Intervista a Stefan Johansson: “L’incontro con Enzo Ferrari come in un film di Fellini”

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Tempo di lettura: 6 minuti
di Andrea Ettori @AndreaEttori
30 Maggio 2020 - 14:00
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Stefan Johansson è uno dei personaggi a 360 gradi del mondo del motorsport. Il biondo ragazzone, tipico “prototipo” del pilota anni ’80-’90, nel corso della sua carriera ha guidato di tutto in ogni categoria, vincendo la 24h di Le Mans nel 1997 in squadra con il compianto Michele Alboreto e con Tom Kristensen. 12 podi ma nessuna vittoria in Formula 1, anche se lo svedese avrebbe sicuramente meritato molto di più nella categoria che lo ha visto protagonista, tra le altre, anche con Ferrari e McLaren. Oggi a 63 anni è lo stimato manager di Scott Dixon, campionissimo nella Indycar.

P300.it ha avuto il piacere di intervistare Stefan Johansson, ripercorrendo con l’ex pilota della Ferrari una carriera iniziata a grandi livelli 40 anni fa.

Stefan, hai guidato di tutto nel corso della tua splendida carriera, qual è il primo ricordo che ti viene in mente?
“Il mio primo ricordo è la mia primissima gara in karting quando avevo 12 anni. Mia madre ha dovuto accompagnarmi in pista mentre mio padre era impegnato in una gara nello stesso fine settimana. Mia madre aveva uno scarabeo della VW e abbiamo messo il kart sul portapacchi per andare in pista…”.

Qual è stato il momento migliore e quello peggiore della tua lunga carriera?
“È difficile, credo che per molti versi il momento migliore sia stato quando ho incontrato Enzo Ferrari la prima volta. In quello stesso giorno mi ha detto di guidare per il suo team. Il mio sogno d’infanzia era diventato realtà!”.

40 anni fa il tuo debutto in Formula 1 con la Shadow, cosa ricordi?
“È stato un weekend piuttosto travolgente! Mi hanno chiamato all’ultimo minuto, senza nessuna preparazione e nemmeno un giro di test prima delle sessioni di qualifica. L’auto più potente che avessi mai guidato fino ad allora era una vettura di Formula 3, quindi era incredibile essere in pista con tutti gli eroi che avevo seguito fino a qualche minuto prima, e allo stesso tempo senza cercare di disturbarli. In tutto questo ho dovuto abituarmi in fretta a macchina e pista”.

Sei stato protagonista del ritorno in Formula 1 della Honda come motorista, quanto pensi di aver contribuito allo sviluppo di un motore che poi nel corso del tempo sarebbe diventato il punto di riferimento?
“Il periodo dello sviluppo è stato molto interessante perché ero parte del progetto. Ogni sessione un motore saltava in aria, avevamo parecchie rotture ma in quel periodo fortunatamente esisteva il muletto. Ricordo che scherzavo con i ragazzi del team del fatto che non avevo bisogno di allenarmi perché correvo già così tanto per ritornare ai box per prendere il muletto (ride, ndr).

In Italia sei ancora molto amato, ci racconti il tuo primo incontro con Enzo Ferrari?
“È stata un’esperienza magica in quel periodo e lo è ancora oggi. Enzo Ferrari era un essere umano straordinario e i momenti che ho passato con lui saranno sempre nella mia memoria. Il primo incontro è stato un tipico momento in stile Ferrari, simile a qualcosa uscito direttamente da un film di Fellini. Abbiamo avuto il nostro incontro nella vecchia fabbrica di Modena, era nel tardo pomeriggio e i raggi del sole provenienti dalle finestre del corridoio riflettevano una luce direttamente sulle foto di tutti i miei eroi d’infanzia, Stirling Moss, Fangio eccetera. Avevo la pelle d’oca mentre passavo in quel corridoio. Poi vedo Mr. Ferrari di profilo nel retro del suo ufficio, anche se le luci non erano accese”.

Quali erano le differenze tra le Gruppo C e le vetture turbo di Formula 1 degli anni ’80?
“Entrambe le categorie erano sorprendenti in quel periodo, turbo super potenti e nel caso delle Gruppo C una quantità enorme di carico aerodinamico. Entrambe le vetture erano incredibilmente emozionanti e difficili da guidare, nessuna finezza e raffinatezza a qualsiasi livello, solo potenza brutale!”.

Nel 1987 sei passato alla McLaren, avevi grandi aspettative in quella stagione?
“Sì, è vero. Purtroppo la Ferrari del 1986 non era molto competitiva e la McLaren aveva vinto il campionato con Prost, quindi ovviamente le mie aspettative erano molto alte. Purtroppo anche la McLaren del 1987 non era una vettura all’altezza, con Prost solamente quarto in campionato e io sesto”.

Anni fa abbiamo scritto un pezzo sulla Ligier del 1988, una vettura così particolare e rivoluzionaria che purtroppo non è mai stata competitiva, ricordi quella stagione?
“È stato un anno molto difficile. Sapevamo già dopo i primi 10 giri del primo test della stagione che la vettura non avrebbe funzionato. Non aveva alcun carico aerodinamico e il concetto del serbatoio di carburante tra il motore e il cambio non ha mai dimostrato di dare alcun vantaggio. Abbiamo combattuto tutto l’anno, ma è stata veramente dura”.

Ci racconti del tuo podio all’Estoril del 1989 con la Onyx?
“La Onyx è stata un’ottima vettura, una volta superati i primi problemi di sviluppo e soprattutto le pre-qualifiche che sono sempre state un problema. Abbiamo pianificato una strategia molto attenta fin dal primo momento in cui abbiamo superato le pre-qualifiche e concentrato tutta l’energia sulla gara attraverso le prove. Abbiamo risparmiato un set di gomme per la gara e abbiamo fatto qualche giro sia il venerdì che il sabato mattina solo per permettere alla gomma di pulirsi e restare attiva anche durante la notte. Il piano era di correre l’intera distanza di gara sullo stesso set, che è quello che abbiamo fatto. Ha funzionato anche se l’anteriore sinistra negli ultimi 10 giri era praticamente sull’acciaio interno alla gomma”.

Hai battagliato con i più grandi piloti in Europa e negli USA, chi è stato il migliore per te?
“Nel complesso il migliore per me è stato Alain Prost. Ha sempre avuto una visione delle gare superiore a tutti gli altri, davvero molto intelligente. Non era veloce come Ayrton ma rispetto a lui sapeva portare a casa il risultato anche con più pazienza”.

Quanto è diverso il mondo delle corse oggi rispetto a quello che hai vissuto tu, anche se hai gareggiato fino a poco tempo fa?
“È un mondo completamente diverso oggi, la tecnologia è diventata sempre più importante. Con i dati e tutti i dispositivi per controllare le vetture di oggi, l’unica vera e forte differenza di quanto un pilota sia competitivo è l’abilità nella gestione di gara. Quasi ogni pilota può guidare l’auto veloce perché è abbastanza facile scoprire che cosa il compagno di squadra stia facendo, ad esempio, solo guardando i suoi dati. Ma ciò che non è possibile copiare dai dati è quanto bene si corra, che è ancora una causa del giudizio e dell’abilità di un pilota. E lo vediamo ogni fine settimana, in ogni categoria. Come è sempre stato, ci sono solo pochi piloti che sanno davvero come correre in gara, ma un sacco che può guidare veloce per un giro o due. Un pilota come l’Hamilton di questi anni è difficile da trovare e sa fare la differenza”.

Hai rimpianti oppure obiettivi che vorresti ancora raggiungere?
“Ci sono molti rimpianti, naturalmente, vorrei poter rivivere le stesse situazioni con la conoscenza e l’esperienza che ho oggi. Ma ho avuto una carriera e una vita meravigliose e sono stato in grado di fare quello che amo più di ogni altra cosa, incontro così tante grandi persone lungo la strada, quindi nessuna lamentela alla fine”.

Ringraziamo Stefan Johansson per la disponibilità.

Immagine di copertina: Wikipedia Commons

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