Jonathan Rea e Dorna, i nomi di chi sta uccidendo la Superbike

BlogParola di Corsaro
Tempo di lettura: 9 minuti
di Alyoska Costantino @AlyxF1
8 Luglio 2018 - 21:00

Nella storia del motorsport, i periodi di dominanza da parte di un team, di un pilota o di un marchio ci sono sempre stati. Annate intere vinte in scioltezza, in modo incontrastato e senza l’ombra di un rivale capace di mettere un freno a queste mattanze. Come dimenticare i cinque titoli di Michael Schumacher e i sei della Ferrari tra il ’99 e il 2004, il quasi decennio di dominanza McLaren tra metà anni ’80 e inizio del decennio successivo, o passando alle due ruote il periodo da schiacciasassi di Doohan con la Honda Repsol? La storia è costellata di questi momenti in cui un pacchetto mezzo-pilota s’innalza sopra agli altri, e di certo gli sport motoristici non sono gli unici ad averne.

E anche la Superbike non ha fatto eccezione. Il soprannome di “Re” dato a Carl Fogarty non è a caso, considerando i quattro titoli vinti nel giro sei annate, ma anche colui che lo rimpiazzò alla corte Ducati, Troy Bayliss, fu un faro per Borgo Panigale portando altri tre titoli piloti in cascina al costruttore bolognese.
Oggi la storia si sta ripetendo con un nordirlandese di trentuno anni, nato a Ballymena e maturato nel campionato Superbike inglese, prima di fare il grande salto nel campionato mondiale. Eppure, nonostante il suo arrivo da rookie nel 2008, sono dovute passare ben sette stagioni prima di vedere quest’uomo col numero uno sulla propria carena.

Jonathan Rea è perfettamente consapevole della sua posizione di dominatore, a cui è arrivato solo dopo diversi anni. Già sulla Honda Ten Kate, non certo un missile, aveva fatto capire che la differenza ce la metteva lui, anche cercando di superare i propri limiti e soprattutto quelli della CBR, e prendere al volo l’occasione offertagli dalla Kawasaki tre anni fa era necessario per puntare al bersaglio grosso, il titolo mondiale. Credo che nessun appassionato o fan della Superbike si aspettasse però una dominanza simile, con 49 successi conquistati, 85 podi e tre titoli mondiali, a cui presto, a meno di sconvolgimenti paradossali, si aggiungerà il quarto. “King Carl” è stato scalzato dopo quasi vent’anni, e il nuovo sovrano delle derivate di serie lo stiamo vedendo sotto i nostri occhi. Personalmente credo dovremmo essere fieri di poter osservare le gesta di un tale mostro del manubrio.

Non credo invece sia contenta la “padrona” della SBK, Dorna. Ezpeleta, Lavilla e compagnia hanno preso in mano la gestione del campionato nel 2013 facendo il bottino pieno coi campionati su pista più di spessore, e considerando il livello dello spettacolo SBK offerto negli anni precedenti c’era tutto da guadagnare. Insomma, dopo una stagione 2012 in cui Biaggi aveva vinto il mondiale per mezzo punto su Sykes in un finale thrilling, non ci si poteva che aspettare un futuro roseo per la categoria. E infatti, io reputo il livello del mondiale oscillante tra il buono e l’ottimo fino al 2016, l’anno del secondo mondiale targato Johnny. A questo poi si aggiunge, rispetto alla precedente gestione Flammini, una copertura da parte degli sponsor migliore, e quindi un aumento degli introiti che fa sempre piacere.

Il primo grande cambio regolamentare di Dorna fu sulle moto EVO, produzioni a costi inferiori dei modelli già presenti in pista, schierati da team privati oppure da team ufficiali in modo da affiancare i modelli già presenti. Chiaramente fu un’idea per ripercorrere la (tremenda) falsa riga del regolamento “Open” della MotoGP, ma fortunatamente il passo concreto l’hanno fatto già nel 2015 quando tutte le moto sono diventate indistintamente EVO. Questo regolamento ha svantaggiato l’Aprilia (già in procinto di ritirarsi in forma ufficiale nonostante il titolo piloti) e ha avvantaggiato invece Kawasaki e Ducati, date addirittura come favorite proprio per la stagione del grande cambio regolamentare. Contemporaneamente al passaggio dello stesso Johnny alla verdona.

Questa combinazione di fattori rende il mondiale 2015 a senso unico: Aprilia e Ducati strappano qualche vittoria di tappa ma la scena è tutta di Rea, che non solo si dimostra quasi infallibile sulla Kawasaki convertita al nuovo regolamento, ma ribalta completamente la gerarchia nel team spagnolo rispetto al compagno Tom Sykes, totalmente messo in ombra nel corso della stagione. Sarà solo il preludio, appunto, a diverse stagioni di dominio.

Questa situazione manda in bambola totalmente Dorna, che si ritrova con un campionato non più combattuto sul filo del rasoio, ma una sfida a senso unico dal risultato quasi scontato. Ed è dal 2017, solo lo scorso anno, che le idee geniali cominciano a balzare in testa alla federazione pur di dare un minimo d’imprevedibilità al campionato: la Superpole diventa valida solo per gara-1, mentre per gara-2 viene inventata una psicotica griglia invertita in modo da sfavorire gli arrivanti al podio, ma gli effetti pressoché nulli in positivo fanno invece risaltare l’abisso di differenza tra la Ducati, la Kawasaki e le altre marche anche sullo stacco frizione. La partenza diventa la cosa più rilevante della gara, e a meno di non avere una Panigale o una ZX-10 R la posizione del primo giro spesso combacia con quella raggiungibile al traguardo.

Giusto per nominarla, si cita anche la modifica sul programma dei weekend, con gara-1 che nel 2016 è spostata al sabato dopo le qualifiche, in modo da avere un palinsesto meglio distribuito tra le due giornate. Ragionandoci su, personalmente, la scelta è anche buona su certi aspetti: da più tempo ai piloti di rivedere assetti in modo da rimediare a figure magre nella prima manche, permette a un pilota caduto nella prima gara di poter recuperare fisicamente per la seconda, e dà maggior spazio a categorie come SSP600 e STK1000 nel palinsesto. Dall’altro canto però manda in bestia le emittenti televisive, che vedono una perdita di ascolti cospicua la domenica e un guadagno non così ampio al sabato, complice il fatto che alcune persone il sabato mattina ce l’hanno impegnato (come nel mio caso quando frequentavo ancora le superiori).

Tornando sul regolamento, il terzo mondiale di Rea, ancora una volta dominato, fa capire che la griglia invertita non basta. Bisogna inventarsi qualcosa di ben più grosso, una qualcosa di esplosivo, in poche parole la porcata definitiva: un Balance of Performance regolabile basato sui giri motore, volto a penalizzare in particolar modo i due marchi dominanti e, ancor di più, di levare 250 giri motore ogni tre round ai marchi più vincenti secondo una speciale classifica. Se devo essere onesto, se il BoP fosse stato fisso per tutta la stagione e non modificabile a seconda dei risultati mi sarebbe anche andato bene, e c’è da dire che durante l’anno in realtà l’unica variazione fatta è stata aggiungere 250 giri a Honda, BMW e MV Agusta (con scarsissimi risultati), ma già solo il fatto che s’introduca una roba del genere solo per vedere un avvicinamento da parte delle moto meno prestazionali è un chiaro segnale di come Dorna non sappia più dove sbattere la testa. Al giro di boa dell’estate 2018, Rea ha già quasi 100 punti di vantaggio sugli inseguitori, e il quarto mondiale sembra già nelle sue tasche.

Eppure, nonostante queste mie parole, il pubblico a giudicare dai numeri sembra soddisfatto: più di 70.000 persone si sono recate a Imola per il GP d’Italia, e altre 64.000 circa a Laguna Seca per il Gran Premio degli Stati Uniti. Sugli ascolti ben più di un milione di persone in media guarda la Superbike nonostante questa situazione grottesca, e quindi questo suggerirebbe che tutto vada bene. Ma siccome questa è una mia bloggata dove vorrei esprimere come mi sento io a vedere questa categoria, ecco come la penso: per quanto mi riguarda la SBK potrebbe essere vista anche da dieci milioni di persone nel weekend, ma se devono essere accontentate da un prodotto farcito di regolamenti assurdi, calendari con pause esageratamente lunghe e una competizione in sostanza nulla, che guardino pure. Non so voi, ma preferisco di gran lunga una Superbike pura, veritiera, dove il vincitore non viene penalizzato per la sua bravura, ma anzi riceve gli elogi che merita, piuttosto di avere qualcosa di fittizio e forzato pur di essere spettacolare. La Superbike, le corse, non sono questo. Non è vedere il pilota più forte per distacco partire nono perché altrimenti rivincerebbe con diversi secondi di vantaggio, non è vedere la moto più forte e meglio preparata dal team che va, estremizzando, 10 o 15 km/h in meno rispetto alle avversarie perché se no dominerebbe ancora. Per me è vedere la miglior accoppiata moto-pilota vincere con merito, dopo un lavoro estenuante nel weekend, dopo aver combattuto ad armi pari con gli avversari e non con gli handicap.

Forse, la maniera più rapida per ridare interesse alla lotta per il primo posto sarebbe di convincere Rea a lanciarsi nell’avventura MotoGP, ma è da pazzi pensare che un pilota debba andarsene da una categoria perché poco spettacolare. La Superbike è diventata la dimensione perfetta di Johnny tra lavoro, passione e famiglia, e negargliela sarebbe vergognoso. Io avrei fatto carte false per vederlo nel Motomondiale, chiariamoci, ma per quanto un fan lo voglia sperare e fare ipotesi, la vita di Rea è solo sua, e di nessun’altro.
E’ il miglior pilota della SBK e c’è solo da fargli gli elogi per questo, non allontanarlo da questo mondo.

Giusto per mandare ulteriormente a puttane la tradizione, si sta vociferando la possibilità di una terza manche durante la giornata, ma con questi ritmi del campione del mondo non farebbe altro che chiudere i giochi per il titolo ancora prima. Forse, come in MotoGP, sarà la centralina unica a togliere le castagne dal fuoco al campionato riequlibrando nella maniera giusta la situazione, ma prima bisogna comunque eliminare alla radice tutto ciò che rende falsa una competizione che dovrebbe essere vera come non mai.
I nomi ci sarebbero, i marchi anche, le potenzialità tutte… quindi Dorna, un consiglio: ripigliati.

Fonte immagine: worldsbk.com

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