La F1 ai tempi del Paul Ricard 1990

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Tempo di lettura: 3 minuti
di Andrea Ettori @AndreaEttori
21 Giugno 2018 - 15:00
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I colori delle vie di fuga del Paul Ricard sostanzialmente ci sono sempre stati, fanno parte di una “tradizione” del circuito francese che insieme al rettilineo del Mistral (anche se nella nuova configurazione ci sarà una chicane) e alla Signes lo hanno reso unico e molto amato da tanti appassionati soprattutto “romantici”.

La Formula 1 ha scritto tante pagine di storia sulla pista che dopo 28 anni è ritornata nel calendario del mondiale. C’è chi ci ha vinto e tanto: uno su tutti Alain Prost portando alla rossa anche la 100esima vittoria della storia del team di Maranello.

C’è chi non ci ha mai vinto come Ayrton Senna, che su questa pista ha svolto uno degli ultimi test della sua breve vita nel 1994.

C’è chi ha visto il mondo a testa in giù come Gugelmin, con il patatrac della partenza del 1989. C’è chi purtroppo la sua vita l’ha persa durante un test di metà maggio di 32 anni fa, con un destino che decise di portarsi via uno dei signori di quella F1, cioè il nostro Elio De Angelis.

C’è anche chi su questa pista, accorciata dopo la tragedia di Elio di quattro anni prima, nell’ultima edizione del 1990 con la sua macchina azzurra e verde spinta da un Judd stanco vide sfumare a tre giri dalla fine una delle più grandi imprese moderne della storia della Formula 1. Il motore, infatti, non gli permise di portare più di un secondo posto comunque da urlo. Ivan Capelli, protagonista di quella gara di 28 anni fa, passò dalla mancata qualificazione del GP del Messico ad una quasi vittoria al Paul Ricard grazie a qualche modifica alla Leyton House CG901, una su tutte quella al diffusore posteriore che trasformarono la creatura stretta progettata da un giovane Adrian Newey da brutto anatroccolo a splendida principessa.

La Formula 1 al Paul Ricard del 1990 era questa. Era quella dei test liberi dove ogni team girava ogni settimana tra una gara e l’altra alla ricerca di soluzioni e diavolerie varie che gli potessero permettere di migliorare anche di un decimino le proprie prestazioni. Era quella delle prequalifche, dei V8, dei V10 e dei V12 con Ferrari e Honda che in una sorta di guerra “fredda” dei motori provavano a superarsi l’una con l’altra al suono dei cavalli da mettere a terra.

Era il Paul Ricard dei Senna, Prost, Mansell, Piquet e Berger, ma anche dei Foitek, Dalmas, Grouillard e Langes. Era quella degli onboard con la telecamerina posizionata a destra o a sinistra del pilota dove potevi sentire l’urlo del motore che si scatenava con tutta la sua potenza brutale.

Era un Paul Ricard colorato non solo nelle vie di fuga ma anche nelle macchine che sfrecciavano nei 3,813 km del nastro d’asfalto francese. Vetture mai banali, anche nelle colorazioni che grazie anche agli sponsor del tabacco sono diventate iconiche ed entrate nell’immaginario collettivo degli appassionati di tutto il mondo.

Era una Formula 1 che viveva la sua età dell’oro, dove le televisioni iniziavano a riversare milioni di dollari nel Circus iridato per dare visibilità ad un “prodotto” che in quegli anni sarebbe diventato per popolarità quasi simile all’universale calcio. Il ritorno al Paul Ricard dopo tanti anni è un tuffo nella memoria, e anche se questa F1 è fatta di tante contraddizioni e di quell’Halo così ancora difficile da digerire spero che lo spettacolo che i vari Hamilton, Vettel e Verstappen sapranno offrire sia degno di quel nastro d’asfalto in cui si cimenteranno.

Bentornato Paul Ricard.

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