La donna, il sogno e il grande incubo

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di Alessandro Secchi @alexsecchi83
25 Luglio 2018 - 18:30
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Ho osservato per un paio di giorni lo scatenarsi del web sullo zero in classifica di Vettel in quel di Hockenheim. Tendenzialmente non mi aspettavo molto di diverso, visto il pregresso. Mi chiedevo, tempo fa, quando sarebbe arrivato un weekend proprio come questo, dove la pole del sabato si trasforma in dramma la domenica, in modo da poter vedere con più chiarezza le reazioni nell’arco di sole 24 ore. Devo avergliela tirata, tra l’altro. 

Il problema, qui, e lo dico da tempo, è l’esagerazione da ambo le parti. L’esaltazione per una semplice Pole e la denigrazione istantanea di una carriera per un errore; una specie di sdoppiamento della personalità che, visto da fuori, lascia intendere che ci sia qualcosa che non va nel triangolo pilota-stampa-tifosi. Poco meno di un mese fa ho scritto un pezzo su Vettel in occasione del suo compleanno. Mi autocito nella parte finale di quel pezzo: “Ma chi è, alla fine, il Sebastian Vettel che oggi compie trentuno anni? Sicuramente un pilota meritevole di appartenere alla cerchia dei migliori, uno dei protagonisti dell’ultimo decennio. Un pilota fortissimo quando sente tutto al 100% ma incline all’errore quando sotto pressione, forse più del dovuto.”

Da qui non si scappa, ormai lo sappiamo. E, ipotesi a parte, quello di domenica rientra nella categoria degli errori. Se poi questo arriva davanti ai propri tifosi dopo il tormentone della vittoria “a casa loro”, si completa il quadro. Ci sta poi, visto il momento, che lo zero in classifica non possa essere mitigato dalla gravità tecnica dell’errore stesso e delle circostanze. Perché qui, è bene ricordarlo, non parliamo di una fragorosa uscita di pista a 280 all’ora ma di una stupida sbavatura, condita anche da un pugno di sfiga, quello di prendere una delle ultime cinque vie di fuga in ghiaia rimaste nel mondiale. Sbavatura che ha aperto un cratere in classifica. A parer mio, dei quattro errori imputati al tedesco in questa stagione (Azerbaijan, Francia, Austria in qualifica, Germania) il peggiore senza ombra di dubbio è quello del Paul Ricard al via, per irruenza ed imprudenza.  Più o meno quanto fatto da Raikkonen a Silverstone, solo che lì il tamponato era Hamilton e le critiche a Kimi sono state inferiori perché, sotto sotto, a qualcuno è andata bene così… Su Baku ed il sorpasso non riuscito ai danni di Bottas mi sono già espresso: sono quelle situazioni che attirano critiche in qualsiasi casistica non sia quella migliore. Se, invece di tentare la staccata sul finlandese, Vettel si fosse accodato, sarebbe probabilmente stato accusato di non avere palle a sufficienza o cuore da lanciare oltre l’ostacolo. La penalità subita dopo la qualifica in Austria è in parte da imputare anche al team: se il pilota resta in traiettoria al termine del suo giro lui commette una leggerezza ma chi è ai box, dotato di GPS e sistemi di tracking di ultima generazione, non può non accorgersi dell’arrivo di qualcuno da dietro ed avvisarlo. Hockenheim è fresca e pesa tantissimo. Bastano i team radio, i pugni sul volante ed i calci alla ghiaia per capire il dramma del pilota costretto al ritiro per una sua, pur involontaria, mancanza.

Ciò che è curioso di questi anni è che nel parallelo mediatico con Schumi, fortemente voluto da tanti per i motivi che ho già espresso in passato, si sono sempre e solo raffrontati i momenti felici. Le vittorie, i record, le similitudini spesso inopportune. Eppure diciotto anni fa, sempre ad Hockenheim, si consumava l’ultimo atto di un’estate devastante per la Rossa che, per il quinto anno di fila con Schumi al volante, tentava di riportare a casa un titolo mancante da 21 stagioni. Quattro ritiri in cinque gare: Monaco, Francia, Austria e Germania, con queste ultimi due appuntamenti conclusi alla prima curva. Sarebbero arrivate poi l’Ungheria e Spa, con il sorpasso subito da Mika che ancora molti si sognano la notte, a chiudere un periodo nerissimo per la Rossa ed il suo pilota di punta.

I media rumoreggiavano, dopo cinque anni ed un investimento ingente nel pagatissimo Schumi si iniziava a perdere la pazienza. Adesso, nel 2018, sembra acqua passata, ma dopo il Belgio la situazione era tesissima e solo per fortuna Internet non era quella odierna, altrimenti apriti cielo. Nessuno, nel periodo tra Spa e Monza, poteva immaginare che sarebbero arrivate quattro vittorie di fila a spezzare il digiuno. I successi mitigano anche le sconfitte, ed ora che la memoria va diretta a Suzuka ed al ritorno al successo è facile dimenticare quei giorni. E non solo quelli, perché la rincorsa al titolo di fine anni ’90, per chi la ricorda bene, è stata costellata da momenti di tensione, a volte drammatici. Con tutte le differenze del caso in termini di auto, piste, regolamenti, piloti, il quinquiennio di trionfi non deve far dimenticare le sconfitte dei quattro anni precedenti. Anche se meno spesso e con monoposto non all’altezza, anche Michael incappava in domeniche no. A Monaco nel ’96, ad esempio. Dalla Pole al Portier in 24 ore, con critiche annesse prima di sbalordire il mondo a Barcellona. Passando poi per Jerez ’97 (pensate oggi cosa si direbbe…), Austria e Suzuka ’98 (anche se poi si scoprì che c’erano dei problemi sulla F300), il muro dei campioni nel ’99. Fino ad arrivare, visto che siamo in tema, in Ungheria nel 2006 dove tentò di stare in pista con le intermedie ormai distrutte fino alla toccata con Heidfeld.

Insomma, gli errori esistono e li commettono tutti, ci sono quelli che pesano e quelli che pesano meno. Hamilton non ha commesso un singolo errore marcato o palese in tutto l’anno, ma (e questo per me conta quanto un errore perché incide) è incappato in interi weekend sottotono con Bottas più in palla di lui, come in Cina o in Canada. Pensate poi a quando era lui a dover combattere con una monoposto al livello delle altre e non sopra: Monza e Singapore 2010 ne sono esempi. Oppure, parlando sempre del 2010, ci si lamentava delle stampate di Fernando a Monaco nelle FP3 e Spa in gara. Spesso è l’ultima gara che pensa di chiudere un cerchio che, in realtà, si chiude sempre a fine carriera. Certo è che quello di Hockenheim è un passo falso che non ci voleva, ed il primo a saperlo è il proprietario degli occhi in copertina.

In questo particolare momento sembra di essere tornati indietro nel tempo: parafrasando gli 883 abbiamo la Donna, ovvero la Loria, la Ferrari di Seb. Quella che in qualifica sgambetta la Mercedes ed in gara se la gioca. Il Sogno, quello di portare a casa il titolo a Maranello dopo undici anni volati, tra l’altro. Infine il grande Incubo, quello di perdersi e lasciarselo scappare ancora una volta. Il parallelo col passato, però, si ferma qui. Come scritto un mese fa Vettel “è atteso allo sforzo massimo, per sé e per i suoi tifosi. È il momento della verità: l’età c’è, vedremo se c’è anche lui”. Rinnovo il pensiero in attesa degli eventi. 

Che poi gli 883, vent’anni fa, erano tanta roba. Adesso abbiamo Young Signorino. A pensarci tornerei ai tempi in un attimo. Hockenheim era pure quella vera.

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