni che oggi, per quanto mi riguarda, ha salvato in parte… in gran parte, la baracca dall’ennesima figura bieca. 

Sarà arrogante, spocchioso, tutto quello che volete, ma impariamo a conviverci: potremmo aver trovato il futuro della F1. Sta a lui confermarlo nelle prossime stagioni, anche e soprattutto  quando e se l’obiettivo sarà grosso.

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